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ARTICOLI PROCESSO 1988
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"E dopo il danno, le beffe"

Strage Bruxelles ventinove rinvii a giudizio

BRUXELLES - Ventinove rinvii a giudizio per la strage dello stadio Heysel del 29 maggio 1985: prima della partita Juventus-Liverpool morirono negli incidenti trentanove persone, tra cui 32 italiani. La sentenza è stata emessa ieri dal tribunale di Bruxelles che ha accolto così le richieste del pubblico ministero. Ventisei dei ventinove rinviati a giudizio sono tifosi inglesi. Si tratta delle venticinque persone di cui era stata ottenuta l'estradizione dalla Gran Bretagna, più un altro tifoso di cui non era stata richiesta l'estradizione. Per tutti l'accusa principale è quella di "ferite volontarie e premeditate" e di "omicidio preterintenzionale". Gli altri tre rinviati a giudizio sono cittadini belgi. Si tratta di due gendarmi e dell'ex segretario della Federcalcio belga Albert Roosens. A loro viene imputata, in sostanza, l'estrema inefficacia delle misure di sicurezza e dei primi interventi in soccorso dei feriti. Per la prossima settimana è previsto l'inizio del dibattimento processuale. Fonte: La Repubblica © 9 gennaio 1988

Strage dello stadio Heysel Processo il 18 aprile

BRUXELLES - Il processo contro i ventisei tifosi del Liverpool accusati della strage dello stadio Heysel avrà inizio il 18 aprile; lo ha reso noto oggi un funzionario del ministero della Giustizia belga. Fonte: Stampa Sera © 2 marzo 1988

Vittime dell'Heysel Appello dei familiari

AREZZO - Nella imminenza del processo per gli incidenti avvenuti nello stadio Heysel di Bruxelles, in occasione di Juventus-Liverpool, la cui prima udienza è fissata per il 18 aprile prossimo nella capitale belga, l'Associazione delle famiglie delle vittime, riunitasi ieri ad Arezzo, ha inviato una lettera alla presidenza del Consiglio dei ministri, alla Juventus ed alla Federazione italiana gioco calcio, nella quale chiede di essere concretamente aiutata, nel suo intervento processuale di parte civile. Gli associati hanno ascoltato la relazione dei legali italiani Paolo Ammirati e Domenico Mammoli, che insieme all'avvocato Brusio Pirrongelli, di Roma, e Daniel Vedovatto, di Bruxelles, assistono le famiglie dei morti e dei feriti, costituitesi parte civile. I presenti - si afferma in un comunicato - hanno concordemente rilevato come di fronte al massiccio schieramento difensivo dei 26 imputati inglesi, che si fanno assistere da 40 avvocati, dei quattro imputati belgi che si fanno difendere da altri 12 avvocati, le famiglie italiane siano state lasciate sole ad affrontare una dura battaglia processuale dove saranno in discussione oltre la dignità nazionale, la responsabilità dei singoli e dei gruppi. Fonte: Stampa Sera © 21 marzo 1988

Subito rinviato al 17 ottobre il processo per lo stadio Heysel

BRUXELLES - E' stato rinviato al 17 ottobre il processo per la strage dello stadio di Heysel, dove, il 29 maggio 1985, 39 tifosi - 32 dei quali italiani - morirono durante gli incidenti che precedettero la finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Il processo, apertosi oggi nell'aula principale del palazzo di giustizia di Bruxelles, è stato subito aggiornato, come era previsto, perché gli avvocati difensori hanno chiesto tempo per studiare il dossier che è di ben 50 mila pagine. Imputati sono 27 tifosi teppisti britannici del Liverpool, i cosiddetti "hooligans", per omicidio preterintenzionale, e due ufficiali di gendarmeria e un ex-funzionario dell'Unione calcistica belga, per concorso nello stesso reato. Tutti gli imputati sono a piede libero. Fonte: Stampa Sera © 18 aprile 1988

Strage Heysel Oggi prima udienza e poi rinvio

BRUXELLES - A quasi tre anni dai drammatici incidenti in cui allo stadio di Heysel persero la vita 39 persone, 32 delle quali italiane, si aprirà stamane a Bruxelles il processo ai 27 "hooligans", tifosi teppisti del Liverpool, la squadra inglese che quel giorno, 29 maggio '85, doveva incontrare la Juve per la finale della Coppa dei campioni. Ma l'udienza durerà pochi minuti, il tempo per la difesa di chiedere un rinvio di alcuni mesi. L'accusa non si opporrà. Fonte: Stampa Sera © 18 aprile 1988

Oggi a Bruxelles comincia il processo per i gravi disordini avvenuti tre anni fa allo stadio in cui morirono6 39 persone. I tifosi del Liverpool e tre dirigenti belgi accusati degli scontri in cui morirono 39 persone.

In tribunale la strage di Heysel Ma sarà fatta giustizia ?

di Paolo Soldini

La tragedia di Heysel approda in tribunale. Ma è dubbio che giustizia sarà fatta ! Quasi certamente il processo che inizia oggi a Bruxelles contro 26 tifosi del Liverpool, tre dirigenti belgi, accusati per i gravissimi incidenti che il 29 maggio 1985 costarono la vita a 39 persone, sarà aggiornato alla prima udienza. E nessuno sa quando potrà riprendere.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Tre anni non sono bastati. L’inchiesta che approda oggi nell'aula del tribunale di Bruxelles è incompleta, monca, avvelenata dalle polemiche. Dei 29 accusati per la follia di quella tremenda serata allo stadio di Heysel pochi, probabilmente, siederanno al banco degli imputati. Forse i tre belgi, il segretario generale dell'Unione calcistica Albert Roosens e i due dirigenti della gendarmeria che quella sera avevano la responsabilità del servizio d'ordine, il maggiore Kensier e il capitano Mahieu. Forse qualcuno dei 26 teppisti britannici che erano stati individuati nei filmati della tv, estradati in Belgio e poi scarcerati dietro cauzione. Centoventimila franchi belgi, meno di quattro milioni di lire: tanto è stato valutato il prezzo della loro libertà e secondo gli avvocati difensori questo basterà a convincerli a non sottrarsi al giudizio... D'altronde nessuno degli imputati ha troppo da temere, almeno per ora. L'istruttoria su cui si basa il processo è tanto debole che dopo l’udienza di oggi si dovrà, probabilmente, incominciare tutto daccapo. Di fronte alla tremenda vividezza delle immagini di quel 29 maggio, l'immagine della giustizia è grigia, sfocata, elusiva. Ed è stata così fin dall'inizio: c’era un ministro degli Interni che non si volle dimettere e con il suo cinismo e la sua arroganza diede l’esempio. Jean-Ferdinand Nothomb se ne sarebbe andato dal governo qualche mese dopo, per una storiaccia tutta "belga" di rivalità linguistiche, ma di fronte ai 39 morti di Heysel non ebbe neppure la sensibilità, minima, di cercare, almeno, qualche giustificazione. Ma se l'esempio veniva dall’alto perché stupirsi, poi, se l'inchiesta si sarebbe impantanata sulle reticenze, i silenzi, i più penosi scaricabarile ? E con che coraggio la magistratura belga avrebbe potuto reclamare una più attiva collaborazione delle autorità britanniche, per individuare e punire i teppisti assassini ? Così, se per i belgi sul banco degli imputati siedono oggi solo Roosens e i due dirigenti della gendarmeria, per gli inglesi sarà ben difficile trovare le prove dalle loro responsabilità individuali e, per quelli che saranno condannati, se il processo arriverà mai a termine, sarà altrettanto difficile ottenere che scontino davvero la pena. Questo esito triste della storia cominciata quella maledetta sera allo stadio era, d'altronde già scritto, in qualche modo, dalle prime battute. 30 maggio 85. Il giudice istruttore Marina Coppieters’t Wallant, incaricato dell’inchiesta, incarica decine di investigatori di studiarsi, a Bruxelles, Londra e Liverpool, le riprese televisive e le foto per identificare il maggior numero possibile di teppisti e la natura dei loro atti di violenza. Ma le difficoltà maggiori sono sul fronte belga. Chi è responsabile delle incredibili falle del servizio d'ordine e dei ritardi nell’intervento delle forze di polizia ? Comincia, su questi punti, uno scandaloso palleggio delle responsabilità. 4-5 giugno. Il presidente della Camera Jean Defraigne accusa le forze dell’ordine e il ministro Nothomb. Al termine di una seduta tumultuosa viene votata la costituzione di una commissione d’inchiesta. 6 luglio, la commissione rende il suo rapporto. Contiene critiche severe all'Unione calcistica belga, alla Uefa e alla gendarmeria. Cinque membri su nove mettono sotto accusa Nothomb, ma questi rifiuta di dimettersi. 13 luglio. Mentre alla Camera il dibattito è accesissimo, il ministro della Giustizia e vicepremier Jean Gol annuncia le proprie dimissioni per protestare contro "il rifiuto ingiustificato da parte del ministro degli Interni di assumersi le proprie responsabilità". Sembra un gesto nobile, ma probabilmente è solo un pretesto per regolare ben altri conti tra il partito liberale, di cui Gol è uno del massimi esponenti, e i social-cristiani di Nothomb. La crisi di governo, aperta dal gesto di Gol, sarà ricomposta in estate con la decisione di andare alle elezioni anticipate. 2 luglio 86. Per 26 teppisti, riconosciuti nelle riprese televisive, il governo belga chiede a Londra l'estradizione. La procedura sarà lunga e difficile: gli inglesi chiedono "garanzie" e solo il 9 settembre dell'anno successivo 25 dei 26 sospetti arriveranno in Belgio. 29 gennaio 87. Roosens, Kensier e Mahieu sono incolpati di omicidio involontario. 4 settembre. Per rassicurare l'opinione pubblica britannica, il ministro della Giustizia mostra ai giornalisti le celle della prigione di Lovanio dove saranno incarcerati i teppisti; sono dotate di ogni comfort. 6 settembre. Anche i detenuti leggono i giornali. Nelle prigioni di Saint-Gilles e Forest, a Bruxelles, scoppia una rivolta contro il trattamento di favore riservato ai britannici. 23 ottobre. La Camera di consiglio del tribunale di Bruxelles decide la scarcerazione dietro cauzione di sei imputati. Il 26 febbraio di quest'anno tocca anche agli altri venti. La cauzione è fissata a 120 mila franchi e per tutti c'è l'obbligo di presentarsi al processo. Quanti ce ne saranno, in aula, stamane ? Fonte: L’Unità © 18 aprile 1988

La tragedia allo stadio Heysel

Un tifoso torinese di nuovo fermato

E' Salussoglia, condannato a 2 anni in Belgio

Umberto Salussoglia, il tifoso della Juventus condannato dal tribunale di Bruxelles a due anni di reclusione nel processo per le violenze nello stadio Heysel la tragica sera del 25 maggio '85, rischia di scontare la pena nelle carceri del Belgio. La polizia tedesca di Kiefesfelden, posto di frontiera con l'Austria, ha identificato ieri il giovane, ricercato nei Paesi della Cee con un ordine di arresto provvisorio emesso dalle autorità di Bruxelles un anno fa, quando la sentenza divenne definitiva. Umberto Salussoglia stava lasciando la Germania, dopo aver trascorso alcuni giorni di vacanza a Monaco di Baviera per l'Oktoberfest. La magistratura belga, non appena appresa la notizia del fermo, ha chiesto l'estradizione del giovane alle autorità tedesche: se sarà concessa, Salussoglia, che è difeso dall'avv. Carlo Altara, passerà due anni in una prigione belga. Ma la possibilità di estradizione dipende dalle convenzioni esistenti tra Belgio e Germania. I 24 mesi di reclusione gli furono inflitti, senza sospensione condizionale della pena, il 19 novembre '86, alla fine del processo in cui era accusato di aggressione ad un poliziotto, comportamento violento e danneggiamenti. Accuse ritenute fondate dai giudici. Salussoglia venne condannato in contumacia: rimase a casa, mandò un certificato medico: "Ho l'epatite". Estraneo agli scontri che provocarono il massacro (38 morti) dei tifosi italiani accorsi all'Heysel per la finale di Coppa campioni tra Juventus e Liverpool, Umberto Salussoglia fu ripreso dalla televisione mentre con una scacciacani sparava verso la curva occupata dai fans inglesi: l'immagine del teppista con la pistola in pugno fu trasmessa in tutto il mondo; divenne emblema della violenza negli stadi. Fonte: La Stampa © 27 settembre 1988

Per i 38 morti dell'Heysel 27 "hooligans" alla sbarra

La tragedia di Juventus-Liverpool il 29 maggio 1985. Imputati anche 2 gendarmi e l'ex segretario della Federazione Calcio belga. Trentadue le vittime italiane.

BRUXELLES - Giustizia, tre anni dopo, per i 38 morti e i circa 300 feriti di Juventus - Liverpool, la finale di Coppa dei Campioni trasformatasi in strage la sera del 29 maggio 1985. Lunedì mattina, alle 8 e 45, i giudici della corte d'appello di Bruxelles cominceranno il lungo processo contro 30 imputati. Sono 27 "hooligans", i teppisti da stadio inglesi che con il loro assalto provocarono il crollo del muro del settore "Z" dello stadio Heysel: cadendo nel vuoto, perirono 38 persone di cui 32 italiani, 4 Belgi, un francese e un irlandese. Un cittadino inglese, invece, morì accoltellato fuori dello stadio. Estradati dall'Inghilterra due anni fa, gli "hooligans" sono poi stati rilasciati in libertà vigilata e rimpatriati a Liverpool (è difficile che lunedì siano presenti per l'apertura del dibattimento). Nella Sala delle udienze solenni del Palazzo di Giustizia di Bruxelles, invece, dovrebbero esserci i tre imputati belgi: due poliziotti che erano di servizio allo stadio e l'ex segretario della Federazione Calcio belga, Albert Roosens. I legali di parte civile, però, costituitisi per i familiari delle vittime, hanno chiesto la convocazione (per i danni civili) di altre quattro persone: il sindaco della capitale belga, Brouhon, l'ex assessore allo Sport, il presidente dell'Uefa, Jorge, e il segretario della stessa organizzazione, Wangester. Per i teppisti di Liverpool le accuse sono di ferite volontarie e premeditate ed omicidio plurimo preterintenzionale. Roosens e i due gendarmi devono rispondere di omicidio e ferite preterintenzionali. In sostanza non avrebbero garantito la sicurezza nello stadio. Un tifoso torinese, Umberto Salussoglia, è già stato condannato a 2 anni di carcere per violenza. Fonte: Stampa Sera © 15 ottobre 1988

Inizia domani a Bruxelles il dibattimento per la strage allo stadio del 29 maggio ’85. Sul banco degli9 imputati 26 hooligans, dirigenti belgi e Uefa. Storia di compromessi e dimenticanze.

Heysel, un processo farsa

di Paolo Soldini

Trentatré imputati alla sbarra per un processo che si annuncia lungo e difficile. La strage dello stadio di Heysel, 39 morti, approda nell'aula di un tribunale. Si avvicina il momento della giustizia ? E’ una domanda cui non è facile rispondere: troppe esitazioni, troppe manovre e troppe fughe dalle responsabilità hanno riempito la storia dei tre anni e mezzo che dividono da quel 29 maggio 1985...

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Tornano le immagini di quella serata di incubo, come in un corto circuito della memoria. Come se non fossero passati i mesi e gli anni. Invece il tempo è passato. Il processo per la strage di Heysel si apre, domani, tre anni e meno dopo l'orrore di quella serata del 29 maggio 1985 allo stadio; I 1236 giorni che sembrano un nulla di fronte alla scena della tribuna disseminata di cadaveri, cristallizzata in tutta la sua irreparabilità, e che invece sono tanti, troppi, e riempiti di niente. Ci sono stati polemiche, buoni propositi, un’inchiesta amministrativa e una giudiziaria. Parole, tante. Ma le conseguenze ? Il teppismo negli stadi è continuato, e "di calcio" si continua a morire; la "severa punizione" per i tifosi dei club britannici, l'interdizione delle trasferte all’estero, è presto diventata l'oggetto di un mercato politico-sportivo. La ricerca delle colpe specifiche, per la follia di quella finale di coppa tra la Juventus e il Liverpool trasformata in spettacolo di orrore e morte, ha rischiato di affondare nelle sabbie mobili delle irresponsabilità amministrative, per cui nessuno è responsabile di nulla: la gendarmeria sul posto perché aveva ricevuto l'ordine di comportarsi così e basta, i dirigenti della gendarmeria perché non erano sul posto, il borgomastro di Bruxelles perché l'ordine pubblico negli stadi non compete a lui, l'Unione calcistica belga perché prende le direttive dall'Unione europea, l'Uefa perché i suoi dirigenti non potevano certo sapere delle magagne nel sistema di sicurezza di Heysel... Perfino il ministro degli Interni dell'epoca Ferdinand Nothomb, che pochi mesi dopo se ne sarebbe andato dal governo sbattendo la porta per una questione di rivalità linguistiche in un piccolo comune del Limburgo, alle richieste di dimissioni aveva risposto, sprezzante: "E io che c’entro ?". Solo i ventisei teppisti che gli inquirenti britannici e belgi sono riusciti a identificare nelle riprese tv della massa scatenata dei tifosi del Liverpool di quella sera sono stati inchiodati alle proprie responsabilità. Ma ottenerne l'estradizione è stato lungo e difficile, e al momento del rinvio a giudizio Londra ha voluto e ottenuto per loro "garanzie" tali di buon trattamento da provocare una rivolta tra i detenuti "normali" nei carceri di Bruxelles. D'altronde, è durata poco: dopo qualche giorno erano tutti fuori, liberi su cauzione. È una vicenda avvilente, insomma, quella che arriva domani davanti ai giudici della quarantaseiesima sezione del Tribunale penale di Bruxelles. E ne dà la misura il commento che al processo ha dedicato un settimanale belga; in buona sostanza, il procedimento verterà sul diritto al risarcimento, e da parte di chi, delle famiglie delle 39 vittime del 29 maggio, 32 italiani, quattro belgi, due francesi e un irlandese. Perché c'è anche questo da dire: nonostante le promesse a caldo, subito dopo la strage, del governo belga, di quello britannico e anche di quello italiano, alle famiglie delle vittime nessuno ha pensato, e neanche ai feriti, né ai mutilati. Nessuno ha pagato, neppure con un atto minimo, incommensurabile alla tragedia di 39 vite stroncate, ma che comunque avrebbe dato il segnale di una giustizia che esiste. Riuscirà il processo a rovesciare questa triste lezione di impotenza della giustizia ? Sul banco degli imputati vi siederanno, con i 26 hooligans britannici, il più vecchio 36 anni, il più giovane 21, tutti accusati di omicidio involontario e di lesioni involontarie, cinque belgi: Albert Roosens, segretario generale dell'Unione calcistica belga, il maggiore della gendarmeria Michel Kensier, comandante del distretto di Bruxelles, il capitano Johan Mahieu, che comandava le forze dell’ordine allo stadio quella sera, il borgomastro Hervé Brouhon e la responsabile dell’assessorato allo sport Vivane Baro. Dovranno rispondere, a vario titolo, delle insufficienze del servizio d'ordine e della struttura dello stadio. Ma gli ultimi due sono alla sbarra solo perché citati dalle parti civili: l'istruttoria non li aveva sfiorati. Gli altri due imputati sono il presidente della Uefa, il francese Georges, e il segretario generale, lo svizzero Bangerter. Sarà un dibattimento lungo, si parla di sei-sette mesi, accidentato dalle eccezioni che gli avvocati della difesa preannunciano già a valanga e complicato dalle traduzioni dal francese in italiano, in inglese e in tedesco. Si comincerà così ha disposto il giudice Verlinden, presidente della Corte, con la proiezione dei filmati di quella tragica sera. Immagini che non sarà facile riguardare. Speriamo, almeno, che serva a qualcosa. Fonte: L’Unità © 16 ottobre 1988

A Liverpool i tifosi si sentono perseguitati

di Alfio Bernabei

LONDRA - "Prevedo che a Bruxelles ci sarà solo del gran caos", ha detto ieri Sir Harry Livermore, il legale di 14 dei 26 tifosi del Liverpool imputati di omicidio involontario per il massacro di Heysel. Come ha già fatto in passato alla vigilia di sedute processuali, ha indicato che nutre profonde riserve sull'organizzazione e l'andamento del processo in Belgio. "Manca la traduzione simultanea. I belgi dicono che non possono permetterselo. Ci sarà un interprete per ogni quattro imputati. Come faremo ? C'è poi un'altra complicazione: la Corte ha pure il compito di risolvere 1.200 richieste di indennizzi". L’ambasciata belga a Londra ha nuovamente ricordato al legale che i processi a Bruxelles non si svolgono come in Inghilterra. "Seguiamo il Code Napoleon. Forse i tifosi del Liverpool sono fortunati di non avere a che fare con una giuria che potrebbe anche tener conto dei sentimenti che ha suscitato la tragedia". L'altro avvocato britannico degli imputati, Rex Makin, si è dimostrato un po’ meno prevenuto: "In Belgio c'è un sistema diverso", ma sono convinto che i nostri clienti avranno la possibilità di ottenere un processo regolare come da noi". Due degli imputati non saranno in aula. Anthony Hogan sta scontando una condanna a 4 anni per atti di violenza e Gary Hynes si trova in stato di detenzione in attesa di processo per rapina aggravata. Ci sarà invece Terry Wilson che, intervistato ieri, ha detto: "Vorremmo vedere la fine di questa storia. Ma dobbiamo tornare a Bruxelles, altrimenti i Belgi potrebbero dire che siamo dei ragazzacci". "Siamo innocenti", insiste, "abbiamo visto le prove" non abbiamo commesso proprio nessun omicidio o comunque lo vogliate chiamare. Io ho solo cercato di salvare i miei compagni che erano stati attaccati dagli italiani. E’ stato solo al ritorno, sul ferry, che ho visto alla televisione quello che era successo e ne sono rimasto disgustato". Dice che i suoi compagni erano tentati di non tornare in Belgio, ma ci hanno ripensato dopo aver ricevuto lettere dai loro avvocati. Così i 24 torneranno a Bruxelles pur avendo dei gravi problemi finanziari che non sanno come risolvere. E la signora Jean Hunt, coordinatrice del "comitato dei genitori degli imputati" che si è occupata di trovare fondi per aiutarli. Due amici di suo figlio che non era alla partita" sono fra gli imputati. La signora Hurst li ritiene innocenti. "E’ diventata una questione politica fin da quando la Thatcher ha deciso che potevano essere estradati in Belgio. E perché sono di Liverpool. Se fossero stati fans di una squadra del Sud, forse sarebbe stato diverso". E’ una allusione non solo alla divisione che è venuta a crearsi fra il ricco Sud e il povero Nord, ma anche al fatto che il governo è venuto ai ferri corti con l'amministrazione locale della città di Liverpool, accusata di essersi ribellata alle direttive governative sui tagli alle spese pubbliche e di continuare a tener testa ai conservatori. E far passare Liverpool come città violenta, sempre secondo la signora Hurst, potrebbe essere anche una manovra deliberata. Intanto sta per essere messa a punto la nuova legge per controllare la violenza degli hooligans nei campi di football. I tribunali potranno imporre anche un bando a vita su fans incriminati. C'è sempre maggiore preoccupazione davanti alla nuova ondata di criminalità che solo nell'ultimo anno ha registrato un aumento del venti per cento e tende a salire. I conservatori hanno annunciato nuove misure preventive di sorveglianza. In sei città entrerà in vigore un bando sulla riduzione nelle vendite di bevande alcoliche e verrà introdotto, per coloro in libertà provvisoria o in stato di sorveglianza, un nuovo sistema di controllo elettronico, si tratta di un bracciale della grandezza di un orologio da polso: allacciato alla persona. Invia segnali ad una centrale d'ascolto e ne permette la sorveglianza. Fonte: L’Unità © 16 ottobre 1988

I 26 hooligans autori della strage rischiano poco: veri imputati, le autorità che non presero misure adeguate

Heysel, il Belgio processa se stesso

di Fabio Galvano

II dibattimento si annuncia particolarmente irto di scogli procedurali, qualcuno grida già allo scandalo.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Sotto processo non saranno soltanto i 26 hooligan inglesi, ma piuttosto il Belgio delle manchevolezze e dei ritardi, quando domani si avvierà nella sala delle udienze solenni, al primo piano del Palazzo di Giustizia, l'atteso processo di Heysel. A più di tre anni da quella notte di Bruxelles in cui il tifo per la finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus si tramutò in morte e 39 persone (32 italiani) furono uccise nell'orrore della diretta televisiva, saranno pochi - e forse nessuno - i supporter inglesi a sedere sul banco degli accusati. Rimessi tutti in libertà provvisoria e rientrati in Inghilterra dopo una breve permanenza in carcere (un trattamento "cinque stelle" che aveva anche provocato violente proteste in altre prigioni belghe), sanno che anche in caso di condanna non potranno essere estradati e quindi, venendo in Belgio, correrebbero soltanto un grave rischio. Davanti al giudice Verlinden, invece, ci saranno i responsabili belgi dell'ordine pubblico in quella sera del 29 maggio 1985, ci saranno le autorità calcistiche - belghe ed europee - chiamate in causa dalla parte civile. Ma tant'è: la giustizia, tre anni dopo, si chiama soprattutto indennizzo, e si rivolge quindi non a un drappello di squattrinati teppisti, ma alle istituzioni - la gendarmeria, la città di Bruxelles, la Federcalcio belga, l'Uefa - che hanno solide polizze d'assicurazione. I morti riposano; ma alla loro ombra si gioca da domani una partita che può valere svariati miliardi. Nello stadio della morte molte cose sono cambiate. Il settore della tragedia - il "blocco Z" - è stato ribattezzato "Nord 1". Il muretto di cinta che cedette sotto la spinta degli hooligan ubriachi è stato ricostruito, le reti di protezione sostituite, rinnovati i parapetti d'acciaio. Ma la cosmesi dell'acciaio e del cemento, che ha riaperto lo stadio ai grandi appuntamenti internazionali, non rimargina le altre ferite lasciate aperte da quella serata di orrore: troppo a lungo è continuato il palleggio delle responsabilità. Nei giorni scorsi il maggiore settimanale d'informazione di questo Paese, Le Vif, parlava di "un cumulo di errori, d'irresponsabilità e di negligenze", di "un Belgio che ha offerto al mondo l'immagine di una spaventosa inefficienza" e che, sul problema degli indennizzi, "ha mancato l'occasione di salvare la faccia", quindi di "un processo al sistema belga". Gli hooligan sono accusati di "avere inflitto con premeditazione, volontariamente ma senza l'intenzione di uccidere, colpi per provocare ferite a persone; colpi e ferite che hanno tuttavia provocato la morte". Parallelamente c'è l'accusa di avere provocato lesioni permanenti, mutilazioni, invalidità. Rischiano anni di carcere, ma il compito dell'accusa e del pubblico ministero Pierre Erauw non sarà facile: la legge belga non riconosce la colpa collettiva e ciascun imputato dovrà essere giudicato per la sua responsabilità personale, ricostruita attraverso venti ore di filmati cinematografici e televisivi che riporteranno sotto la grande cupola del Palazzo di Giustizia l'orrore di quella notte. C'è chi dubita che l'accusa potrà mai esibire prove convincenti, che gli hooligan potrebbero anche essere assolti quando il processo si concluderà fra tre, quattro, forse anche sei mesi. Diversa la posizione degli accusati belgi ed europei. Sul banco degli imputati siederanno domani il maggiore della gendarmeria Michel Kensier, comandante del distretto di Bruxelles, che quella sera era rimasto al centro operativo, e il capitano Johan Mahieu, che era il diretto responsabile per l'ordine e la sicurezza allo stadio di Heysel, ma che al momento della carica omicida si stava occupando di un incidente minore avvenuto all'esterno. Dovranno rispondere di "mancanza di previsione o di precauzione, che ha involontariamente provocato la morte". E' la stessa accusa rivolta ad Albert Roosens, segretario generale della Federcalcio belga responsabile dell'organizzazione degli incontri internazionali fra cui, appunto, la fatidica finale del 29 maggio. Ma su iniziativa della parte civile, che è guidata dall'avvocato Daniel Vedovano cui sono affidati 104 dossier relativi a 26 morti e 7 feriti, e che chiede indennizzi che in qualche caso raggiungono i 22 milioni di franchi (770 milioni di lire), dovrà comparire in tribunale - poiché l'Heysel è uno stadio comunale - anche il sindaco di Bruxelles: l'impagabile Hervé Brouhon, che nelle ore della tragedia difese l'operato della polizia affermando di avere "fatto tutto il possibile, anzi il necessario" e che, un anno dopo, rifiutò il permesso a una cerimonia commemorativa. Con il sindaco comparirà anche l'assessore allo sport Vivianne Baro la quale, rispondendo a una lettera di Roosens che esprimeva allarme per la vetustà degli impianti, affermò che tutto il necessario sarebbe stato fatto in tempo utile per "evitare qualsiasi incidente". La parte civile, che ha citato anche lo Stato belga, ha inoltre messo sotto accusa Jacques Georges e Hans Bangerter, il primo francese l'altro svizzero, rispettivamente presidente e segretario generale dell'Uefa, la federazione calcistica europea. Fonte: La Stampa © 16 ottobre 1988

A Londra, però, hanno dimenticato tutto

Tacciono i giornali Parla solo il legale

di Mario Ciriello

Il nostro corrispondente ci telefona da Londra: è l'ora del processo per i ventisei dell'Heysel. Ma soltanto il "Guardian" di sabato ha ricordato il dramma; il resto della stampa pubblica sbrigative notizie, non analizza né commenta. Ciò non significa che si siano dissolte tutte le apprensioni. I 26 imputati temono condanne pesanti; le loro famiglie, gente modesta, temono dolorose conseguenze finanziarie; Sir Harry Livermore, il giurista che difende 15 degli accusati, teme le "debolezze" del gratuito patrocinio belga. Sir Harry, che ha celebrato ieri il suo ottantesimo compleanno, è figura di rilievo in Gran Bretagna, paladino delle arti, amministratore municipale. Ha dichiarato: "Il sistema legale belga è forse migliore dell'inglese, ma purtroppo mette a disposizione degli imputati poveri soltanto avvocati con meno di tre anni d'esperienza. Per di più questi giovani devono occuparsi anche di altri casi, perché il gratuito patrocinio non rende loro quasi nulla". Ha parlato anche Joan Hurst, una signora che assiste le famiglie degli imputati nelle loro molte difficoltà. "Le spese per i viaggi e per le cauzioni hanno colpito duramente molti genitori. Una famiglia ha venduto la casa". Il "Guardian" ha intervistato Terry Wilson, 22 anni, uno dei 26. "Sono innocente", ha dichiarato. E ha aggiunto: "Anche gli altri ragazzi sono innocenti". Come spiega allora la tragedia del 29 maggio '85 ? E’ una versione che già conosciamo. "I nostri compagni furono aggrediti dagli italiani. Soltanto allora, noi passammo all'attacco. Per difendere gli aggrediti. Poi arrivò la polizia. Gli agenti mi percossero una decina di volte. Lasciammo lo stadio senza renderci conto di quanto era avvenuto: lo scoprimmo soltanto sulla nave traghetto, quella sera, quando guardammo la televisione. Restammo sconvolti. Non potevamo credere a quelle immagini. Io non avevo visto nessun morto". Fonte: Stampa Sera © 17 ottobre 1988

Si apre oggi a Bruxelles il processo ai responsabili della tragedia

Heysel, teppismo alla sbarra

di Lorenzo Del Boca

Il 29 maggio 1985, partita Liverpool-Juventus, nel crollo della gradinata morirono 39 persone, due torinesi, e centinaia furono i feriti. Alcuni scampati parteciperanno, a Londra, ad una trasmissione rievocativa della rete tv Bbc. Ma chi è riuscito a scappare da quell'inferno ora vuole soltanto dimenticare: "E’ come rivivere un incubo". Ventinove maggio 1985, stadio Heysel, partita Juventus-Liverpool, crolla il parapetto della tribuna e precipitano gli spettatori: 39 morti - uno di Torino e uno di Moncalieri - centinaia di feriti. A Bruxelles, da oggi, compaiono alla sbarra 26 hooligans, i tifosi sanguigni del Liverpool facili all'alcool e alla rissa, accusati di aver provocato gli incidenti. Imputati che, forse, non saranno in tribunale: perché andare in un Paese straniero a rischiare una condanna ? Invece, saranno fisicamente presenti i due responsabili della polizia e Albert Roosens, segretario della Federcalcio Belga. Loro dovranno rispondere di "mancanza di previsione e di precauzione" tanto da trovarsi impreparati ad affrontare l'emergenza. Emergenza che la televisione ha mandato in onda in diretta proiettando le immagini di un massacro. La tragedia si è spezzettata in una quantità di storie personali. Francesco Galli, carpentiere di Bergamo, ultimo di undici fratelli, mediano di una squadretta di calcio, la "Kals", è andato in Belgio per "farsi un regalo" e non è più tornato. Domenico Russo di Moncalieri è morto lasciando la moglie incinta: il figlio che è nato è stato battezzato come lui e nessuno se l'è sentita di andare alla Sip per togliere il suo nome dall'elenco del telefono. Giovanni Casula aveva accompagnato il figlio Andrea alla partita per rispettare una promessa fatta due anni prima: "se fai il bravo a scuola, ti porto in Belgio". Era stato davvero bravo e nell'ultimo tema aveva raccontato la sua speranza di vedere la Juve dal vivo. Quanti sono tornati con il volto sfatto dalle botte ? Hanno raccontato di aver calpestato i cadaveri per scappare, si sono fatti vedere con le sciarpe bianconere usate come bende per tamponare le ferite. Carlo Duchene di Pinerolo è rimasto in coma per parecchi giorni, ha avuto conseguenze nell'uso delle braccia e ha difficoltà nel suo lavoro da parrucchiere. Sono flash-back su ricordi che nessuno ha accarezzato in questi tre anni e mezzo e che, anzi, i più hanno tentato di nascondere fra le pieghe della memoria. Meglio dimenticare quella notte allo stadio di Heysel: credevano di partecipare a una festa del calcio e si sono trovati coinvolti in una battaglia di lattine di birra lanciate come se fossero proiettili. Per feriti e per familiari di morti non fa differenza. Chi è tornato a casa malconcio ma ha salvato la pelle ha la sensazione che ripensare a quella marea di gente spaventata sia come rivivere un incubo di grandezza disumana. Mentre i familiari dei morti hanno posto soltanto per un loro dolore - privato e dignitoso - amplificato dal fatto di sapere che i parenti se ne sono andati "inutilmente". La televisione di Londra BBC ha fatto fatica per convincere alcuni protagonisti di quella notte a raccontare la loro triste esperienza per un trasmissione che andrà in onda mercoledì. "Guardi, non ho mai chiesto, a mio marito di quei momenti. Lui non ne ha parlato e io non ho cercato di farlo parlare...". Rosita Binelli è la moglie di Marco Manfredi, autista dell'ospedale di Moncalieri, tifoso della Juventus, partito per Bruxelles per vedere la sua squadra, travolto e calpestato da gente che scappava, "scomparso" per una settimana e tornato a casa come resuscitato ma senza memoria. La sua vita è finita all'ingresso dello stadio nello sventolare delle bandiere ed è ricominciata in Francia quando gli hanno dato da mangiare minestra e mele. Non sa come è arrivato fin là, con chi, con che cosa. "E per la verità non mi va nemmeno di pensarci". Non andrà al processo e, come lui, la maggior parte delle vittime. Alcune non hanno presentato nemmeno la costituzione di parte civile, altre si fanno rappresentare da un legale ma più per formalità che per desiderio di risarcimento o di vendetta. Fonte: Stampa Sera © 17 ottobre 1988

Intanto è iniziato a Bruxelles il maxi-giudizio (durerà da tre a sei mesi) per la strage dell'Heysel

Autodifesa degli hooligans: "Processo assurdo"

di Fabio Galvano

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Sono venuti tutti, per l'apertura del processo: tutti tranne due, trattenuti per altri reati nelle patrie galere. I 24 hooligans inglesi accusati della tragedia dell'Heysel, accompagnati da una schiera di oltre trenta avvocati le cui parcelle sono a carico d'un benefattore misterioso (ma qualcuno suggerisce che si tratti del Liverpool), si sono fatti strada a fatica - e in qualche caso a gomitate - fra le telecamere che li attendevano: ammorbiditi i toni punk e nascosti i tatuaggi, sembravano ragazzi timidi e spaesati quando il giudice Verlinden ha fatto l'appello. Si sono fatti rimproverare una sola volta dal magistrato, che nel mezzo dell'udienza li ha invitati a "tacere e stare seduti composti". E nei corridoi del Palazzo di Giustizia, a contatto con cento giornalisti venuti da tutta Europa, ripetevano a cantilena la lezione mandata a memoria: "E’ un processo assurdo, ci dispiace solo per i morti italiani". E' cominciato così l'atteso processo per i fatti del 29 maggio 1985, quando la grande festa del calcio europeo, la finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool, si trasformò in tragedia, con 39 spettatori uccisi (32 italiani) e oltre 500 feriti nell'orrore della diretta televisiva. Era presente uno sparuto gruppo di parenti delle vittime italiane: fra di loro Otello Lorentini, presidente dell'associazione che raccoglie 23 delle 31 famiglie coinvolte in quel lutto, padre del medico Roberto Lorentini che fu ucciso mentre assisteva le vittime della prima ondata e che per quel gesto ha ricevuto la medaglia d'argento al valore civile. Ma c'era soprattutto una nutrita schiera di avvocati (459 persone si sono costituite parte civile) per un processo destinato a tempi lunghi, fra tre e sei mesi. Ci sono voluti più di tre anni perché la giustizia belga potesse individuare i presunti colpevoli e completare 50 mila pagine d'istruttoria, in un palleggiarsi di responsabilità che ha finito per mettere sul banco degli imputati anche il Belgio delle manchevolezze e del ritardi. I tifosi inglesi, accusati di lesioni volontarie e omicidio preterintenzionale, rischiano dieci anni di carcere (ma sicuramente non attenderanno la sentenza); non sono però i soli imputati. Ieri, seduti a qualche metro dagli hooligans, c'erano anche il maggiore della gendarmeria Michel Kensier e il capitano Johan Mahieu, responsabili quella sera della sicurezza all'Heysel, e l'ex segretario della Federcalcio belga, Albert Roosens, organizzatore della partita. Questo è un processo che si svolge all'insegna degli indennizzi: le famiglie delle vittime, ha precisato Lorentini, hanno finora visto pochi soldi; a parte il governo britannico e la Fondazione Agnelli, egli spiega, nessuno si è fatto avanti e il fondo stanziato dal governo belga è congelato dalla corte dei conti. Ecco quindi sul banco degli imputati, citati dall'avvocato Daniel Vedovatto che guida i cinque legali italiani di parte civile (Pirrongelli, Mammoli, Ammirati, Catallotti e Pasqualin), il sindaco di Bruxelles Hervé Brouhon e l'assessore allo Sport Vivianne Baro (lo stadio è del Comune), oltre a Jacques Georges e Hans Bangerter, presidente e segretario dell'Uefa. Le prime battute della babele processuale - cinque le lingue in aula: francese, fiammingo, inglese, italiano e tedesco - si sono svolte nel segno delle eccezioni procedurali: quella, per esempio, con cui lo Stato vorrebbe far derubricare la propria imputazione per l'operato della gendarmeria. Gli hooligans, affiancati dagli interpreti, hanno assistito senza molto comprendere a questa fase d'avvio. Né sono valsi, ad animare quest'aula austera, i due allarmi alla bomba di cui ha dato notizia, senza crederci molto, il giudice Verlinden: "Siete tutti liberi di uscire - egli ha detto - ma io continuerò il processo: Stancamente, il grande processo si è messo in moto: forse venerdì, dopo un sopralluogo all'Heysel e al tragico "blocco Z", potrà avviarsi l'esame dei filmati televisivi - 18 ore - che sono serviti a identificare gli hooligans; ma si dovrà attendere fino al 4 novembre perché s'avvii l'interrogatorio dei testimoni. E chissà se a quell'epoca i 24 tifosi inglesi saranno ancora a Bruxelles.   Fonte: La Stampa © 18 ottobre 1988

"Chiediamo solo giustizia"... Bruxelles processa i "red"

di Daniele Mastrogiacomo

BRUXELLES - Arrivano all'alba. Due, tre, poi gli altri, tutti in gruppo. Si abbracciano, sorridono. Ma gli sguardi sono nervosi, duri, quasi sprezzanti. Valigie in mano, vestiti eleganti, capelli tagliati a zero, l'immancabile orecchino, avanzano nella nebbia che ancora avvolge l'ingresso del Palazzo di giustizia. Varcano il portone decisi, scortati da un gruppo di gendarmi armato di manganelli. Tra la folla che, paziente, attende di assistere al primo grande processo contro la violenza negli stadi, qualcuno li riconosce. Eccoli, urla, sono loro. Sì, gli hooligans. La fila, fino a quel punto ordinata e composta, si scioglie. C'è uno sbandamento. Premono gli agenti, premono i fotografi, accorrono i giornalisti. Spintoni, grida, gesti minacciosi, ma soprattutto grande sorpresa. Nessuno se l'aspettava. Invece loro, i reds, i supporters del Liverpool, i più famosi e temibili tifosi inglesi, sono lì. Ventiquattro robusti giovanotti. Avranno al massimo 25 anni. Operai, minatori, falegnami, pittori, molti disoccupati. Ognuno con la propria storia da raccontare: grande povertà, una cittadina colpita dalla crisi economica, le speranze di trovare un impiego, l'incertezza del futuro. Una vita consumata per strada, tra mille delusioni e una sola grande passione: il calcio e la squadra del cuore, il Liverpool. Sono accusati di omicidio preterintenzionale e di lesioni gravissime. Tre anni e mezzo fa, la sera del 29 maggio 1985, qui a Bruxelles, nello stadio di Heysel, assaltarono ad ondate successive il settore riservato ai tifosi della Juventus. La finale della Coppa dei Campioni doveva ancora iniziare. Ma sugli spalti, sulle gradinate e ai bordi del campo già si contavano 39 morti e 450 feriti. Un massacro, una vera strage, che colpì soprattutto gli italiani. Ci furono ben 32 vittime. Vittime giovani, ma anche vecchi, donne e bambini. Le immagini strazianti di quei sanguinosi momenti sono state immortalate e poi trasmesse in diretta dalle televisioni di tutto il mondo. Oggi sono conservate negli archivi del tribunale di Bruxelles e fanno parte dell'inchiesta. Scarcerati all'inizio di quest'anno, i 24 hooligans hanno deciso di presenziare ugualmente al dibattimento per la strage allo stadio di Heysel. Una decisione importante, che imprime al processo un carattere diverso. Non più un atto ufficiale, un impegno formale del governo belga per cancellare l'onta di un massacro che si poteva evitare, ma un processo senza precedenti contro la violenza nello sport. Aperto e subito rinviato nell'aprile scorso per le eccezioni sollevate dalla difesa, il giudizio per quello che viene definito dalle cronache locali l'affare di Heysel, prende dunque avvio in un clima solenne e spettacolare. La sede scelta è quella delle grandi occasioni: l'aula centrale del vecchio Palazzo di giustizia, un austero immobile tutto in marmo costruito nel 1883 sotto il regno di Leopoldo II. Le misure di sicurezza sono imponenti. Jeep e blindati schierati davanti agli ingressi principali, transenne, agenti in divisa e in borghese, rigidi controlli con metal detector. Si temono incidenti e l'incubo del passato invita alla prudenza. Così, quando il presidente della quarantottesima Chambre du tribunal de correction Verlynde, dà inizio all'udienza, la folla di curiosi, di testimoni e di familiari delle vittime è ancora impegnata a superare le rigide formalità d'ingresso. Alle 9.00 l'aula è già colma di gente. Il tavolo della Corte, con un presidente e due giudici a latere, entrambi donne, è in fondo vicino a una parete. Ai lati siedono gli avvocati. Quaranta rappresentano la difesa, una decina la parte civile. Gli imputati, gli hooligans, sono raggruppati in mezzo alla grande stanza, assistiti da tre interpreti. A lato, ci sono invece gli imputati eccellenti, quelli citati in giudizio dai legali dei familiari degli uccisi. Nomi importanti, tutti accusati di concorso in omicidio preterintenzionale: Hervé Brouhon, sindaco di Bruxelles, l'assessore comunale allo Sport, Vivianne Baro, Albert Roosens, presidente dell'Unione calcio belga, George Jacques, presidente della Uefa; quindi due ufficiali della Gendarmeria: Johan Mahieu e Michel Kensier. Devono rispondere anche loro di concorso in omicidio. Stando al nutrito dossier elaborato dalla commissione parlamentare d'inchiesta, i due dirigenti della Gendarmerie, responsabili dell'ordine pubblico durante la partita, sarebbero intervenuti in modo tardivo e scoordinato. Centinaia di testimonianze e le diciotto ore di filmati allegati agli atti dell'inchiesta formale, non lasciano dubbi: l'atteggiamento della polizia quella sera fu incerto e tentennante. Centinaia di supporters inglesi vennero ammassati proprio a fianco della curva Z, destinata ad accogliere i tifosi della Juve. I due gruppi erano separati soltanto da una rete di ferro. Una rete da pollaio, ricorda oggi Otello Lorentini, presidente dell'Associazione delle vittime di Heysel e presente in aula come teste. Quel giorno ero sugli spalti con mio figlio e due nipoti. Gli hooligans erano lì, a pochi metri da noi. Erano ubriachi. Urlavano, cantavano, lanciavano lattine, qualche razzo. Atteggiamenti, come dire, normali, folcloristici. Nessuno poteva immaginare cosa stavano meditando. Di colpo hanno iniziato a rompere i gradini di marmo. Poi, lo ricordo bene, è una scena che non scorderò mai, uno di quelli è saltato sulla rete e con due colpi l'ha distrutta. Venivano a ondate. Facevano vere e proprie cariche. Andavano e tornavano. La gente è stata presa dal panico. Ha cercato scampo... E' stato un massacro. Otello Lorentini quella sera ha perso un figlio. Un medico di ventotto anni. L'ho rivisto soltanto a mezzanotte, racconta con gli occhi lucidi, era deforme. La folla l'ha schiacciato mentre tentava di rianimare uno spettatore con la respirazione artificiale. Che cosa doveva fare ? Era un medico e di fronte a quel massacro stava facendo il suo dovere. Ci hanno offerto un risarcimento di pochi milioni. Ma è un argomento che non voglio affrontare. Io non cerco vendetta, chiedo solo giustizia". Decine e decine di testimonianze. Racconti, grandi tragedie, vite sconvolte in pochi minuti di assurda violenza. I familiari delle vittime partecipano al dibattimento. Ma solo in pochi sono riusciti a venire. "Troppe spese da affrontare", spiega ancora Lorentini. "La nostra Associazione vive attraverso un'autotassazione. Ogni tanto raccogliamo dei fondi. Sì è vero la Thatcher ci ha inviato pochi mesi dopo la tragedia 250 mila sterline, circa 500 milioni di lire. Un altro miliardo lo abbiamo ricevuto dalla Fondazione Agnelli. Ma i soldi serviranno soprattutto a risarcire i familiari". L'appello degli imputati finisce poco prima delle 11.00. Vengono proposte le prime eccezioni procedurali. Parla l'avvocato generale che difende lo Stato, anch'esso citato in giudizio; parla il legale della Gendarmerie. L'udienza scorre tra mille difficoltà. Sarà un processo lungo: almeno cinque-sei mesi. I primi interrogatori sono previsti per il 4 novembre, venerdì prossimo ci sarà un sopralluogo allo stadio di Heysel con la visione dei filmati che hanno consentito di individuare alcuni dei responsabili del massacro. Alle 17.00 il presidente aggiorna il dibattimento. Si prosegue stamani. Bombe permettendo. Per ben due volte i soliti anonimi hanno minacciato di far saltare in aria il palazzo. Fonte: La Repubblica © 18 ottobre 1988

Platini sull'Heysel

Ha ribadito: "Bisognava giocare" - Carraro: "Dobbiamo aiutare i familiari delle vittime".

Mentre a Bruxelles prosegue, fra eccezioni e traduzioni in cinque lingue, il processo ai 24 hooligans inglesi accusati della tragedia dell'Heysel, due voci importanti sono intervenute ieri per parlare del tragico avvenimento. Una è quella di Michel Platini, testimone oculare. In una serie di interviste a quotidiani francesi, l'ex calciatore e neo vicepresidente della squadra del Nancy, ha dichiarato fra l'altro: "Sono convinto, ancora oggi, che fosse necessario giocare l'incontro, altrimenti i morti sarebbero stati di più. Prima del calcio d'avvio, ritardato di due ore circa e dopo la vittoria della Juventus siamo stati presi dalla tristezza. Ma sul terreno, anche se molti non lo hanno capito, ha prevalso la passione. L'Heysel è l'orrore, il peggiore ricordo della mia carriera. Quello che si fa a Bruxelles è il processo alla società attuale". "Perché un processo ! - ha continuato Platini - Non ci sono responsabili. Voglio dire che tutti e nessuno lo sono. Io, in passato, me la sono presa con gli organizzatori e l'Uefa, ma credo invece che questa tragedia prima o poi doveva succedere". A Rimini, partecipando ad un dibattito sull'innovazione turistica, il ministro Franco Carraro ha detto: "Le famiglie delle vittime all'Heysel devono avere giustizia e lo Stato italiano non può non provare sgomento nel sentire che la parte civile che li rappresenta al processo si trova in precarie condizioni economiche. E' per questo motivo che intendo sottoporre alle organizzazioni sportive e a tutti gli organi competenti di farsi carico di un aiuto per non lasciarle sole". Sempre a proposito dell'Heysel, la Bbc ha organizzato a Londra un dibattito fra alcuni familiari delle vittime, parenti degli hooligans accusati e giocatori del Liverpool. Al termine, il principale imputato è sembrato essere lo stadio della capitale belga, definito "decrepito, inadatto, spaventoso". Il giocatore Phil Neal ha poi confermato che anche il Liverpool dopo aver saputo della "tragedia", voleva giocare per "evitare altri problemi". R.S.  Fonte: La Stampa © 19 ottobre 1988

Strage Heysel. Aperto il processo a Bruxelles per i 39 morti allo stadio: imputati eccellenti, insieme ai teppisti 17   inglesi, ora liberi dietro cauzione.

"In nome della legge": hooligans alla sbarra

di Paolo Soldini

Prima udienza al processo per la strage di Heysel. Tre anni e mezzo dopo, i responsabili delle violenze che costarono la vita a 39 persone, nello stadio dove si attendeva la finale della Coppa dei campioni tra la Juve e il Liverpool arrivano in un aula di tribunale. Ma le prime battute, ieri, hanno già fatto intendere che il processo sarà lungo e difficile. II momento della giustizia è ancora lontano.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Un processo difficile, lo si sapeva dalla vigilia, e la conferma è venuta subito ieri mattina nella grande sala delle udienze solenni della Corte d’Assise quando il presidente della quarantesima sezione del tribunale Verlynde ha aperto il procedimento "in nome del Re". Erano passate da poco le nove e fin dal primo mattino la folla dei giornalisti cameramen e fotoreporter in agguato si accalcava davanti ai "metal detectors" piazzati all’ingresso del palazzo di Giustizia, attraverso i quali occhiuti gendarmi facevano filtrare insieme curiosi, imputati e familiari delle vittime. Anonimi questi ultimi se non per il lutto di qualche donna e qualche parola scambiata in italiano, riconoscibili gli hooligans inglesi con il bavero alzato a coprire il viso o il cappuccio dell’eskimo calato sulla testa, arcinote le facce degli imputati "eccellenti", il Borgomastro di Bruxelles Brouhon, l’assessore allo sport signora Baro, i dirigenti dell’Unione calcistica belga e dell’Uefa fatti scivolare discretamente insieme con gli avvocati da un’altra entrata. Il processo per la strage dello stadio di Heysel è cominciato così quasi tre anni dopo l’orrore di quella serata del 29 maggio 1985 con i suoi 39 morti. E’ ricominciato, anzi, perché una prima seduta c’era stata già il 18 aprile scorso, ma gli avvocati della difesa avevano chiesto e ottenuto un rinvio per studiarsi gli atti, 48 mila pagine in cui quei pochi minuti di follia sono fissati nel linguaggio della giustizia. E’ ricominciato sotto la sorveglianza di un imponente servizio di sicurezza dispiegato anche a proteggere le udienze di un altro processo delicato quello ai terroristi delle "cellule comuniste combattenti" che si celebra in un aula accanto e in un clima teso in cui non è mancato neppure un falso allarme alla bomba lanciato chissà da chi e chissà perché. Ed è incominciato soprattutto sotto il segno di una battaglia procedurale che si annuncia complicata e lunghissima. Gli avvocati della difesa si preparano su una trincea di eccezioni che contestano tutto, dalla competenza del tribunale al modo in cui è stata condotta l’istruttoria, al sistema delle traduzioni. Nessuno è in grado di prevedere quando ci sarà la sentenza. I più ottimisti dicono verso gennaio o febbraio, ma c’è anche chi parla di sei, sette, forse, otto mesi. La cronaca delle prime battute è già la cronaca di questa battaglia fatta di schermaglie tecniche e di considerazioni giuridiche scambiate a colpi di fioretto tra l’accusa rappresentata dal procuratore del Re, Erauw, e i trenta avvocati della difesa, coordinati dal britannico sir Livermoore. Le prime testimonianze su quei terribili momenti che sembravano lontani anni luce ieri dall’aula del tribunale di Bruxelles sono previste per l’udienza del 4 novembre. Subito prima o subito dopo dovrebbero essere proiettati i mille e più fotogrammi ripresi dalle tv la sera del 29 maggio. Sarà il momento più duro per i superstiti e per i familiari delle vittime. E forse anche per gli hooligans accusati che liberi sotto cauzione si sono presentati alla prima udienza quasi tutti. Ce n’erano 24 su 26, uno è in galera in Inghilterra per motivi che con Heysel non hanno a che fare, un altro è fuggito, non si sa dove. Fonte: L’Unità © 19 Ottobre 1988

E gli "hooligans" tornano a casa

BRUXELLES - Gli hooligans, sono tornati a casa. In Inghilterra. Non abbiamo soldi, hanno detto al presidente del tribunale che li sta giudicando per la strage allo stadio di Heysel. Non possiamo restare in Belgio per cinque mesi. Rientreremo quando dovremo testimoniare o essere interrogati. Il giudice Pierre Verlynde, il flemmatico presidente della 48esima Chambre de Tribunal de Correction, ha accolto la richiesta dei ventiquattro imputati concedendo loro il nulla osta per il rimpatrio. Siete liberi cittadini, ha detto, potete fare quello che volete. Ma solo una parte dei supporters del Liverpool, accusati di omicidio preterintenzionale e di lesioni gravissime, per la morte di 39 persone e il ferimento di altre 500, ha seguito l'esempio dei compagni. Nonostante le dichiarazioni della vigilia, ieri, alla seconda udienza di questo imponente e difficile dibattimento, otto imputati si sono ugualmente presentati in aula. Per tutta la mattina hanno seguito con attenzione, confortati dall'aiuto degli interpreti, la fitta serie di eccezioni sollevate nuovamente dalla difesa delle parti civili. Uno scontro duro, compatto, che vede contrapposti illustri avvocati internazionali su temi squisitamente tecnico-giuridici. Tre ore e mezzo di battaglia con interventi a raffica, serviti più che altro a chiarire sin dall'inizio la piega che assumerà il vero e proprio dibattimento. Tre i punti più controversi. La difesa, rappresentata dall'ex sindaco di Liverpool, il principe del foro sir Harry Livermore, lamenta il fatto di non avere potuto prendere visione degli atti istruttori. Un dossier imponente, oltre 54 mila pagine, che raccoglie tutte le testimonianze e le perizie compiute durante i 41 mesi dell'inchiesta. Il secondo punto sollevato dai legali degli imputati, riguarda i filmati: 18 ore di riprese tv montate in una sola bobina dalla polizia scientifica. Grazie a queste immagini, si sono potute ricostruire tutte le fasi dell'assurdo attacco alla curva Z, dove erano raggruppati i tifosi italiani, da parte dei reds del Liverpool, e identificare gran parte degli autori delle violenze. La difesa adesso mette in dubbio la validità di quei filmati, parlando apertamente di manipolazione. Terza questione, la citazione a giudizio chiesta da alcune parti civili, del segretario generale della Uefa, lo svizzero Hans Bangerter. Molto probabilmente prima della prossima settimana il dibattimento non riuscirà a decollare. Troppe eccezioni, troppi temi tecnico-giuridici da affrontare e da risolvere. E il presidente, apparentemente, non ha fretta. Il sopralluogo, fissato per venerdì prossimo allo stadio di Heysel può aspettare. Così come gli interrogatori degli imputati inglesi. Sei degli otto hooligans presenti ieri hanno deciso di rientrare in Inghilterra. Torneranno qui a Bruxelles soltanto lunedì prossimo. Si prosegue oggi, nel pomeriggio. (Dal nostro inviato D.M.) Fonte: La Repubblica © 19 ottobre 1988

Gli avvocati dei tifosi inglesi minacciano di abbandonare la difesa

Subito fermo il processo dell'Heysel

di Fabio Galvano

I legali chiedono di poter avere a disposizione tutti gli atti (48 mila pagine) dell'istruttoria - Forse dovranno testimoniare anche Michel Platini, Giampiero Boniperti e il presidente del Liverpool.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Il processo dell'Heysel ha rischiato di saltare. A più riprese, nella drammatica seduta di ieri, gli avvocati degli hooligans inglesi sono entrati in aperto conflitto con il giudice Pierre Verlynde e hanno minacciato di abbandonare la difesa se non otterranno soddisfazione su alcune richieste che definiscono "fondamentali" e che il magistrato ha invece respinto. Così, mentre il processo per la strage del 29 maggio 1985 - 39 morti, fra i quali 32 italiani - entrava nel vivo con l'agghiacciante proiezione dei filmati di quella notte, sono stati gli scontri procedurali a tenere banco. L'eventualità di clamorose svolte non è scomparsa, anche se una mediazione da parte del decano degli avvocati ha rimesso ieri il processo in carreggiata dopo che i legali della difesa avevano già abbandonato l'aula. Ieri a Bruxelles è anche corsa la voce secondo cui Michel Platini, il presidente della Juventus Giampiero Boniperti e il presidente del Liverpool saranno chiamati sul banco dei testimoni da Paul Lombard, uno dei più noti avvocati parigini, che cura gli interessi di alcune vittime francesi. Ma in attesa di conferma, presumibilmente fra una decina di giorni, è la compagine di avvocati guidata dall'anziano Sir Harry Livermore che suscita il maggiore interesse in questa seconda settimana di udienze. Lo scontro è avvenuto alle prime battute della giornata, dopo che il giudice Verlynde aveva emesso la sua sentenza sulle eccezioni procedurali sollevate la scorsa settimana dalla difesa. Le ha, di fatto, respinte: in primo luogo il magistrato si è dichiarato incompetente sulla richiesta della difesa di avere a disposizione, gratuitamente, il dossier degli atti processuali, 48 mila pagine per i cui diritti di riproduzione il tribunale chiede 45 milioni di lire. Tale vicenda, ha detto il giudice, riguarda il ministero delle Finanze. La seconda eccezione riguardava il diritto di chiamare a testimoniare molte delle persone le cui deposizioni sono agli atti: il giudice, che in un primo tempo aveva risposto con un secco no, ha precisato che tale eventualità sarà esaminata sulla scorta del dibattito. Irritati da queste decisioni, gli avvocati difensori hanno chiesto la parola, sentendosela però negare: possono parlare, ha detto il giudice, soltanto i legali degli imputati presenti in aula. E nel Palazzo di Giustizia c'erano, ieri, soltanto due dei ventisei tifosi del Liverpool accusati della strage. E' stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. "Se non possiamo parlare, se non abbiamo certezze sui testimoni e se non abbiamo la possibilità di consultare a nostro agio gli atti - ha dichiarato uno degli avvocati - tanto vale rinunciare alla difesa". Il folto gruppo degli avvocati degli hooligans ha cosi lasciato l'aula; e soltanto la mediazione del decano ha permesso che il dibattito riprendesse. La minaccia di abbandono non è l'unica spada di Damocle che pende sul "processo maledetto": dopo gli scontri di ieri la difesa ha presentato un'eccezione scritta in cui si chiede, dopo la mancata consegna gratuita di una copia del dossier, che tutte le 48 mila pagine vengano lette pubblicamente. Sarebbe la paralisi del processo, settimane da aggiungere ai sei mesi che già si prevedono prima della sentenza. Ma l'obiettivo vero, secondo quanto si osservava ieri nei corridoi del Palazzo di Giustizia, fra i commenti sulle orrende scene dei filmati, è forse di indurre la Corte ad approvare la lettura di parti fondamentali in momenti precisi del dibattito, per sopperire in qualche maniera alle testimonianze che il giudice non vorrebbe ammettere. Fonte: La Stampa © 25 ottobre 1988

Nella curva della morte

BRUXELLES - E’ Gesù che mi ha dato la forza di tornare qui. Da lui ho avuto la forza per sopravvivere giorno dopo giorno, da quando sono stato in carcere. E' la prima volta che vengo in questo stadio dopo la sera della tragedia, ma dovevo venire, era mio dovere. Alan Woodray ha lo sguardo un po' fisso, è emozionato, ha il viso paonazzo, i capelli biondo rossi sulla camicia a quadretti e i jeans di velluto celeste. E' l'unico degli hooligans accusati per la strage dello Heysel che abbia accettato di tornare sul luogo della tragedia. Ed è anche l'unico che mostri segni di pentimento e che accetti fino in fondo il peso delle proprie azioni. Ieri a Bruxelles, al processo per le violenze nello stadio Heysel, che il 29 maggio di tre anni fa costarono la vita a 39 persone (fra le quali 32 italiani), sono accaduti due fatti importanti: l'interrogatorio di Staney Conroy, 36 anni, e David Duncan, 25, entrambi inglesi, due degli accusati. Ed è stato condotto un sopralluogo allo stadio: con Woodray. C'erano il presidente del tribunale, Pierry Verlynde, gli avvocati delle famiglie delle vittime, il presidente della Federcalcio belga Albert Roosens, il sindaco di Bruxelles e due suoi assessori, tutti coinvolti nel processo per le responsabilità attinenti alle condizioni dell'impianto. Conroy è un disoccupato ed è stato il secondo fra gli accusati ad essere sentito dal tribunale. Ha negato quasi tutto: "Non ho minacciato nessuno, non ho partecipato direttamente a quegli incidenti. Avevo solo una bandiera, ma non c'erano sbarre di ferro". La circostanza della spranga metallica era stata indicata da due testimoni italiani e dalle immagini televisive proiettate nel corso dell'udienza. Conroy ha però ammesso di essere stato già condannato, qualche tempo fa, dal tribunale londinese per ubriachezza e violenze nei pressi dello stadio del Tottenham. Nel pomeriggio il presidente Verlynde ha guidato il sopralluogo all'Heysel. C'erano anche i gendarmi responsabili dell'ordine pubblico allo stadio la sera di Juventus-Liverpool e il padre di una delle vittime, il pescarese Nino Cerullo che qui ha perso il figlio, Agostino. Non sono state ammesse le telecamere e gli amministratori e i dirigenti del calcio belga hanno colto l'occasione per scaricarsi di ogni addebito. Così il sindaco Brouhon, presidente federale, ha preso a calci le gradinate della curva Z per dimostrare questa teoria: Vedete, non è possibile né con le mani né coi piedi staccare un pezzo di questa pietra. Ci vogliono dei coltelli. E lascia intendere che quelli erano accessori usati dai tifosi britannici. C'è perfino una piccola polemica, perché Roosens sostiene che lo stadio non è cambiato, che è ancora in perfetta efficienza nonostante sia stato costruito nel 1930. Ma gli avvocati fanno notare che le scale d'accesso sono più larghe di tre anni fa, che ci sono nuovi frangi folla, un accorgimento che nella sera della strage sarebbero tornati assai utili: avrebbero frenato la spinta della gente in fuga e quindi diminuito lo schiacciamento. E la nuova curva: che adesso si chiama settore numero 1 e nella quale è stato rifatto il muretto decrepito che quella notte cedette facendo cadere dall'alto di molti metri alcune delle vittime. La signora Vivane Baro, assessore allo sport, dice che dove si mettono i tifosi belgi, là in alto, non succede mai nulla. Parole di difficile comprensione, forse vuol dire che anche i morti hanno qualche colpa. Alle 15.30 il presidente Verlynde ha dichiarato chiuso il sopralluogo. L'appuntamento è per lunedì mattina nell'aula del tribunale. Fonte: La Repubblica © 29 ottobre 1988

Heysel, solo un "hooligan" sul luogo del delitto

Mr. Alan Woodray è stato I ‘unico dei 26 "hooligans" inglesi, attualmente processati a Bruxelles per la "strage Heysel", ad avere il coraggio di tornare sul luogo del delitto" tre anni e mezzo dopo la tragedia in cui morirono 39 persone. Al sopralluogo di ieri, organizzato dal tribunale belga che sta giudicando la vicenda, hanno preso parte anche alcuni imputati "eccellenti" come il sindaco di Bruxelles Brouhon e I’ex segretario della Federcalcio belga Roosens. Fonte: L’Unità © 29 ottobre 1988

Al processo di Bruxelles per i 39 morti allo stadio non emergono prove decisive contro i teppisti

Heysel, difficile incastrare gli hooligans

Le riprese filmate sono poco chiare e facilmente confutabili dalla difesa - Sarà molto arduo provare le responsabilità dirette - E gli imputati proprio per questo acquistano ogni giorno sicurezza e arroganza.

BRUXELLES - I 24 hooligans inglesi ritenuti responsabili della tragedia dell'Heysel e della morte di 39 persone (fra le quali 32 tifosi italiani), attualmente sotto processo nel tribunale della capitale belga, potrebbero farla franca. Le due prime settimane del complicato dibattimento hanno infatti evidenziato che sarà molto difficile provare la responsabilità diretta degli accusati. Tanto è vero che il collegio dei difensori si fa di giorno in giorno più aggressivo sollevando obiezioni, demolendo testimonianze. In particolare l'esame dei numerosi filmati e delle riprese televisive non ha portato elementi di rilievo a favore dell'accusa. Le immagini della tragica serata del match fra Liverpool e Juventus, trasmesse e ritrasmesse in tribunale al rallentatore, hanno messo in evidenza al momento solo l'assenza delle forze dell'ordine e l'incapacità di queste ultime nel controllare la situazione. E così il gruppo di legali belgi incaricati della difesa sta cercando di raggiungere lo scopo di provare che si tratta di un "processo impossibile", nel quale gli unici imputati realmente accusabili potrebbero diventare il Comune di Bruxelles, proprietario dello stadio obsoleto e l'Unione belga di football, che affitta l'impianto. E gli hooligans si fanno baldanzosi. Michael Barnes, 23 anni, uno dei "duri" del gruppo, il primo ad essere stato ascoltato dal tribunale, definito dalle testimonianze italiane "aggressore, provocatore, elemento attivo della banda e minaccia grave per le forze dell'ordine", ha detto nel corso del suo recente interrogatorio: "Non mi sono mai drogato, non bevo alcol, le testimonianze sono false. Io sono andato a vedere un match di football e non allo stadio per partecipare a risse". Ed in effetti sinora non è stato possibile smentirlo concretamente. Lo stesso Barnes ha detto anzi di essere stato attaccato da un tifoso italiano e di non essere riuscito ad inseguirlo. E le immagini tv gli danno ragione: lo si vede mentre si tiene lontano dal luogo, la tragica tribuna Z, dove sono morti trentanove spettatori. Stessa constatazione per altri tre interrogati successivamente. Un altro degli inglesi (imprigionato in seguito ad una denuncia anonima), Stanley Conroy, 36 anni, il più anziano fra gli imputati, ha replicato alle accuse di avere preso a calci dei tifosi: "Guardate bene il video, non è il mio piede quello che si vede alzarsi, ma quello di un uomo alle mie spalle". In effetti le immagini sono confuse. Sarebbero più chiare quelle riguardanti Gary Evans, 24 anni, ripreso mentre insegue tre gendarmi con un'altra trentina di tifosi del Liverpool. Ma lui si difende: "I poliziotti mi avevano colpito in testa. Qualche istante dopo avevo lanciato delle lattine di birra, ma era molto dopo la caduta del muro". Altri due imputati sentiti ieri, come quelli che li avevano preceduti, si sono dichiarati innocenti. Si tratta di Paul Howard, 23 anni, impiegato in un ristorante italiano, e Kevin Hughes, operaio edile, 22 anni: il primo, in particolare, è considerato uno dei principali responsabili delle cariche mortali. Ma anche per lui la linea difensiva è chiara: nessuna ammissione di responsabilità. Per quanto riguarda le testimonianze di coloro, italiani e non, che hanno affermato nel corso dell'istruttoria di riconoscere negli hooligans interrogati protagonisti precisi della strage, gli imputati se la cavano negando, con maggiore o minore contrizione, su tutta la linea. In sostanza non sembra che l'accusa possa avere nelle mani prove schiaccianti. Gli interrogatori degli hoolingans procederanno sino a metà novembre. L'Uefa proprio ieri è stata chiamata ancora a correo dai difensori delle vittime francesi. Il dibattimento si protrarrà a lungo. Per il nostro ministro degli esteri, Andreotti, la sentenza non si avrà prima di quattro anni. r.s. Fonte: La Stampa © 3 novembre 1988

Strage dell’Heysel: in Inghilterra una crociata per salvare i 26 imputati. Martellante campagna di stampa23 per cercare di imporre un verdetto di assoluzione.

Gli hooligans ? Sono bravi ragazzi

di Alfio Bernabei

I 26 imputati inglesi nel processo per il massacro nello stadio di Heysel che costò la vita di 39 persone saranno tutti assolti per insufficienza di prove. Questo è il parere quasi unanime della stampa britannica. A torto o a ragione si sta creando l'aspettativa per l‘inevitabile risultato, intorno ai 26 esiste ormai un clima di indulgenza con il paese che reclama "vera giustizia" e assoluzione per "i nostri ragazzi".

LONDRA - Dopo aver messo una pietra sopra alla "sfortunata tragedia", i giornali stanno demolendo la farsa nell‘aula del palazzo di Giustizia a Bruxelles sulla quale sono state pubblicate le prime vignette satiriche. "Fuori, fuori, fuori", urlano gli avvocati dipinti come hooligan togati. Non si capisce bene se si riferiscano a se stessi, al giudice Pierre Verlynde che tende a pronunciamenti contraddittori, o ai lacrimosi italiani che come nel film del neorealismo si fanno prendere dalle emozioni. La colpevolezza o meno degli imputati è diventata un argomento di secondo ordine, la linea seguita dalla stampa è quella influentissima suggerita fin dall'inizio dall'avvocato di Liverpool Sir Harry Livermore: il processo è una perdita di tempo, il sistema giudiziario belga è inferiore a quello britannico e il governo non avrebbe mai dovuto acconsentire all'estradizione degli imputati mettendoli in balia di un sistema processuale così diverso che è diventato sinonimo di inefficienza. E adesso che gli imputati sono circondati da confusione procedurale, manovre forensi asservite a scopi politici interni al Belgio e per giunta ad italiani emotivi, è venuto il momento di far scattare la crociata della salvezza, bisogna estricare i 24 (due sono in prigione in Inghilterra per altri motivi) prima che diventino essi stessi vittime innocenti di circostanze pericolose. Gli hooligans di ieri sono diventati "our boys", i nostri ragazzi, e l'altro giorno Sir Harry Livermore, che rappresenta 15 imputati, ha impressionato i giornalisti quando ha usato nei loro riguardi l'espressione "gallant young gang", gruppo di giovani galanti. Che ci sia della messa in scena bene organizzata appare evidente. I 24 imputati non si danno più di gomito sorridendo delle loro bravate come li abbiamo visti fare nell'aula numero 4 della Corte di Highbury a Londra durante le fasi iniziali del processo e non cantano più i loro inni goliardici nel sottoscala del tribunale. In Gran Bretagna macchine fotografiche e telecamere sono vietate così non esiste traccia visuale di questo comportamento. Ora i giornalisti inglesi li descrivono in cravatta, cortesissimi davanti al giudice al quale si rivolgono con un "monsieur le president". Tutti hanno chiesto scusa ai familiari delle vittime prima di tornarsene in Inghilterra perché dopo la confusione nel palazzo di Giustizia sono pervenuti al loro proprio verdetto, non vale la pena di rimanere in Belgio, hanno cose più importanti da fare. Forse non è un caso che l'unico imputato che è tornato nello stadio fra dozzine di giornalisti e telecamere è stato Allan Woodray. "Certo che si provano delle emozioni nel tornare qui, ma sono determinato a non farmi trasportare da esse. In questi anni ho ritrovato Dio ed è lui il solo che mi controlla", ha detto ai giornalisti. A poca distanza da lui c’era il padre italiano di una delle vittime ed è logico pensare che se avesse osato mormorare qualcosa in più del suo "questo è un brutto momento", avrebbe fatto una pessima figura verso il giovane inglese rinato in Dio, ma soprattutto nei confronti dei molti giornalisti presenti. "E’ chiaro che gli avvocati hanno fatto scuola ai loro clienti", scrive il Sunday Times. E aggiunge che secondo voci alcuni avvocati belgi avrebbero accettato di rappresentarli senza percepire alcun compenso o per farsi notare o perché il processo offre loro la possibilità di criticare il sistema legale belga verso cui hanno dette rimostranze di vecchia data. Da qui sarebbe originato il loro comportamento da "ragazzi disordinati", impegnati in una serie di trovate pubblicitarie. In questo modo le sedute vanno avanti lentamente senza che ancora si siano toccati gli aspetti principali e potrebbero continuare fino a febbraio ed oltre. A quel punto anche se uno o due degli accusati fossero giudicati colpevoli, sullo sfondo di tanti elementi confusionari o farseschi, i legali non avrebbero difficoltà nel presentare un appello dopo l’altro. L'andamento del processo e il verdetto che ne verrà fuori non sono esenti da considerazioni di natura interna britannica, in parte legate allo sport e in parte alla politica. Il mondo dello sport ha bisogno di un lifting morale dopo le accuse di doping, di razzismo e l'imprigionamento di un eroe nazionale come il fantino Lester Piggott per evasione fiscale (rimesso in libertà in questi giorni). Sul piano politico non bisogna dimenticare che il premier Thatcher proprio durante una recente visita in Belgio ha posto importanti freni alla nozione dell’integrazione europea in vista del 1992. Uno degli argomenti più sacrosanti è la preservazione dei processi decisionali interni con la massima determinazione di impedire qualsiasi interferenza in aree domestiche tipo quella giudiziaria. La condanna di 26 cittadini britannici all’estero sarebbe uno choc anche politico per il paese. Lo scorso anno i giornali britannici si sono scagliati per diversi mesi e con straordinaria violenza (e con pochi motivi, oltre a quello di rinforzare in senso nazionalistico la propria supposta superiorità legale) contro il sistema giudiziario svedese in seguito alla condanna di un membro dell'esercito inglese trovato in possesso di una vasta quantità di stupefacenti. Quest'anno, come alcuni fanno notare, è la volta del Belgio. Fonte: L’Unità © 3 novembre 1988

Con i torinesi per la prima volta in Belgio dopo l'Heysel

Quei 39 morti calpestati nel processo di Bruxelles

di Fabio Galvano

Da un mese di interrogatori-farsa emergono solo stupidità e faciloneria.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Sembra un'antologia delle occasioni perdute o peggio un tragicomico catalogo di agghiaccianti facilonerie - mentre la Juventus tornava ieri per la prima volta in Belgio a tre anni dalla tragica serata dell'Heysel - il bilancio di oltre un mese di udienze sul processo contro gli hooligans del Liverpool. Di tutto si è sentito nell'imponente aula del Palazzo di Giustizia di Bruxelles: persino il Papa è stato chiamato in causa; e il responsabile della sicurezza ha dovuto ammettere che non aveva mai visto uno stadio prima di quella sera. Ma non una parola di pentimento o di schietto dolore è echeggiata per i 39 morti - 32 italiani - di quel 29 maggio 1985. Dal banco degli imputati il ritornello non cambia: nessuna responsabilità, dicono i tifosi del Liverpool, tutt'al più coinvolgimenti involontari: "7 testimoni che sostengono il contrario sbagliano o mentono". A stupire ha cominciato, l'altra settimana, l'ex segretario generale della federazione calcistica belga, Albert Roosens, accusato di concorso in strage. E' stato lui a tirare in ballo il Papa. Certo che quella era una partita delicata, ha detto: più volte ne aveva discusso con polizia e gendarmeria, ma invano aveva chiesto misure speciali di prevenzione. E quella sera le forze dell'ordine gli erano parse stanche, "forse in conseguenza della visita del Papa". Che, per onor di cronaca, era ripartito dal Belgio già da due settimane. E' poi salito, su quel palcoscenico di toghe nere, il borgomastro di Bruxelles, Hervé Brouhon, chiamato in causa in quanto lo stadio dell'Heysel appartiene al Comune. Brouhon è il personaggio che, l'indomani della tragedia, per difendere l'operato della polizia aveva coniato un'indimenticabile battuta: "E’ stato fatto tutto il possibile - aveva detto - anzi il necessario". In tribunale egli ha continuato sulla stessa falsariga: "Tutto era stato previsto", ha detto. Ma non che gli incidenti scoppiassero prima della gara; non che 39 persone potessero rimanere uccise. Le forze dell'ordine erano poche ? Di più non era stato possibile mobilitarne, ha risposto. Perché non si provvide a proibire la vendita di alcolici ? Perché amministrativamente era impossibile. Tutto così, in tono burocratico; come se il massacro di quella sera fosse davvero una fatalità imprevedibile. Ma la palma degli interrogatori in tribunale spetta forse ai responsabili della sicurezza. Johan Mahieu, capitano della gendarmeria, dirigeva il servizio d'ordine all'interno dello stadio. "Non avevo mai visto una partita di calcio in vita mia", ha candidamente confessato. Per quell'incarico, ha rivelato, lo avevano scelto soltanto il giorno prima, ai suoi ordini aveva non più di cento uomini per controllare 30 mila tifosi. E quando il "blocco Z" dell'Heysel esplose, lui era all'esterno dello stadio, chiamato per altri piccoli incidenti. Per i primi venti minuti del dramma, probabilmente i più drammatici, lui non c'era. Nessuno lo avvisò ? Probabilmente sì, ma chi avrebbe potuto prevedere che il boato degli spalti potesse coprire la gracchiante voce dei walkie-talkie utilizzati per garantire il coordinamento fra l'interno e l'esterno dello stadio ? Perché il capitano Mahieu fu scelto per quell'incarico, nonostante la sua mancanza d'esperienza ? "Perché l'ufficiale originariamente preposto a quel servizio aveva la scarlattina", ha risposto senza battere ciglio il maggiore Michel Kensier. Lui era alla centrale, coordinava da lontano la sicurezza allo stadio; e al processo se l'è presa con gli organizzatori di quella tragica finale di Coppa: "Mi dissero che i tifosi del Liverpool non erano teppisti". Un'altra "perla", che fa a gara con quella emersa dalla testimonianza di Vivianne Baro, Assessore allo Sport del Comune di Bruxelles, quella sera anche lei andò allo stadio. Ma non mentiva quando al giudice ha detto di non sapere nulla di quanto accadde. La spiegazione c'è, ed è stupenda: un poliziotto le disse che c'erano incidenti e lei, saggiamente, se ne tornò a casa. Fonte: La Stampa © 24 novembre 1988

Nella strage dell'Heysel perse l'uso di una mano, ora è senza pensione

"E dopo il danno, le beffe"

La rabbia di Carlo Duchene, il parrucchiere rimasto ferito 3 anni fa a Bruxelles. Secondo l'Inps non raggiunge più la percentuale d'invalidità sufficiente per ottenere l'assegno d'invalidità.

La mano destra è quasi inservibile da quando, quella sera, la usò per ripararsi il capo dai colpi di spranga di un "hooligan" impazzito; soffre di improvvise vertigini, tira avanti a medicine e lavora come può, cercando di non affaticarsi troppo. Eppure Carlo Duchene, 36 anni, ha perso la pensione di invalidità, 420 mila lire al mese: le botte prese allo stadio Heysel di Bruxelles lo hanno menomato per sempre, ma il grado di invalidità non raggiunge più quel 67,7 per cento previsto dalla legge che gli era stato riconosciuto tre anni fa. Duchene non ci sta, sostiene che l'ultima visita a cui si è sottoposto "è stata frettolosa e incompleta", esibisce una perizia di parte, firmata dal prof. Baima Bollone, che attesta una menomazione superiore al 70 per cento. Farà ricorso, se andasse male è disposto a citare l'Inps. La sera del 29 maggio '85, prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, lo stadio di Bruxelles fu teatro di un autentico massacro: 39 morti (32 italiani), oltre 200 feriti. Duchene, parrucchiere di Vigone, restò per settimane tra la vita e la morte, con un trauma cranico che costrinse i medici belgi a un delicato intervento. E' guarito, se può dirsi guarito un uomo bisognoso di cure e periodici controlli, costretto a dosare le proprie forze nel lavoro in negozio. Dall'85 percepiva la pensione di invalidità, l'hanno chiamato a Pinerolo per la visita di conferma (per legge va effettuata ogni tre anni). Racconta: "La dottoressa mi ha fatto dire "trentatré", proprio come nelle barzellette. Mi ha guardato gli occhi, non le mani o la testa. "Sappiamo tutto di lei" mi ha detto congedandomi. Ero tranquillo, poi dall'Inps è arrivata la comunicazione che mi avrebbero tolto l'assegno". Alla sede Inps di Pinerolo, il direttore, Raffaele Tassone, tenta di smorzare la polemica: "Escluderei controlli sommari e frettolosi. Tanto più che, in caso di dubbi, i sanitari possono richiedere visite specialistiche". Aggiunge la dottoressa Trinchino, che ha effettuato la visita: "Ho seguito le normali procedure, basandomi anche sulla documentazione che riassume tutta la vicenda dell'assistito. Visita frettolosa ? Non è vero, tutto normale". Il ricorso, comunque, ci sarà. Lo sta preparando l'avvocato Andrea Gaspari: "Dobbiamo presentarlo entro 90 giorni, ma ne basteranno molti meno. Siamo disposti ad arrivare alla causa civile". L'asso nella manica sarebbe la perizia del professor Baima Bollone, dove si parla di "capacità di lavoro ridotta a meno di un terzo", invalidità dal 71 all'80 per cento, danni permanenti alla mano destra, postumi di trauma cranico e vertigini ricorrenti. Duchene: "Non riesco a capire come tutto questo possa accadere. Del resto, sembra proprio che la maledizione dell'Heysel non debba finire: 2 anni fa mi arrivò perfino il conto dall'ospedale di Bruxelles". Fu un "disguido amministrativo" di cui le autorità belghe si scusarono prontamente. Questa volta, invece, la vicenda potrebbe finire in tribunale. a. già. Fonte: La Stampa © 26 novembre 1988

    
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