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2025
Andrea Lorentini al BN:
"Difendiamo la memoria delle vittime
dell’Heysel"
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2024
"Mio padre morì all'Heysel davanti al
nonno, voleva salvare un bambino"
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2024
"L'Heysel è solo morte il calcio vero è la vita"
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2024
"C'è
ancora tanto bisogno di combattere la violenza"
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2022
"Mio
padre, la sua morte, il suo gesto unico"
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2019
"La
violenza nel calcio non è stata debellata"
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2018
Lorentini: "Ok la piazza per l’Heysel, ma la
Juve..."
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2015
Tragedia Heysel:
"Il
ritiro della maglia 39 sia più di una
commemorazione"
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2015
HEYSEL - Oggi l'iniziativa
dell'associazione familiari"
 |
2015
Heysel,
Associazione Familiari Vittime: "Verità ancora
scomode"
 |
2015
Heysel, 30 anni dopo: applausi,
cartelli e commozione a Torino"
 |
2015
Già
mille firme: "Ritirare la maglia 39 dell'Italia"
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2015
Lorentini:
"Heysel
c'è ancora bisogno di allenare la memoria"
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ALTRE INTERVISTE AD ANDREA LORENTINI
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2014
"Chi offende l'Heysel non
sa che cosa è stato"
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2014
Lorentini: "Io, orfano
dopo l’Heysel ferito dai cori della vergogna"
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2005
L’intervista ad Andrea
Lorentini
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Andrea
Lorentini al BN: "Difendiamo
la memoria
delle vittime dell’Heysel"
di Marco Amato
C’è
moltissimo da dire, non c’è nulla da dire. Di
fronte a questo paradosso riflettiamo e ci
avviciniamo al 29 maggio 2025, data che segna il
quarantennale della strage dell’Heysel.
Cosa fare ? Come
ricordare ? Come si allena la memoria ? A
partire da qui, come redazione de ilBiancoNero,
abbiamo deciso di provare a darci e dare delle
risposte. Per cominciare, abbiamo contattato
Andrea Lorentini, presidente dell’Associazione
fra familiari delle vittime dell’Heysel.
Sul vostro sito scrivete: "La memoria va
difesa e allenata". Come è possibile farlo ?
"La memoria noi cerchiamo di allenarla
attraverso quelle che sono le iniziative che
come Associazione Familiari Vittime dell'Heysel
abbiamo intrapreso ormai da dieci anni, da
quando ci siamo ricostituiti nel 2015 e lo
facciamo principalmente attraverso il ricordo di
quello che è stato, ma unendolo a progetti di
educazione civico-sportiva, in particolare
rivolti alle scuole, quindi agli studenti o
anche ai giovani atleti delle società sportive,
quindi diciamo rivolti ai giovani. Questo perché
riteniamo che il mero ricordo possa essere anche
un po' fine a se stesso ed invece unire il
racconto a ragazzi che nell'85 ovviamente non
erano nemmeno nati, ma che magari molti di loro
nemmeno conoscono questa storia, è il nostro
punto di partenza affinché prendano coscienza di
un evento che fa parte anche della storia di
questo Paese.
E allo stesso tempo però attraverso vari
progetti di educazione civico-sportiva che
decliniamo in maniera differente a seconda anche
dei singoli istituti, dei vari partner con i
quali collaboriamo, anche far capire loro che lo
sport non può essere associato a un evento
tragico o alla morte come è accaduto all'Heysel,
ma lo sport è tutt'altro e dovrebbe essere
invece un veicolo di valori esclusivamente
positivi. Allo stesso tempo la difendiamo
cercando, anche quando è accaduto in questi
anni, di denunciare chi ancora, troppi,
offendono in maniera gratuita le vittime
dell'Heysel, mischiando spesso la rivalità
sportiva con appunto l'inciviltà, perché uno può
essere rivale di una squadra ma non c'è
assolutamente necessità di tirare in ballo 39
innocenti che hanno perso la vita per una
partita di pallone".
C'è una sottolineatura importante che ho
visto che tu e voi come associazione fate
spesso, è la strage dell'Heysel, non è un
incidente, non è una tragedia.
"Una tragedia accade
anche spesso in maniera accidentale, anche per
un evento magari sfortunato. L'Heysel non accade
per caso, non accade per un evento fortuito, per
la sfortuna di una situazione, ma accade perché
ci sono una serie di negligenze che portano poi
a quello che è accaduto. E' una strage perché ci
sono degli assassini materiali che sono gli
hooligans inglesi che ovviamente dal loro
settore invadono il settore Z e provocano
l'ammassamento, lo schiacciamento ovviamente e
la morte di 39 persone e il ferimento di oltre
600, ma questo accade perché loro possono
sostanzialmente agire nel loro atto violento in
maniera indisturbata perché l'ordine pubblico
belga è totalmente inadeguato. Basti pensare che
il settore dove c'erano gli hooligans inglesi e
il settore z era diviso esclusivamente da una
rete da pollaio con pochissimi gendarmi o
comunque poliziotti a fare da scudo e la scelta
di uno stadio che era assolutamente inadeguato e
fatiscente e qua entra in gioco ovviamente la
responsabilità della UEFA che sceglie uno stadio
che è inadeguato per una partita di pallone,
figuriamoci, per una finale di Coppa di Campioni
con una delle due tifoserie che era risaputo
essere assolutamente violenta.
Quindi la UEFA e lo Stato belga sono quelli che
noi spesso sintetizzando definiamo un po' i
mandanti e ovviamente poi gli hooligans sono gli
assassini materiali, ecco perché si parla di
strage non di tragedia. È una tragedia
ovviamente nel suo complesso ma non accade in
maniera fortuita o per sfortuna".
Andrea, come
si intreccia la tua storia personale e familiare
con quello che è successo 40 anni fa all'Heysel
?
"Io all'Heysel ho perso mio padre, Roberto
Lorentini, purtroppo una delle 39 vittime, una
delle 32 italiane. Lui era allo stadio insieme a
mio nonno, quindi a suo padre, che tra l'altro
era tifoso della Fiorentina, quindi era andato
ad accompagnarlo per assistere ad una partita
ovviamente di calcio, una partita che doveva
essere appunto tra due formazioni di assoluto
livello e due suoi cugini, anche loro diciamo
come mio padre tifosi, tifosi bianconeri.
Ovviamente tifosi non appartenenti a gruppi
organizzati né tantomeno frequentanti
abitualmente il tifo juventino, ma che quando
c'era l'occasione andavano a vedere la Juventus.
Erano stati l'anno prima ad assistere alla
finale di Basilea contro il Porto e avevano
scelto insomma trovando i biglietti di assistere
anche a quest'altra finale di Coppa dei Campioni
della Juventus.
Mio padre tra l'altro lui era medico, aveva
soltanto 31 anni quando è accaduta la strage e
la sua è anche una storia particolare perché
dopo le prime cariche degli hooligans inglesi
lui comunque si era messo in salvo, era riuscito
a scamparsela, ma ovviamente essendo medico si
era reso conto che la situazione era
assolutamente drammatica con probabilmente già
delle persone morte e tante altre diciamo anche
ferite sui gradoni, sugli spalti del settore Z e
quindi aveva scelto di tornare nuovamente
indietro nella calca per cercare di prestare
ovviamente soccorso e mentre questo, poi
ricostruito da testimonianze successive, stava
prestando una respirazione bocca a bocca ad un
bambino che poi anche lì si è ricostruito
probabilmente essere Andrea Casula, la più
giovane vittima dell'Heysel, aveva soltanto 11
anni, è arrivata una nuova ondata, un nuovo
assalto degli inglesi e lui è rimasto diciamo
schiacciato perdendo la vita come gli altri
sfortunati e per questo gesto tra l'altro lui è
stato poi insignito della medaglia d'argento al
valore civile".
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Qual è la
storia dell’associazione e qual è stato il ruolo
nel ristabilire la verità processuale ?
"L'associazione fu fondata da mio nonno Otello
Lorentini qualche mese dopo ovviamente la strage
perché lui voleva giustizia per suo figlio e
anche per le altre vittime e quindi c'era la
necessità comunque di affrontare, poi quello
sarebbe stato un processo comunque importante in
uno stato estero e però lui si era reso conto
che da solo sarebbe stato impossibile, allora
decise di ricontattare tutte le famiglie delle
vittime italiane perché l'associazione a cui
facciamo riferimento è quella che riguarda le 32
vittime italiane chiedendo di unirsi per
sostenere come associazione poi il processo.
Quindi l'associazione nasce sostanzialmente a
fine 91-92 dopo circa sette anni.
Successivamente mio nonno poi ha continuato
sotto altre forme ovviamente a promuovere la
lotta contro la violenza nello sport e quindi
dall'aspetto processuale poi ha proseguito nel
suo impegno civico che poi è quello che noi
sostanzialmente oggi riprendiamo e dal 2015 la
seconda fase dell'associazione è una fase più
civica come dicevo prima insomma perché non
abbiamo più un processo da affrontare e
sostenere. Per
quanto riguarda poi il discorso delle verità
processuali noi diciamo che da questo punto di
vista cerchiamo sempre di ribadirle e di
sottolinearle perché spesso il processo
dell'Heysel non viene molto evidenziato, lo
hanno fatto in pochi, lo ha fatto per esempio il
giornalista Francesco Caremani nel suo libro
"Heysel le verità di una strage annunciata" al
quale abbiamo dato anche il nostro patrocinio
come associazione perché spesso magari la
narrazione si ferma poi a quella serata, a
quello che è stato, alle dinamiche, però il
processo comunque è un aspetto molto importante
perché è soprattutto quella che è la sentenza
finale che fa giurisprudenza perché la UEFA
viene condannata.
Tra l'altro anche qua in primo grado era stata
assolta, anche lì poi mio nonno come presidente
dell'associazione scelse anche rischiando
diciamo di citare direttamente la UEFA
nell'appello nonostante poi fosse andata male
tutti i rischi connessi magari di un processo
perso però è stata una scelta coraggiosa che poi
ha dato ragione perché la UEFA è stata
condannata come responsabilità oggettiva e
questo ha cambiato anche poi le regole
d'ingaggio dell'organizzazione degli eventi
diciamo che la UEFA organizza perché prima
dell'Heysel la UEFA aveva circa il 75-80%
dell'incasso ma non era responsabile di quello
che organizzava.
Tra l'altro nel biglietto della finale c'è
proprio scritto che la UEFA declina ogni
responsabilità in caso di incidenti che riletto
a posteriori è abbastanza inquietante come
messaggio, dopo il processo sull'Heysel la UEFA
invece di fatto diventa responsabile e quindi
oggi al di là ovviamente di ancora purtroppo di
eventi che si sono succeduti negli anni di
violenza però ecco uno stadio come l'Heysel di
Bruxelles non sarebbe mai più scelto per una
finale o qualsiasi evento europeo che organizza
la UEFA".
Qual è il
vostro calendario delle iniziative ?
Parteciperete all’inaugurazione di "Verso
Altrove", il memoriale che sorgerà nell’area
della Continassa ?
"Allora parto proprio da l'ultima iniziativa che
hai citato, sì ovviamente abbiamo ricevuto anche
l'invito da parte di Juventus per
l'inaugurazione del 29, saremo presenti non so
se Caramani io personalmente perché chiaramente
ho anche altri impegni diciamo contestuali tra
l'altro abitando anche lontano da Torino anche
logisticamente un pochino più complicato
comunque ci saranno dei rappresentanti
dell'associazione questo sì e poi abbiamo
l'iniziativa che abbiamo organizzato come
associazione in collaborazione con il museo del
calcio di Coverciano il 30 mattina ci sarà
un'iniziativa con le scuole sarà presente il
presidente del museo del calcio Matto Marani ci
sarà tra l'altro anche il presidente dello
Juventus Museum Paolo Garimberti e quindi ecco
lì ci sarà un momento appunto di memoria e anche
di educazione civica perché ci saranno le scuole
che hanno preparato anche dei lavori su questa
tematica alla presenza dei familiari delle
vittime. Queste sono un po' le due iniziative
più su base nazionale poi nelle varie città ci
sono delle iniziative che magari anche le
singole amministrazioni organizzano in ricordo
delle vittime ovviamente del proprio comune e
alle quali dove sarà possibile parteciperemo.
Tra l'altro sono anche in fase di produzione
anche dei lavori dei progetti editoriali a cui
come associazione abbiamo partecipato non posso
diciamo ancora anticipare perché non ho la
certezza di quando andranno in onda però sia dei
podcast dei documentari ci dovrebbe arrivare
appunto in Italia una serie che già è stata
mandata in onda in Belgio e in Francia quindi
abbiamo contribuito anche da un punto di vista
proprio della possibilità di divulgare a un
pubblico quanto più vasto la memoria dell’Heysel
ecco e perché poi è quello che a noi interessa
insomma cercare di far conoscere questa storia
che troppo spesso è stata tenuta un po' sotto
sotto la polvere a quante più persone possibili
per rendere la giusta memoria a 39 persone che
hanno perso la vita per una partita di pallone".
Si ringrazia
Andrea Lorentini per la disponibilità
dimostrata.
Fonte:
Ilbianconero.com © 15 maggio 2025
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Associazione Familiari Vittime Heysel
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Andrea
Lorentini: "Mio padre morì all'Heysel
davanti al
nonno, voleva salvare un bambino"
di Paolo
Tomaselli
Lorentini,
presidente dell’associazione delle vittime della
strage dell’Heysel, domani l’Italia gioca nello
stadio dove il 29 maggio 1985 morirono 39 tifosi
prima di Juve-Liverpool: "I ricordi non si
cancellano".
Andrea
Lorentini, presidente dell’associazione delle
vittime della strage dell’Heysel, domani
l’Italia gioca nello stadio, rimodernato, dove
il 29 maggio 1985 morirono 39 tifosi prima di
Juve-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni. I
tempi sono maturi per parlare di una tragedia
nazionale ?
"Sì, non è
stata solo una tragedia di parte: oltre ai
tifosi juventini, a un fotografo di Reggio
Emilia e a 7 stranieri, quanti sanno che sono
morti anche tre interisti ?".
Oggi ci sarà
una commemorazione davanti alla lapide
dell’Heysel con il presidente Gravina, Spalletti
e Buffon. In pochi ricordano anche che la
Nazionale ha ritirato la maglia 39 in memoria
dei caduti.
"Sì, allora
abbiamo ringraziato molto il presidente
Tavecchio per la sensibilità, come oggi facciamo
con Gravina. La prima cerimonia si svolse nel
2015".
Era la prima
volta all’Heysel per lei ?
"No, fu nel
2005 per il ventennale: una sensazione
straniante. Mio nonno Otello, che ha istituito
l’associazione dopo la strage, raccontò a me e a
mio fratello la dinamica degli incidenti. Il
luogo è stato ricostruito, ma la morfologia
dell’impianto non è così diversa. E quella
sensazione non si cancella".
La storia di
suo padre Roberto resta unica. Forse in tanti
non la ricordano più.
"Lui era già
salvo, ma ha scelto di gettarsi nella calca per
salvare un bambino e mentre gli praticava la
respirazione bocca a bocca è stato travolto. Da
medico ha sacrificato la sua vita ed è un
esempio che portiamo ai giovani nelle scuole:
anche in un momento così drammatico c’è la
speranza di un gesto positivo ed eroico. Lui ha
vissuto fino alla fine per aiutare gli altri e
la medaglia d’argento al valore civile è una
testimonianza per tutti".
Come si
tiene vivo il ricordo ?
"Con diversi
progetti di educazione civico-sportiva: la
memoria fine a se stessa rischia di finire nel
pietismo, noi cerchiamo di riempirla di
contenuti sul fair play".
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Chissà se i
tifosi della Fiorentina si ricordano che Otello
era un grande tifoso viola ed era all’Heysel
solo per accompagnare il figlio.
"Qualcuno lo
saprà, qualcuno farà finta di non saperlo.
Lavoriamo tanto nelle scuole proprio per fare un
po’ di cultura sportiva. Un conto è lo sfottò
tra tifosi, ma il dileggio per la morte di 39
innocenti è una grave mancanza di rispetto e un
vulnus di educazione civica".
Ci sono
ancora cori e striscioni persino sulla strage di
Superga del 1949. La strada sembra lunga, non
trova ?
"Sì, ma nel
nostro piccolo se riusciamo a far riflettere
uno-due ragazzi a ogni incontro e a educarli a
un tifo sano e corretto, è già un successo.
Anche se mi rendo conto che sono gocce nel
mare".
Il rapporto
con la Juve come si è evoluto ?
"C’è sempre
stata una mancanza di memoria fin da subito e
non siamo mai arrivati alla piena condivisione
della vicenda, per cui noi facciamo il nostro
percorso: la logica adesso è proprio quella di
elevare la tragedia da vicenda di parte, con i
morti e lo scalpo del nemico, a una tragedia
europea e italiana".
Lei è stato
molto critico con Boniperti.
"Lui aveva
necessità di dare un valore sportivo a quella
Coppa, l’unica che mancava nella sua parabola di
presidente. Per noi si fa fatica a dare un
significato sportivo a un trofeo che si è
giocato con 39 cadaveri a bordo campo. Per la
Juve, più si parlava della tragedia e più quella
Coppa perdeva di significato".
È assodato
però che si è giocato per limitare i danni.
"Sì, è un
elemento chiave. Mio nonno era a bordo campo
accanto al cadavere di mio padre e pensava
fossero matti a giocare. Ma poi anche in sede
processuale è stato ricostruito che fu
fondamentale disputare la partita per tenere
tutti dentro lo stadio, mentre i carrarmati
dell’esercito venivano chiamati per garantire il
deflusso. Ma non era più un evento sportivo".
Per il
quarantennale farete qualcosa assieme alla Juve
?
"Con Andrea
Agnelli ci siamo incontrati per iniziare un
rapporto diverso, ma non ci siamo pienamente
riusciti. E con la nuova dirigenza non sappiamo
se potremo aprire un nuovo capitolo: preferisco
non sbilanciarmi".
La maglia 39
della Juve è mai stata ritirata ?
"Non mi
risulta".
Fonte: Corriere.it © 13 novembre 2024
Fotografie:
Corriere di Arezzo
© Tuttosport © Corriere della Sera
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La strage allo
stadio 39 anni fa e sabato Otello Lorentini sarà
nel Giardino dei Giusti.
"L'Heysel è solo morte il
calcio vero è la vita"
Andrea Lorentini:
"L'impegno dell'Associazione: trasmettere valori
sani"
di Francesca Muzzi
AREZZO - 29 maggio 1985 -
29 maggio 2024. 39 anni dopo, 39 come i morti
che ci furono all'Heysel. Anche oggi, come da 39
anni, Arezzo ricorda le sue due vittime. Roberto
Lorentini, medico di 31 anni e Giuseppina Conti,
studentessa che di anni ne aveva 17. Pochi,
troppo pochi per morire per una partita di
calcio. Invece è successo. Ma grazie a chi, dopo
quella strage non si è mai arreso a cercare la
verità, qualcosa è cambiato nel mondo del
pallone. Otello Lorentini, padre di Roberto che
era con lui all'Heysel, da quel giorno ha speso
la sua vita e se la possiamo chiamare
ricompensa, questa è arrivata, quando la Uefa è
stata condannata. Sentenza che ha fatto
giurisprudenza. Sabato 1 giugno, grazie
all'associazione Rondine, Otello Lorentini,
scomparso a maggio di dieci anni fa, sarà
inserito nel Giardino dei Giusti dello sport.
Oggi invece, come ogni 29 maggio, da 39 anni,
due famiglie ricordano con più dolore, quel
prima di Juventus-Liverpool, finale di Coppa
Campioni. Le cariche degli Hooligans, il muro
che si sbriciolò, i loro cari che morivano e una
partita che poi venne disputata. Andrea
Lorentini, è il figlio di Roberto e il nipote di
Otello. E' lui che continua a portare avanti
l'Associazione Familiari delle Vittime che il
nonno aveva fondato subito dopo la più grande
strage di sport mai accaduta.
29 maggio com'è questo
giorno ?
Come ogni anno
- risponde Andrea Lorentini -
c'è una dimensione privata e poi
l'impegno con l'associazione. Per quanto
riguarda la parte più privata è sempre un
momento in cui si prova un'emozione forte nel
ricordare in questo giorno mio padre, insieme
alla mia famiglia. Per quanto riguarda invece
quelle che sono le iniziative con
l'Associazione, saremo anche quest'anno, al
Museo del calcio di Coverciano con il quale
abbiamo avviato una collaborazione ormai da
tempo. Insieme al presidente Matteo Marani
incontreremo una scolaresca e racconteremo
quello che è stato l'Heysel facendo memoria
proprio al Museo del calcio, partendo dalla
memoria di un fatto tragico che fa parte della
storia del calcio italiano. Poi ci sarà tutta
un'altra serie di iniziative in giro per
l'Italia dove altri associati parteciperanno in
rappresentanza dell'associazione.
Che cosa ricordi, se
ricordi, di quel 29 maggio 1985 e
successivamente che cosa ti hanno raccontato di
tuo padre ?
Di quel giorno
personalmente non ricordo nulla: avevo appena
tre anni. Di mio padre mi hanno poi raccontato
crescendo, quella che è stata la sua vicenda il
fatto che lui, in salvo dopo le prime cariche
degli Hooligans inglesi, aveva scelto di tornare
in mezzo alla calca per cercare di prestare
soccorso, essendo un medico. Proprio mentre
stava effettuando la respirazione bocca a bocca
ad un bambino che poi è stato riconosciuto come
Andrea Casula, la vittima più giovane
dell'Heysel, appena 11 anni, è stato nuovamente
travolto pagando con la vita. Con questo suo
gesto di estremo altruismo sono cresciuto. Per
me lui è un esempio di coraggio e di eroismo. E'
un gesto che mi sono sempre portato come
esempio, cioè quello di aiutare il prossimo.
Roberto Lorentini, per quel
suo gesto, pagato con la vita, è stato insignito
della medaglia d'argento al valore civile. Oggi,
Andrea, ha il testimone dell'associazione. Che
cosa fate ?
Prima di tutto portare
avanti la memoria delle 39 vittime dell'Heysel,
perché l'Heysel sono le 39 vittime e spesso ce
ne dimentichiamo, perché magari si parla
soprattutto della partita, di Juventus,
Liverpool. Con l'Associazione portiamo avanti
progetti di educazione civica e sportiva per
dare un senso concreto alla memoria. Negli anni
abbiamo fatto à iniziative con Federcalcio,
Istituzioni, Coni però la maggior parte sono con
le scuole, nelle società sportive, nei licei
sportivi proprio per raccontare ai ragazzi
quello che è stato, ma anche quelli che sono i
valori dello sport e ciò che di positivo può
trasmettere. E quindi il sacrificio di quei 39
innocenti possa essere una riflessione per
tutti, affinché non accada mai più, ma
soprattutto questi incontri che facciamo, devono
essere lo spunto per capire quello che di
positivo lo sport può trasmettere. Il nostro
intento è quello di cercare di educare le
giovani generazioni ad uno sport sano e
corretto. Al rispetto verso gli avversari, i
tifosi, l'arbitro.
E' cambiato il calcio da
quel giorno ?
Il calcio è cambiato non
dimentichiamo che il processo che è seguito alla
strage dell'Heysel ha fatto giurisprudenza
perché la Uefa è stata condannata e quindi da
questo punto di vista è responsabile di
eventuali disordini o incidenti che accadono
all'interno di impianti sportivi durante
manifestazioni che organizza. Da questo punto di
vista i parametri di sicurezza sono notevolmente
migliorati, perché uno dei motivi della strage
dell'Heysel fu la scelta di uno stadio
fatiscente e di un ordine pubblico totalmente
negligente. Quello che invece fatichiamo a
cambiare è la cultura sportiva. Lo vediamo anche
in Italia a livello calcistico. Episodi di
violenza dalla serie A fino ai campionati
giovanili. Negli anni ci sono state anche delle
vittime non nella misura dell'Heysel, ma ciò non
cambia la sostanza, perché la perdita di una
vita per un evento sportivo è inaccettabile.
Penso che ancora in Italia ci sia molto da fare
a livello di cultura sportiva. E lo vediamo
quando ancora negli stadi italiani in alcuni non
in tuffi
si vedono gli striscioni con il 39. Si
dileggiano e si offendono le vittime dell'Heysel
in nome di una rivalità sportiva che invece
dovrebbe essere solo sportiva e non trascendere.
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Sei tifoso e se sì di quale
squadra ?
Da bambino ero tifoso
dell'Inter, tifoso moderato. Ovviamente insieme
all'Inter ho sempre tenuto per l'Arezzo. Poi
iniziando a seguire l'Arezzo per lavoro, la
passione per l'Inter è un po' sfumata ed è
rimasta quella per l'Arezzo. Oggi il mio tifo è
amaranto, cercando comunque, professionalmente,
di rimanere più distaccato possibile.
Ma con il
pallone che rapporto hai ?
Avrei potuto odiarlo,
perché il pallone mi ha portato via mio padre.
Ma non l'ho fatto, perché la mia famiglia mi ha
sempre abituato a fare sport. Perché lo sport,
vero, porta con sé comunque valori di
positività. L'Heysel è la morte, ma lo sport, il
calcio, regalano emozioni positive. Ed è su
questo che continueremo a batterci. Per
indirizzare le nuove generazioni verso valori
positivi.
Sabato una cerimonia
speciale a Rondine.
La cerimonia di sabato mi
fa piacere, sono contento che Rondine abbia
scelto di inserire nel giardino dei giusti
Otello Lorentini per quella che è stata la sua
opera di lotta contro la violenza dello sport. E
anche per la sua opera di coraggio nel fondare
l'Associazione Familiari delle Vittime, subito
dopo la strage per dare giustizia a mio padre e
a tutti gli altri. La targa nel Giardino dei
Giusti rende orgoglioso me come nipote e
naturalmente tutta la mia famiglia.
Pensa che le 39 vittime
siano state ricordate a dovere sia ad Arezzo che
in Italia ?
In generale si è sempre
fatto troppo poco per la memoria dell'Heysel.
Non solo ad Arezzo, ma in Italia. E' sempre
stata questa una storia che si è voluta tenere
sotto la polvere. Uno dei motivi per cui ho
ricostituito l'Associazione nel 2015 è proprio
questo, non dimenticarli ed evitare che questa
memoria fosse dileggiata, come ancora oggi
purtroppo questo accade. Ma non solo negli
stadi, ma anche sui social. Ci siamo trovati a
fare diverse querele, per dare un messaggio e
creare così un precedente, perché non si
offendono le persone, morte, in maniera
gratuita. Quindi sì, si poteva fare di più ad
Arezzo come dalle altre parti. L'Heysel è una di
quelle vicende che non si sono mai volute
ricordare fino in fondo, perché metteva in campo
tante situazioni scomode, per come si è
verificata. Sull'Heysel sì, c'è stato un difetto
di memoria, ma queste 39 vittime dovevano essere
onorate e ricordate meglio.
E ad Arezzo ? C'è lo stadio
di Pescaiola intitolato a Roberto Lorentini, il
piazzale dello stadio Comunale che venne
intitolato il giorno di Arezzo-Juventus nel
2007, mentre a Giuseppina Conti è stato
intitolato lo stadio di Rigutino.
Riferendomi alla realtà
aretina, al di là delle istituzioni e di ciò che
è stato fatto o non fatto, voglio però
aggiungere che Roberto Lorentini e Giuseppina
Conti sono nel cuore di tutti gli aretini e in
questi anni ne ho sempre avuto testimonianze di
affetto e di ricordo sia per mio padre per il
suo gesto e per la medaglia d'argento di cui è
stato insignito, e sia per Giuseppina perché era
una ragazza nel pieno della vita con tanti sogni
e quando andiamo a parlare nelle scuole i
ragazzi si sentono molto vicini a questa
ragazza, perché era una studentessa come loro
che amava lo sport, la Juve e aveva tanti sogni.
Arezzo avrà sempre nel cuore Roberto e
Giuseppina E forse tutto ciò vale più di
un'intitolazione di uno stadio.
Fonte: Corriere di Arezzo © 29 maggio 2024
Fotografia:
Andrea Lorentini
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Icone: Pngegg.com
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ANDREA LORENTINI - Figlio
di Roberto, morto tentando di salvare un
bambino, presiede l'Associazione vittime
dell'Heysel.
"C'è ancora tanto bisogno
di combattere la violenza"
"Vedo genitori che intonano
cori beceri imitati dai figli, sull'Heysel manca
una memoria collettiva".
di Marina Salvetti
Andrea Lorentini aveva tre
anni, e suo fratello uno e mezzo, quando suo
papà Roberto è morto all'Heysel. Di lui non ha
ricordi diretti, ma solo ciò che il nonno, la
mamma, i parenti e gli amici gli hanno
raccontato. "Il mio babbo era un medico, il
giorno prima della tragedia aveva ricevuto la
lettera di assunzione in ospedale. Tifava Juve,
ma non era un ultras, l'anno prima era andato a
Basilea per la finale di Coppa delle Coppe,
decise di ripetere l'esperienza anche a
Bruxelles con nonno Otello, tifoso viola, e due
cugini. Proprio mio nonno, crescendo, ci ha
spiegato quello che è successo: papà era
riuscito a mettersi in salvo, poi ha visto un
bambino, Andrea Casula, in difficoltà, è tornato
a prestargli soccorso, gli stava praticando la
respirazione bocca a bocca quando entrambi sono
stati travolti da una nuova carica. Li hanno
trovati insieme".
Andrea, come si sente
quando si avvicina il 29 maggio ?
"Mio padre è vivo nei
nostri ricordi tutto l'anno, in vari momenti
della nostra vita, però quando si avvicina
questa ricorrenza cresce la malinconia e la
tristezza, riapre una ferita che non si
rimargina: a volte brucia meno, a volte di più.
Se non ci fosse stata questa tragedia la nostra
vita con mio padre poteva essere differente, non
avremmo vissuto questo dolore".
Come vorrebbe che fosse
ricordato suo papà ?
"Per Il suo gesto di grande
altruismo che gli è valso anche una medaglia
d'argento al valore civile. E' stato un esempio,
un punto di riferimento, morto aiutando gli
altri e io sono orgoglioso di ciò che ha fatto".
Lei ha raccolto l'eredità
di suo nonno Otello nel tenere viva
l'Associazione Vittime dell'Heysel, di cui è
presidente.
"E vicepresidente è
Emanuela Casula, la sorella di quel bambino che
mio papà ha cercato di soccorrere... Con
l'impegno dell'Associazione cerchiamo di dare un
senso a quelle morti perché è assurdo morire per
una partita di pallone. Così, oltre alla memoria
e alla parte commemorativa, cerchiamo di
sviluppare progetti di educazione civica
sportiva, per educare i giovani, far capire che
lo sport è altro. Infatti domani (NdR: oggi) sarò
al Museo di Coverciano e racconterò ad una
scuola in visita quello che è stato l'Heysel".
Suo nonno riuscì a ottenere
giustizia nel processo a Bruxelles.
"Quel processo ha fatto
giurisprudenza perché l'Uefa è stata condannata.
Ci sono voluti i tre gradi di giudizio ma alla
fine, oltre alle autorità belghe e ad alcuni
tifosi del Liverpool, quelli che sono riusciti a
individuare perché a quei tempi non c'era un
sistema di telecamere, anche l’Uefa è stata
riconosciuta colpevole. Prima dell'Heysel non
era responsabile degli eventi che organizzava,
da allora lo è e per questo motivo ha introdotto
una serie di parametri, tra cui la sicurezza,
nella scelta degli stadi dove disputare gli
eventi. Il merito va a mio nonno che con
l'Associazione si è costituito parte civile e
non ha mollato di un centimetro: qualche volta
l'ho accompagnato anch’io alle udienze. Se
l’Uefa fosse stata responsabile già allora, mai
avrebbe scelto quello stadio, così vetusto e
inadatto a ospitare una finale, a cui si è
aggiunta la negligenza dell'ordine pubblico che
ha permesso agli hooligans di dettare legge".
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Che cosa prova quando sente
i cori beceri e offensivi di frange di tifoserie
italiane sull'Heysel ?
"Uno dei motivi per i quali
ho scelto di ricostruire l'associazione è
proprio combattere questo tipo di inciviltà. Non
si tratta di una tragedia juventina, bensì
italiana ed europea. È una tragedia di tutti:
questo è il messaggio che la nostra associazione
cerca di veicolare. Io posso capire gli sfottò,
le rivalità storiche, fanno parte del tifo, ma i
cori o gli striscioni in alcune curve con la
scritta -39: bisogna avere rispetto e non
offendere persone che sono morte. Eppoi non
tutti erano juventini".
Ha visto in questi anni dei
miglioramenti nella lotta alla violenza negli
stadi ?
"C'è ancora molto da
lavorare, vediamo ancora troppi episodi di
violenza anche verbale, a qualsiasi livello.
Nelle curve assistiamo alle scene di genitori
che fanno cori beceri e il figlio che li emula,
prendendoli da esempio senza rendersi conto. Un
altro problema legato all'Heysel è la mancanza
di una memoria condivisa e collettiva tanti
adolescenti non sanno, forse chi tifa Juventus
conosce un po' la storia della tragedia, gli
altri ragazzi alzano magari uno striscione senza
neppure sapere a che cosa si riferisce. Bisogna
ricordare e far conoscere per evitare che si
ripeta".
Lei ha un progetto
ambizioso che porta avanti da parecchi anni:
istituzionalizzare una giornata nazionale contro
la violenza nello sport.
"Sto tentando, ho avuto
approcci con vari governi, sottosegretari allo
Sport, ministri, la burocrazia poi non aiuta.
Adesso sembra che ci sia una proposta di legge
di iniziativa parlamentare e che possa arrivare
in commissione. Sarebbe un modo per rendere
omaggio a tutti quelli che hanno perso la vita
per lo sport: l'Heysel con 39 morti e 600 feriti
è una tragedia che fa parte della storia
dell'Italia e ha una risonanza maggiore, ma ci
sono tanti altri morti che vanno ricordati".
Qual è la reazione dei
ragazzi ai suoi racconti ?
"Dipende dall'età, noi
andiamo nelle medie e alle superiori, sono
ragazzi dagli 11 ai 15 anni che devono ancora
formarsi. Sono molto attenti quando si racconta,
magari non conoscono la gravità di quei fatti e
allora io porto l'esempio di Giuseppina Conti,
di Arezzo, anche lei vittima dell'Heysel: aveva
17 anni, era tifosissima della Juve, aveva preso
una buona pagelle al Classico e il papà come
premio la portò alla finale. Dico ai ragazzi che
era una di loro, che Il giorno più bello della
sua vita si è trasformato in quello della sua
morte. Devo dire che ha un forte impatto emotivo
e li costringe a riflettere".
Fonte: Tuttosport © 29 maggio 2024
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La Nazione
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"Mio padre,
la sua morte, il suo gesto unico"
di Alberto
Pierini
Lorentini
racconta: così quella sera lo ha cambiato. "Era
al sicuro, corse a salvare un bambino: ha scelto
la vita nello stadio dell’orrore. E’ una perdita
che mi ha cambiato la vita ma mi ha fatto anche
scoprire mio padre".
Andrea
Lorentini, nostro collaboratore e figlio di
Roberto, allora aveva 3 anni: ma ha fatto di
quella serata una sua missione. Guidi il
comitato delle vittime…
"Sì, è stato
nonno Otello a volerlo e non ho voluto che
quella pagina si chiudesse".
Chi c’era
della tua famiglia all’Heysel ?
"Oltre mio
padre, due cugini, Andrea e Gianni Stazio, e
nonno Otello".
Che non
tifava Juventus…
"No, ma
volle andare per stare insieme a suo figlio".
Come nacque
la decisione di questo viaggio ?
"Un anno
prima erano andati a Basilea per la finale di
Coppa delle Coppe: e decisero di ripetere
l’avventura".
Da quello
che poi ti hanno raccontato come vissero
l’escalation della violenza ?
"Ai primi
lanci di pietre e oggetti, quello stadio cadeva
a pezzi e tutto diventava arma, iniziarono a
capire il pericolo".
Nella curva
Z…
"Sì, era
quella dedicata alle famiglie e ai tifosi
neutrali".
Tuo padre
era riuscito a mettersi in salvo…
"Sì, aveva
trovato il modo di uscire dalla calca".
E poi ?
"Vide un
bambino di 11 anni in fin di vita e corse ad
aiutarlo".
Da medico...
"Sì, un
giorno prima aveva ricevuto la lettera di
assunzione in ospedale".
E
quell’aiuto gli fu fatale…
"Lo
ritrovarono morto sotto i corpi: e quel bambino
con lui".
Ne hai
conosciuto i parenti ?
"Sì, si
chiamava Andrea Casula, morì insieme al padre.
La sorella Emanuela è diventata mia amica ed è
la vicepresidente dell’associazione per le
vittime".
Tuo nonno
come si salvò ?
"Riuscì ad
avvicinarsi al campo da gioco, alle reti e non a
quel muro divisorio tra i due settori che poi
crollò".
Come si
accorse della morte del figlio ?
"Cominciò a
cercarlo e lo trovò insieme agli altri corpi".
Come ha
cambiato tutto questo la tua vita ?
"Molto,
anche oltre quanto non avverta. Ma la parte
peggiore è toccata al nonno. Non c’è niente di
peggio che sopravvivere ad un figlio. E poi
trovarsi con la responsabilità insieme a mia
madre di due bambini piccoli, me e mio
fratello".
Somigli
molto a tuo padre…
"Sì, me lo
dicono tutti e ne sono felice".
Fonte: Lanazione.it © 12 ottobre 2022
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Andrea Lorentini ©
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"La violenza
nel calcio non è stata debellata
di Giuliano
Giulianini
Andrea Lorentini, presidente
dell'Associazione Familiari Vittime dell'Heysel,
racconta i progetti di educazione sportiva per
le scuole e l'idea di una giornata nazionale
contro la violenza nello sport.
Secondo
i dati del Ministero dell'Interno durante la
stagione calcistica 2018/2019 gli episodi di
violenza o inciviltà legati alle partite di
calcio professionistico sono stati 120, in
aumento rispetto all'anno precedente. Il
bilancio dei feriti è stato di 46 persone tra i
civili, 58 tra le forze dell'ordine, 17 tra gli
addetti alla sicurezza negli stadi. In tutto ci
sono stati 72 arresti e 1023 persone denunciate.
La violenza nello sport è un fenomeno tanto
attuale quanto paradossale, visto che riguarda
un aspetto della vita civile, lo sport appunto,
che dovrebbe rappresentare i valori
dell'impegno, della collaborazione e del
rispetto per tutti. Il 25 aprile, al Villaggio
per la Terra di Villa Borghese a Roma, campioni,
esperti, giornalisti e rappresentanti delle
istituzioni sportive, si confronteranno con il
pubblico in un talk dal titolo "Peace - Metti in
campo lo sport !". Tra gli ospiti Andrea
Lorentini, giornalista di Tele Etruria e
presidente dell'Associazione Familiari Vittime
dell'Heysel. Lorentini è figlio di una delle 39
vittime della strage di tifosi, in gran parte
italiani, avvenuta prima della finale di Coppa
dei Campioni del 1985. Oggi è attivo
nell'educazione dei ragazzi al rispetto
reciproco, contro gli eccessi dell'odio tra
tifoserie. L'intervista è stata trasmessa nel
programma "Ecosistema", rubrica radiofonica di
EarthDay.it, in onda ogni martedì su Radio
Vaticana Italia.
Andrea,
dagli anni ottanta è cambiato il mondo del
calcio rispetto alla violenza ? Purtroppo, dalle
cronache sembrerebbe di no, con episodi di
violenza più o meno gravi. In effetti sembrano
episodi meno frequenti che in passato, e
soprattutto meno organizzati, ma è realmente
così ?
"La violenza nel calcio non è stata debellata.
Un episodio come quello dell'Heysel non si è più
verificato, però, anche in Italia, negli anni
abbiamo avuto comunque delle vittime della
violenza legata al mondo del calcio. Ricordiamo
Paparelli, ricordiamo Spagnolo, solo per citarne
alcuni. È un problema di cultura, oltre che di
sicurezza degli stadi, perché l'avversario viene
visto come un nemico, quindi spesso le tifoserie
tendono a vivere il momento della partita come
una guerra alle squadre rivali. Non ci si limita
al tifo o magari allo sfottò ironico, che può
essere anche divertente, ma si va oltre: spesso
si cerca lo scontro fisico, come a voler
delimitare un territorio. Purtroppo è un
problema di cultura al quale ancora non si è
trovato un rimedio. Come associazione, nel
nostro piccolo, cerchiamo di promuovere progetti
di educazione civico-sportiva per cercare di
incidere sulle giovani generazioni".
Tu lavori in
un contesto provinciale, ad Arezzo, in Toscana,
una storicamente regione "calda" da questo punto
di vista. Percepisci una differenza fra il tifo
intorno al calcio professionistico, di altissimo
livello, e quello dilettantistico o giovanile ?
C'è una diversa maturità, o comunque un diverso
controllo, un diverso grado di violenza fra
questi due mondi ?
"A livello professionistico può fare più
notizia. In Toscana ci sono molte sfide di
campanile, se così le vogliamo definire, tra le
squadre dei vari capoluoghi della regione,
soprattutto in categorie come la Serie B e C, e
anche a livello giovanile. Io faccio il
giornalista sportivo e devo dire che anche nella
provincia di Arezzo abbiamo avuto alcuni episodi
di violenza, non solo nelle categorie
dilettantistiche ma anche nelle giovanili:
aggressioni agli arbitri piuttosto che episodi
di violenza verbale, magari in tribuna tra i
genitori. Credo che la violenza nel calcio
esista a tutti i livelli proprio perché non si
riesce a vedere l'altro semplicemente come un
avversario. Ciò che spaventa maggiormente, sul
quale bisogna lavorare, è che accadono spesso
episodi nei campionati giovanili, dove i ragazzi
dovrebbero invece vivere quei momenti soltanto
come una crescita personale".
L'Associazione
Familiari delle Vittime dell'Heysel incontra i
bambini delle scuole, proprio perché i problemi
culturali vanno risolti principalmente a scuola.
Come approcciate i bambini e i ragazzi ? Che
risposte ne ricevete ?
"Sviluppiamo progetti legati principalmente
all'educazione civico-sportiva. Per esempio in
questi anni abbiamo promosso il progetto "Un
pallone per la memoria" e coinvolto varie scuole
con iniziative pratiche e ludiche, con i ragazzi
che si confrontano in tornei di calcio,
pallavolo, basket, anche di realtà differenti.
In un nostro progetto, ad esempio, abbiamo
coinvolto un liceo di Bruxelles con due licei
italiani, anche per mettere in correlazione
ragazzi di lingue e culture in parte differenti.
Allo stesso tempo sviluppiamo attività anche
attraverso la nostra testimonianza. All'Heysel
ho perso mio padre, che è stato insignito della
medaglia d'argento al valore civile. Spesso
indipendentemente dal fatto che sia mio padre,
porto lui come esempio, perché in un momento
così drammatico, in cui tra le persone era
prevalso l'odio e non c'è stato rispetto per la
vita umana, in un momento così buio, il suo è
stato un esempio di altruismo. Era un medico. Si
era già salvato dalle prime cariche dei tifosi
inglesi. È tornato indietro ed è stato travolto
da una nuova carica mentre prestava soccorso a
dei tifosi. In particolare ad un bambino che era
rimasto ferito sugli spalti. Cerco sempre di far
capire ai ragazzi che lo sport, il calcio, non è
quello che è accaduto all'Heysel, che anche in
quei momenti ci possono essere esempi per far
capire loro dove stanno il bene e il male. Io
stesso ho praticato lo sport e il calcio,
nonostante il calcio mi abbia privato di un
genitore: uno dei drammi peggiori che può
provare una persona nella propria esistenza. Ho
vissuto lo sport come momento di crescita, di
socializzazione e di sviluppo di relazioni che
poi mi sono portato avanti nel tempo. Ci sono
ragazzi che a tutt'oggi sono miei amici.
Attraverso la mia esperienza, e quella di altri
associati, cerchiamo di far capire ai ragazzi
che lo sport è qualcosa di positivo mettendoli
insieme, facendogli condividere delle giornate
proprio per sviluppare questo rispetto. Ci
possono essere agonismo e competizione, ma ci
deve essere sempre rispetto".
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Come
reagiscono i bambini ?
"Devo dire che c'è grande interesse e che le
risposte sono sempre positive. Di solito,
siccome l'argomento Heysel è abbastanza
delicato, cerchiamo di prepararli, facendo
magari delle riunioni preliminari con gli
insegnanti, soprattutto se ci troviamo a parlare
con ragazzi più piccoli, delle scuole
elementari. Anche se di solito privilegiamo
scuole medie e scuole superiori, perché comunque
è un argomento abbastanza delicato. Vediamo che
i ragazzi sono attenti, ed è soprattutto la
nostra testimonianza a fare molta breccia.
Chiaramente sono delle piccole gocce in un
grande mare. Però, laddove siamo riusciti a
sviluppare la nostra testimonianza anche con
progetti concreti, poi abbiamo avuto una
risposta positiva, confermata successivamente
dagli insegnanti".
Secondo te
c'è modo di recuperare situazioni già
compromesse ? Per esempio i ragazzi che fanno
sport, e calcio in particolare, a livello
agonistico ? Dove le pressioni dell'ambiente,
della squadra, della società e anche dei
genitori sono ancora maggiori perché c'è la
prospettiva di una carriera e di un guadagno ?
Si può ancora intervenire per far capire che
l'avversario è un competitor e non un nemico ?
"Credo che sia più complicato. Noi per questo
abbiamo scelto un target diverso, cercando
proprio di intervenire alla radice, quando
ancora il ragazzo può essere "modellato", detto
in senso buono ovviamente, rispetto a dei valori
positivi. Quando poi lo sport diventa business,
e spesso ci sono di mezzo il denaro e
l'ambizione, allora farlo coincidere con l'etica
è più complicato. Anche i genitori sono un tasto
per certi versi dolente: spesso sono loro che
mettono pressione al ragazzo, lo influenzano.
Magari ribaltano nel ragazzo quella che è la
loro ambizione. Quindi se lo ha messo in
panchina l'allenatore diventa incapace, o una
persona che non lo sa valorizzare. Parlando
spesso con gli istruttori ci rendiamo conto che
per loro non è facile gestire le regole in uno
spogliatoio, in una convivenza, quando il
ragazzo è influenzato dal genitore a casa, o
anche durante la partita. Questo è un vulnus che
difficilmente si può colmare. Ecco perché
secondo me è necessario intervenire a monte".
Invece per
intervenire a valle, con le istituzioni, state
proponendo una giornata di sensibilizzazione
nazionale su questo tema.
"Abbiamo avviato dei contatti con l'attuale
Governo. L'idea ambiziosa è di
istituzionalizzare una giornata nazionale contro
la violenza nello sport, che ogni anno sia un
momento di riflessione, ma legato anche a
progetti concreti. Vedremo quello che poi
riusciremo a concretizzare. "Un pallone per la
memoria" è un progetto che abbiamo sviluppato
con varie scuole in questi anni. Lo abbiamo
proposto anche all'attenzione del Governo, in
particolare del sottosegretario Giorgetti che in
questo momento ha la delega allo sport, come
spunto sul quale lavorare per creare ogni anno
un momento che sia di riflessione ma anche un
momento concreto in cui i ragazzi si possano
confrontare a livello sportivo, seguendo
determinati valori. Vedremo quale sarà
l'evoluzione".
Fonte:
Earthday.it
© 9 aprile 2019 (Testo © Fotografia)
Audio: Radio
Vaticana Italia
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Icone: Pngegg.com
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Lorentini:
"Ok la piazza per l’Heysel, ma
la Juve può
ricordare di più i 39 morti"
di Valerio
Barretta
Se un
pallone è rosso, si può comunque giocare a
calcio. Se è rosso sangue, meglio di no. Il
pallone della finale di Coppa dei Campioni del
29 maggio 1985 tra Juventus e Liverpool di
sangue ne era intriso. Poco prima della partita
i tifosi inglesi caricarono il settore Z dello
stadio Heysel di Bruxelles. Quella fetta di
cemento era destinata ai bianconeri. Questi
ultimi, impauriti, si accalcarono verso un
muricciolo che crollò sotto il loro peso. I
morti furono 39, 32 italiani. Oggi 29 maggio, a
33 anni di distanza, il Comune di Torino li ha
voluti ricordare intitolando loro una piazzetta
compresa tra lungo Dora Agrigento e strada del
Fortino. La cerimonia si è tenuta presso la
biblioteca civica "Italo Calvino". Oltre ai
familiari delle vittime e ai superstiti della
tragedia, erano presenti anche la sindaca Chiara
Appendino e il presidente del Consiglio comunale
Fabio Versaci. C’era anche il presidente
della Associazione familiari vittime Heysel,
Andrea Lorentini. Andrea è figlio di Roberto, un
medico aretino che morì nello stadio belga.
Roberto era sopravvissuto alla prima carica dei
tifosi del Liverpool, ma tornò indietro per
soccorrere un ragazzo calpestato dalla folla. Il
secondo assalto degli hooligans gli fu fatale.
Andrea,
l’intitolazione di una piazza torinese alle
vittime dell’Heysel arriva 33 anni dopo la
strage: secondo lei perché c’è voluto così tanto
tempo ?
Perché si è
sempre cercato di dimenticare l’Heysel. Questa è
una vicenda strumentalizzata ancora oggi e su
cui non si è mai fatto memoria nella maniera
giusta. Mi fa comunque piacere che il Comune sia
arrivato a questo passo. Questa piazza
rappresenterà un momento di riflessione per
tutti coloro che vi passeranno.
Che opinione
ha dell’atteggiamento della società Juventus a
riguardo ?
Prima della
presidenza di Andrea Agnelli il ricordo
dell’Heysel è stato zero. Da quando è arrivato
(NdR: nel 2010), sono state celebrate due messe:
un po’ poco. Dopo 33 anni non c’è una memoria
condivisa tra la Juventus e i familiari delle
vittime. Se la Juventus vorrà impegnarsi a
commemorarle, che lo faccia in maniera sentita e
spontanea. Infatti non chiediamo niente alla
società: lavoriamo per conto nostro affinché
quel dramma non venga dimenticato.
Il ricordo
dell’Heysel è uno degli obiettivi della vostra
associazione.
Sì, noi
familiari cerchiamo di tenerlo vivo. A fatica,
perché - lo ripeto - si è sempre voluto mettere
una pietra sopra alla tragedia. La nostra
associazione parte dalla memoria della strage
per poi sviluppare una serie di progetti di
cultura civica e sportiva lavorando con le
scuole e cercando di promuovere un modo sano di
vivere lo sport, che è condivisione e non odio.
Già, l’odio.
I 39 morti sono stati più volte oggetto di cori
e striscioni infamanti da parte delle tifoserie
anti-juventine. Secondo lei il dolore
dell’Heysel è partigiano ?
Purtroppo
viene percepito come tale, ma non dovrebbe
esserlo. Non si tratta di una tragedia
juventina, bensì italiana ed europea. È una
tragedia di tutti: questo è il messaggio che la
nostra associazione cerca di veicolare. Poi, è
inconfutabile che i tifosi della Juventus
facciano molto per ricordare le vittime: ma lo
fanno anche in risposta a certe curve che si
lasciano andare a comportamenti vergognosi.
Quando sente
i cori offensivi, è più arrabbiato o frustrato
perché non può evitarli ?
Direi
entrambe le cose sullo stesso piano. Da un lato
c’è l’amarezza nel rendersi conto che l’Italia è
a un livello imbarazzante di cultura sportiva.
Dall’altro, ho la conferma che l’attività della
nostra associazione sia importante: siamo una
piccola goccia in un mare, e la battaglia per
promuovere una visione più sana dello sport non
dipende certo da noi. Ma far riflettere negli
incontri un centinaio di ragazzi può essere
importante. Su di loro si può intervenire, sugli
adulti assolutamente no.
Che
punizione darebbe a chi oltraggia la memoria
della tragedia ?
Non mi viene
in mente nessuna sanzione specifica. Quello che
serve è la certezza della pena, e che siano
condanne severe. Servirebbe anche da parte delle
società una presa di distanza importante dalle
tifoserie, cosa che però non avviene mai, perché
le dirigenze preferiscono mantenere dei rapporti
buoni con le curve.
Non ha mai
conosciuto suo padre. Come vorrebbe che fosse
ricordato ?
Come un
esempio, perché è morto aiutando gli altri. Un
esempio dal quale ripartire, da prendere come
punto di riferimento. E sono certamente
orgoglioso di quello che mio padre ha fatto.
Fonte: Futura.news.it © 29 maggio 2018
(Testo
© Video)
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Tragedia
Heysel: "Il ritiro della maglia
n°39 sia più di
una commemorazione"
di Dario
Pelizzari
Il gesto in
programma per l'amichevole Belgio-Italia visto
da Andrea Lorentini, presidente
dell'Associazione familiari delle vittime.
"Siamo molto
soddisfatti che la nostra proposta - resa
pubblica proprio da Panorama.it e quindi accolta
dal presidente della Figc Tavecchio ai microfoni
di Radio 24 - di ritirare la maglia n°39 in
memoria delle altrettante vittime dell'Heysel,
stia per diventare realtà con la cerimonia
prevista proprio nello stadio della tragedia.
Tuttavia, il nostro obiettivo è più ambizioso:
crediamo che il calcio italiano debba trovare la
forza per rinnovarsi al suo interno. Perché
della tragedia dell'Heysel si parla ancora oggi
per ragioni che poco o nulla hanno a che vedere
con la difesa della memoria". A dirlo è Andrea
Lorentini, presidente dell'Associazione
familiari delle vittime dell'Heysel e figlio di
Roberto, un giovane medico che morì sugli spalti
dello stadio belga mentre tentava di salvare un
tifoso italiano. Venerdì 13 novembre ci sarà
anche Andrea a seguire da vicino l'amichevole
tra Belgio e Italia in un impianto completamente
rinnovato, anche nel nome (ieri Heysel, oggi Re
Baldovino): una partita per riannodare i fili
con il passato e onorare la memoria di chi c'era
e non c'è più, ma anche e soprattutto per
rilanciare una sfida che merita di essere
seguita con grande attenzione da chi vuole il
bene del pallone tricolore.
Qual è il
significato che sta dietro al ritiro della
maglia numero 39 ?
"Come è noto
il numero 39 non è previsto in Nazionale, ma il
ritiro della maglia è un gesto simbolico che
rappresenta in modo indiretto una risposta a
tutti coloro che con cori e striscioni
oltraggiosi e vergognosi riportano ancora oggi
alla memoria i fatti dell'Heysel. Spero che la
Figc accolga il nostro appello. Crediamo sia
necessario alzare l'attenzione su questi episodi
deprecabili, affinché il problema venga risolto
una volta per tutte con le sanzioni dure e
definitive. Sarebbe un messaggio forte e
doveroso nei confronti di tutte le vittime del
calcio".
Come
spiegare le ragioni di coloro che ancora oggi si
macchiano di tali episodi ? Follia, ignoranza o
c'è di più ?
"L'ignoranza, prima di tutto. Sono convinto che
nella maggior parte dei casi i responsabili di
questi gesti sappiano poco o nulla di quanto è
accaduto all'Heysel. Perché erano troppo piccoli
per ricordare o perché non hanno sentito
l'esigenza di approfondire l'argomento. E la
colpa di tutto questo è anche di chi ha pensato
che non fosse il caso di riportare alla memoria
una tragedia per molti versi scomoda. Dei fatti
dell'Heysel se n'è parlato troppo poco e male,
perché conveniva un po' a tutti nascondere le
responsabilità sotto il tappeto. La nostra
associazione si sta battendo anche su questo
fronte. Stiamo organizzando incontri con le
scuole e abbiamo chiesto al Coni di inserire
l'educazione civica sportiva nel normale orario
di lezione. Crediamo sia giusto, meglio,
necessario investire sulle nuove generazioni".
Cosa ha
imparato il calcio internazionale dalla tragedia
dell'Heysel ? Pensa che da allora sia stato
fatto tutto il possibile per scongiurare il
ripetersi di una tragedia simile ?
"Prima
dell'Heysel, l'Uefa non era responsabile degli
eventi che organizzava. Incassava circa
l'ottanta per cento dalla vendita dei biglietti,
ma declinava qualsiasi coinvolgimento sullo
svolgimento dello spettacolo, che gravava invece
sulle autorità del luogo dove veniva organizzata
la partita. La sentenza dell'Heysel, che arrivò
in Cassazione nel 1991, condannò l'Uefa come
corresponsabile di quanto successo in Belgio e
da quel momento, tutto o quasi è cambiato.
Perché da allora si presta molta più attenzione
alla scelta degli impianti che ospitano gare
internazionali. Sì, grazie a quella sentenza, la
sicurezza negli stadi è senza dubbio
migliorata".
Al minuto 39
di Italia-Belgio il gioco si fermerà per 60
secondi e sullo schermo dello stadio verranno
mostrati i nomi di tutte le vittime di quel
giorno maledetto di 30 anni fa. L'occasione per
lasciare le bandiere nel cassetto e sistemare i
conti con la storia.
"Sarà un
momento molto emozionante, che consentirà di
portare alla ribalta internazionale una tragedia
che per molto tempo è stata considerata di
parte, legata a filo doppio con la realtà
juventina. In realtà, molte di quelle vittime
non tifavano per i bianconeri. La tragedia
dell'Heysel va vista in ambito europeo prima
ancora che nazionale".
Fonte: Panorama.it © 12 novembre 2015
Fotografia: La
Nazione
Icone: Pngegg.com
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HEYSEL - Oggi
l'iniziativa dell'associazione familiari
di Enzo Ricchiuti
Intervista di
Enzo Ricchiuti ad Annamaria Licata, tifosa e
membro Associazione Familiari vittime
dell'Heysel, che ci informa dell'iniziativa in
programma oggi pomeriggio a Torino, organizzata
dall'associazione.
Cosa succede
il 29 maggio a Torino ?
"C'è il trentennale
dell'Heysel… e noi come Associazione familiari
vittime dell'Heysel… abbiamo organizzato un
evento in memoria delle vittime... il tutto tra
mille difficolta e in alcuni casi pure
ostracismi più o meno velati…""C'è il
trentennale dell'Heysel… e noi come Associazione
familiari vittime dell'Heysel… abbiamo
organizzato un evento in memoria delle
vittime... il tutto tra mille difficolta e in
alcuni casi pure ostracismi più o meno velati…".
Chi è
Lorentini ?
"Lorentini è il figlio
di Roberto Lorentini il medico morto per salvare
Andrea. Il piccolo Andrea. E nipote di Otello
Lorentini".
C'è qualcuno
che s'è preso la briga di ostracizzare persone
così ?
"Sì sì e si sono pure
impegnati…".
Risultati
pochi vedo.
"Alla fine… noi siamo
andati avanti lo stesso nonostante tutto e
abbiamo per fortuna trovato anche sostegno e
collaborazione. C'è chi ci ha scaricato, perché
comunque l'Heysel ancora crea problemi… come il
comune di Torino, anzi più giusto dire come il
sindaco di Torino, che tramite un assessore ci
ha fatto sapere, a due settimane dall'evento…che
non poteva sostenere la nostra richiesta, come
invece fatto l'anno prima e come ci aveva detto
avrebbe fatto anche quest'anno…perché se non
c'era la condivisione della Juve, sarebbe stato
imbarazzante per loro, inteso come Comune, darci
voce e spazio. Insomma quasi una scelta
politica… fermo restando che un no da
un'istituzione dovrebbe essere motivata
diversamente, ad un cittadino. Se poi quel
cittadino è Andrea Lorentini, figlio di Roberto
Lorentini morto da eroe…a maggior ragione la
motivazione dovrebbe avere uno spessore e una
logica diversa. E soprattutto dovrebbe
rispettare le regole di ingaggio
istituzione-cittadino. Per fortuna che c'è
stato, chi invece si è adoperato al massimo con
la giusta sensibilità e attenzione… e di questo
ringrazio e ringraziamo come associazione il
Consiglio Regionale del Piemonte e il Presidente
della Consulta dei Giovani, che in una settimana
ci hanno offerto il loro aiuto e ci hanno
concesso oltre al patrocinio, anche una sede
adeguata e all'altezza dell'evento. Anche se
quello a cui hanno dovuto assistere i familiari
in questi ultimi tre mesi, grida vendetta. Ma
per fortuna in Italia paese di vassalli,
puttane, politici senza scrupoli… ci sono anche
persone rette, di indubbia moralità e con
qualche principio".
Avete invitato
anche quelle ?
"Quelle chi ? Le
puttane o la parte per bene che combatte tutti i
giorni in un paese che non li merita ?".
Il presidente
Agnelli avrà il posto accanto al sindaco e a
Lorentini ?
"Alla Messa forse, da
noi non credo che verrà, anche se noi lo abbiamo
invitato. Non hanno voluto condividere il nostro
Monologo, dato di fatto riconosciuto dallo
stesso Presidente e forse nemmeno volevano si
facesse, senza di loro, ma questo lo aggiungo
io".
E' così brutto
? Il monologo ovviamente, non il pres.
"No era troppo vero e
troppo legato ai fatti e a quanto successe
quella maledetta sera".
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Cos'è che
vorrebbero, il lieto fine ?
"No, solo ricordare i
morti ma senza ricordare i fatti, le
responsabilità e la verità, come invece ha fatto
splendidamente il docufilm di Repubblica,
pubblicato ieri sul sito e che ha avuto credo un
grande successo di condivisione… il nostro
copione è sullo stile del docufilm ovviamente
recitato in un monologo…senza immagini… ma il
filo conduttore è lo stesso".
Quando dici
che non vorrebbero ricordare le responsabilità,
intendi che non vorrebbero ricordare le
responsabilità anzitutto Juve ?
"No. In generale. Loro
vogliono solo ricordare. Noi invece vogliamo
parlare e raccontare la verità altrimenti
continueremo ad ammazzarci negli stadi senza
aver imparato mai nulla…e rimanendo ad
aggiornare il pallottoliere dei morti per una
partita di calcio. E' come se ad un Ebreo gli si
chiedesse di onorare i propri morti ma senza
raccontare della Shoah, senza dire come sono
morti e perché...ma solo che sono morti".
Insomma,
racconterebbero la storia dalla fine come se i
39 li avesse sorpresi un fulmine. Non vogliono
il perché, voi perché si, per condannarli ?
"No… la verità non
serve a condannare… soprattutto se la si
racconta trent'anni dopo. A processi fatti e
finiti… La verità serve a prevenire che possano
risuccedere tragedie simili. E serve ai
familiari delle vittime, per poter sopravvivere
al loro dolore… e ad una perdita, ancora ad oggi
senza senso. Dovuta all'incapacità... la
disorganizzazione… e al business, e a tutto
quello che si poteva sbagliare quella sera…
tutto. Organizzata male, portata avanti peggio,
conclusa nella vergogna. La Juve non ne fu
responsabile… la Juve in tutto questo
inizialmente fu vittima anche lei, in qualche
modo, ma nella gestione del post partita… e del
post tragedia… ha qualcosa da chiedersi…".
Qual è il
programma ?
"Si parte con i saluti
istituzionali da parte del Consiglio Regionale e
la presentazione dell'evento insieme al
Presidente dell'Associazione dei familiari, ci
saranno testimonianze dei familiari in ricordo
dei loro cari, il famoso quanto mai discusso
monologo con un'attrice piemontese d'adozione.
Sarà una cosa particolare fidatevi. Cercheremo
di riprenderlo per poi posarlo sul web. Infine
un dibattito tra i nostri ospiti, giornalisti e
scrittori che hanno deciso di aderire. E chi tra
il "pubblico" vorrà capire…raccontare e
comprendere. Un evento molto equilibrato e
tranquillo voluto dai familiari per ricordare e
raccontare. E come tale sarebbe dovuto essere
rispettato maggiormente e magari sostenuto
invece che sottaciuto".
Sembra una
cosa molto anni '60. Tutti che possono parlare,
alla pari. Non c'è neanche un addetto stampa che
riscriva gli interventi ?
"No no... quale
addetto stampa… si parlerà con il cuore ... non
con le veline".
Non con le
veline che danno la linea e neanche col prete
che dia l'assoluzione. Parlerete con le
coscienze, sfido che vi danno buca.
"Eh beh… non tutti
vogliono sentirle. Troppo faticoso... bisogna
impegnarsi poi per capire. Bisogna pure mettersi
in gioco".
Chi sono i
giornalisti che hanno accettato ?
"Ancora stiamo
attendendo conferme…ma al momento posso dirvi
Massimo Pavan vicedirettore di Tuttojuve...
Darwin Pastorin… Francesco Caremani autore del
libro "Heysel: le verità di una strage
annunciata"... Per altri stiamo aspettando
conferma…".
La giornalista
napoletana Anna Trieste ha scritto sul
napolista.it "gli juventini sono la sfaccimma
della gente".
"Per lei come per
altri chiediamo rispetto per i morti dell'Heysel
dopo aver festeggiato la coppa. "Per chiunque
parli… la colpa di pochi non può essere una
condanna per tutti. Soprattutto se fra quei
"tutti" ci sono anche 39 morti".
Fonte:
Juventibus.com © 29 maggio 2015
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Lorentini e
Caremani ospiti di Rai Sport
Heysel, 30
anni dopo: applausi, cartelli e commozione a
Torino
di Mattia Cialini
Un
+39 gigantesco per zittire la stupidità di chi,
in passato, ha inneggiato alla tragedia. E’ il
39esimo minuto di Juventus-Napoli quando
fioriscono in curva Scirea migliaia di cartelli
con i nomi delle vittime. Perché 39 non resti
solo un numero, quello dei morti (32 italiani e
7 stranieri) della folle notte dell’Heysel: sono
passati 30 anni e l’oblio sarebbe il torto più
grande. Dietro quel numero ci sono 39 volti, 39
storie, 39 tragedie familiari. Lo Juventus
Stadium, ieri in occasione dell’ultima partita
casalinga stagionale dei bianconeri in Serie A,
ha voluto ricordare tutti i nomi delle vittime
di quella drammatica finale di Coppa dei
Campioni perché, come scritto in uno striscione:
"Nessuno muore veramente se vive nel cuore di
chi resta". Tra i nomi innalzati al cielo di
Torino anche quello dei due aretini Giuseppina
Conti, morta a 16 anni, e Roberto Lorentini,
eroico medico 31enne e padre di Andrea, che è
l’attuale presidente dell’Associazione dei
familiari delle vittime: "Ero stato
sommariamente informato della coreografia – dice
Andrea Lorentini – ho ringraziato a nome
dell’associazione la curva Sud dello Juventus
Stadium per la bella iniziativa. E’ stato un
momento molto toccante e significativo, perché
39 non resti un numero senza significato".
L’associazione, fondata da Otello Lorentini,
padre di Roberto e nonno di Andrea, è stata da
poco riattivata. Un’associazione che negli anni
si è battuta strenuamente per tirar fuori la
tragedia dal dimenticatoio.
"E’ così. Mio nonno ha
ottenuto importanti successi, anche legali. La
responsabilità attribuita (anche) all’Uefa per
quel che accadde il 29 maggio 1985 è una
vittoria della sua caparbietà. Ha fatto
giurisprudenza".
Con la società
juventina c’è stato un riavvicinamento ?
"Sì, negli ultimi 5
anni qualcosa si è mosso per merito dell’attuale
presidente Andrea Agnelli. In passato la
Juventus si era chiusa nel silenzio, volendo
considerare la Coppa dei Campioni dell’85 solo
come un successo sportivo".
Dopo 30 anni è
arrivato il momento di una memoria condivisa ?
"L’atteggiamento della
società è cambiato: dalla chiusura totale alla
collaborazione nelle iniziative a ricordo degli
eventi. Purtroppo l’Heysel crea ancora imbarazzi
alla Juve, che vorrebbe edulcorare gli
avvenimenti. Avremmo voluto mettere in piedi uno
spettacolo teatrale sulla vicenda, per
ricostruire davvero quel che accadde: dalla
disorganizzazione che portò migliaia di hooligan
inferociti alla carica, alle condizioni
fatiscenti dello stadio. Non è stato possibile
farlo assieme alla società".
Tra quattro
giorni ricorrerà il 30° anniversario della
strage, cosa farete come associazione ?
"Dalle 16 alle 18
saremo a Torino, al consiglio regionale del
Piemonte, per un momento di riflessione. Sarà
letta anche una lettera di Domenico Laudadio,
custode della memoria dell’Heysel. Alle 19,30 ci
sarà una cerimonia religiosa nella chiesa Grande
Madre di Dio, una messa a cui parteciperanno
anche rappresentati della Juventus. Infine alle
22,30 sarò ospite di Rai Sport per una
trasmissione speciale sull’Heysel. Con me ci
sarà anche Francesco Caremani, giornalista che
ha scritto il libro "Heysel, la verità di una
strage annunciata".
Fonte:
Arezzonotizie.it © 24 maggio 2015
Fotografia:
Omar Rottoli ©
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Heysel,
Associazione familiari vittime: "Verità ancora
scomode"
di Monia
Bracciali
Andrea
Lorentini, presidente, ha ricostituito il
movimento garante della memoria e che si batte
per la divulgazione della verità di quanto
accadde quel 29 maggio e contro i cori d'insulto
alle vittime.
Un tabù. A
distanza di trent'anni di Heysel non si parla e
quando lo si fa è solo perché dagli stadi si
levano cori beceri contro le vittime. "Allenare
la memoria". Andrea Lorentini, 33 anni di Arezzo
e presidente dell'"Associazione familiari
vittime dell'Heysel" lo ripete spesso ma è un
esercizio che non basta se questa non è
accompagnata dalla verità dei fatti storici e
processuali. "Una tragedia scomoda per tanti,
troppi – dice Lorentini - I familiari delle
vittime sono sempre stati lasciati soli e senza
il sostegno delle istituzioni, anche negli anni
del processo contro l'Uefa". Andrea quel 29
maggio del 1985, allo stadio belga perse il
padre Roberto, medico, poi medaglia d'argento al
valore civile. Quest'inverno ha deciso di
ricostituire l'Associazione che trent'anni fa
fondò il nonno Otello, deceduto l'anno scorso,
affinché i familiari ottenessero giustizia,
ottenendo una vittoria storica contro il massimo
organismo calcistico europeo.
Come e
perché si è ricostituita l'Associazione ?
"Ho deciso
di farla rinascere dopo un ragionamento
importante – spiega Lorentini - L'Associazione è
nata nell''85 ed ha cessato la sua attività nel
'92. Negli anni a seguire mi sono sempre
impegnato in prima persona in memoria delle
vittime e nel divulgare la verità dei fatti.
Tuttavia mi sono accorto che farlo a titolo
personale non era abbastanza, che serviva un
soggetto di riferimento. Quindi mi sono
adoperato per ricontattare tutti i familiari
delle vittime. Abbiamo raggiunto un buon numero
e siamo ripartiti".
Quali
obiettivi vi ponete ?
"In primis,
difendere la memoria delle vittime. In Italia,
in molti stadi, i morti vengono oltraggiati con
striscioni e cori offensivi. Nel nostro Paese
mancano cultura sportiva e senso civico. Noi
siamo pronti a difenderci in tutte le sedi,
attraverso le vie legali, perché a contare alla
fine sono sempre i fatti. Ho scritto a tutte le
istituzioni calcistiche e alla Federcalcio per
sensibilizzarli sul tema e non solo con le
vittime dell'Heysel ma anche di Superga come di
Paparelli: non esistono morti di serie A o B.
L'altro nostro obiettivo è allenare la memoria e
questo raccontando la verità e promuovendo
iniziative che possano favorire una riflessione
sul tema, la crescita della cultura sportiva con
particolare riferimento ai giovani. Per questo
abbiamo organizzato diversi incontri nelle
scuole e università".
Perché non
si ricorda mai abbastanza l'Heysel ?
"Finora lo
si è fatto poco e in maniera fuorviante. I
familiari delle vittime sono stati lasciati soli
anche negli anni del processo senza alcun
sostegno istituzionale. In questo contesto
sarebbe stato importante anche quello della
Juventus, così come quello dei mass media, della
stampa. Basti pensare che il primo libro
"Heysel, verità di una strage annunciata" di
Francesco Caremani è potuto uscire solo nel
2003, a diciotto anni di distanza dall'accaduto.
Tutto questo perché la tragedia porta con sé
verità scomode. La Uefa è stata condannata nel
processo, si è macchiata di gravi negligenze
nell'organizzazione della partita, nella scelta
dello stadio, nella gestione dei biglietti. Le
autorità del Belgio non hanno saputo organizzare
un ordine pubblico efficace. E poi ci sono gli
hooligan inglesi, i colpevoli materiali della
strage. Il nostro Governo poi non ha avuto la
volontà di affermarsi per non creare problemi
diplomatici col Belgio, con le autorità
sportive, l'Uefa. E la Juventus ha dato a quella
Coppa un valore sportivo che non esiste. Quella
partita si è giocata solo per motivi di ordine
pubblico per evitare che da 39 i morti salissero
a 300, una volta fuori dallo stadio. Infine, lo
stesso processo contro l'Uefa è passato sotto
traccia, proprio per non disturbare le
istituzioni".
Ha perso un
padre quel 29 maggio del 1985. E' possibile
spiegare cosa si prova davanti ai cori offensivi
e agli insulti ?
"Rabbia e
amarezza nello stesso tempo perché i cori sono
dettati dall'ignoranza e dal fatto che in Italia
la cultura sportiva non c'è. Ancora oggi non c'è
rispetto e nella rivalità tra le tifoserie si
risponde con l'offesa alla memoria di chi non
c'è più. Chi insulta non sa che dietro 39 morti,
ci sono 39 storie, 39 famiglie che si portano
dietro ancora oggi le conseguenze di quanto
accaduto all'Heysel. Dopo i cori dei tifosi
della Fiorentina ho scritto una lettera al
presidente Della Valle: o fa qualcosa o
prendiamo da soli provvedimenti. E poi, ripeto,
l'ignoranza della loro origine. Trentanove
vittime che non erano tutte juventine: tra
queste ci sono per lo più italiani ma anche
belgi, francesi, un nordirlandese. Chi fa i cori
non sa nemmeno cosa sia stato l'Heysel".
Come si può
risolvere il problema ?
"Le società
devono fare la loro parte, prendere le distanze
dalla parte marcia del tifo. Ma appaiono sotto
scacco di questa fetta di tifosi. In più è
necessario che le istituzioni e il Governo
facciano rispettare le leggi in materia. Si
"chiacchiera" molto al proposito ma si fa sempre
poco o nulla".
Appassionato
di sport e di calcio, giornalista sportivo. Alla
luce di quanto accaduto nella sua famiglia, non
ha preso le distanze da tutto...
"No. Mio
nonno ha avviato me e mio fratello alla pratica
sportiva perché lo sport è sempre positivo. Se
fatto in maniera corretta crea legami, insegna
il rispetto, è una scuola di vita. Ecco perché
la mia famiglia non me l'ha negato. Crescendo
poi ho capito cos'era l'Heysel, ma negarci lo
sport sarebbe stato negare un aspetto che conta
tanto nella vita di una persona. La passione di
raccontarlo è poi nata di pari passo, anche se
ci sono lati oscuri e buchi neri in materia.
Conoscendoli, lo si può raccontare in maniera
più consapevole".
Che rapporti
ci sono tra l'associazione e la Juventus ?
"Quando si è
ricostituita, ho informato il presidente. La
Juventus ha tenuto nel cassetto per venticinque
anni la tragedia dell'Heysel. Nel 2010, con
Agnelli presidente da qualche mese, è stata
organizzata la prima messa in suffragio delle
vittime. Quest'anno il 29 maggio saremo a
Torino. É stato positivo veder aprire uno
spiraglio nella volontà di divulgare la memoria.
A fine gennaio ho incontrato il presidente e,
tra le altre cose, c'era in progetto un monologo
teatrale da recitare nel giorno
dell'anniversario allo Juventus Stadium.
L'associazione ha mandato alla società una bozza
del monologo ma il club ci ha risposto che
andava riveduto affinché fosse meno crudo. La
seconda revisione non li convinceva ancora e
hanno chiesto che la bozza fosse visionata e
modificata da un gruppo di loro fiducia. Noi
abbiamo accettato a patto che fossero rispettate
le verità storico processuali. Nell'incontro
finale con la Juventus, a marzo, la loro
revisione era priva del racconto di alcune
dinamiche importanti per comprendere la
tragedia. In sostanza quel testo non
rappresentava la memoria dell'Heysel. E quindi
non abbiamo dato seguito al lavoro. D'altronde,
anche se a trent'anni anni di distanza, non è
conveniente per la Juventus parlarne, in più c'è
Platini ai vertici dell'Uefa. Dare spazio alla
verità significherebbe non dare valore sportivo
a quella Coppa dei Campioni, quindi seguire la
corrente opposta di quella intrapresa da sempre
dal club. Fanno piacere i passi in avanti
compiuti dal club bianconero, peccato che poi ne
faccia qualcuno indietro. Come associazione -
chiude Lorentini - vorremmo che la Juventus si
prendesse tutte le responsabilità del caso ma
non solo: anche le altre società devono fare
qualcosa nel rispetto della memoria di tutte le
vittime".
Fonte: Fantagazzetta.com © 28 maggio 2015
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Lorentini:
"Chiediamo un gesto simbolico nel trentennale"
Ad Arezzo
iniziative per Otello e Giusy e un convegno
Già mille
firme: "Ritirare la maglia 39 dell’Italia"
di Luca
Serafini
Il 29 maggio
la commemorazione a Torino e il giorno dopo la
messa in suffragio con Agnelli e la Juventus.
Ora si attende la risposta della Federcalcio
alla proposta sul numero.
AREZZO
-
Ritirare la maglia numero 39 della Nazionale
italiana per ricordare l'Heysel. Trentanove come
le vittime di quella sera sciagurata, il 29
maggio 1985, a Bruxelles. Finale di Coppa dei
Campioni tra Liverpool e Juventus, l'assalto
degli hooligans, l’inefficienza belga, il
massacro nello stadio. Due aretini tra i morti:
Giuseppina Conti e Roberto Lorentini. Ecco, nel
trentesimo anniversario della strage, una serie
di iniziative, tutt'altro che retoriche. A
partire da quella che riguarda la maglia
azzurra. La proposta dell'Associazione dei
Familiari delle Vittime dell'Heysel, guidata da
Andrea Lorentini, che prosegue sulla scia
tracciata dal nonno Otello.
Come nasce
l'idea del numero 39 dell'Italia da ritirare ?
"Dall'idea
di un gesto simbolico, per ricordare e per
sensibilizzare sul tema sempre attuale della
violenza negli stadi, e nello sport. Un'idea
partita da rappresentanti del tifo juventino,
anche se le 32 vittime italiane non erano
neanche tutte juventine, c'era un interista,
c'era un fotografo lì per lavoro".
Avete
lanciato una petizione on line su change.org
"Sì e sono
già quasi mille le adesioni. Abbiamo scritto al
presidente della Federcalcio, Tavecchio, e anche
al presidente della Lega, Beretta. Attendiamo
una loro risposta. Riteniamo che nel 30° anno
sarebbe importante realizzare un momento di
visibilità e di impatto che ricordi l'Heysel.
L'idea della maglia ci sembra buona. Certo, il
numero 39 nella Nazionale non esiste, ma il
gesto della Figc dovrebbe avere una natura
simbolica. Ritirare la maglia azzurra numero 39
e dedicarla alle vittime dell’Heysel
rappresenterebbe un gesto denso di significato:
l'Heysel entrerebbe così a far parte a pieno
titolo della storia del calcio italiano, al di
là di ogni bandiera e fede calcistica".
Quali
iniziative sono in programma oltre questa ?
"Il 29
saremo a Torino, tra l'altro quest'anno capitale
dello sport, dove per il secondo anno si celebra
il giorno della memoria dell'Heysel. Stiamo
discutendo con la Juventus per condividere un
momento celebrativo. E il sabato 30 maggio, al
mattino, ci sarà una messa in suffragio sempre a
Torino, con l'associazione dei familiari, il
presidente Andrea Agnelli e i dirigenti, la
squadra".
E ad Arezzo
?
"Per giugno
c'è l'idea di sviluppare un convegno sulla non
violenza, con la presenza di personaggi
importanti. E prima del 29 pensiamo ad una
giornata commemorativa per le due vittime
aretine".
Dopo
trent'anni è il momento che l’Heysel diventi un
patrimonio comune di una nazione.
"In questi anni il ricordo e la memoria sono
stati affidati ai parenti delle vittime e quei
tifosi o semplici cittadini che, più volte,
hanno sfidato la burocrazia e il muro di gomma
che è stato eretto su quella tragica serata da
parte delle istituzioni sportive e non solo.
Ecco, l'Associazione auspica che la Federcalcio
possa recepire questa richiesta che arriva non
solo dai familiari delle vittime, ma anche da
tanti tifosi e cittadini che amano il calcio".
Fonte: Corriere di Arezzo © 13 aprile 2015
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Il
giornalista aretino perse il padre a Bruxelles,
oggi rifonda l'associazione dei familiari delle
vittime: "Per non dimenticare".
Lorentini:
"Heysel c'è ancora bisogno di allenare la
memoria"
di Federica
Guerri
Il 29 maggio
saranno trent'anni da quella partita assassina:
"Stiamo organizzando iniziative con la Juve".
AREZZO -
Andrea Lorentini raccoglie il testimone del
nonno Otello (scomparso nel maggio scorso) e
rifonda l'associazione dei familiari delle
vittime dell'Heysel. A Bruxelles quel terribile
29 maggio 1985, Andrea, che aveva tre anni,
perse il padre Roberto. Medico e tifoso
juventino, aveva 31 anni e rimase ucciso per
salvare la vita di un bambino. Insieme a lui,
tra le 39 vittime innocenti, c'era anche la
17enne aretina Giusy Conti. Dopo quella tragedia
Otello Lorentini, anche lui all'Heysel per
quella finale di Coppa dei Campioni assassina,
fondò il Comitato delle vittime dell'Heysel per
avere giustizia in sede legale, sciogliendolo
una volta ottenuta (fece condannare anche la
Uefa). Oggi rinasce per non dimenticare.
Andrea, perché questa scelta ?
Un po' sull'onda emotiva della
scomparsa di mio nonno e quindi per non
interrompere un percorso di battaglia da lui
iniziato e portato avanti per tutta la vita, e
un po' per tenere viva la memoria di quella
tragedia. Da più parti mi era stato chiesto di
raccogliere il testimone di mio nonno, ma da
solo era complicato, così ho scritto a tutte le
famiglie delle vittime italiane (32) e ho avuto
molte risposte positive. Ci siamo riuniti il 17
gennaio nella sede dell'Arbitro Club, ad Arezzo,
nel piazzale intitolato a mio padre.
Lei presidente, Emanuela Casula, figlia
di Giovanni e sorella di Andrea, vice
Presidente, e Riccardo Balli, fratello di Bruno,
segretario. Sente che ci sia ancora molto
bisogno di esercitare la memoria ?
Più passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che è accaduto, ma
la memoria va allenata e se ci sarà bisogno
d'intervenire lo faremo, perché non ne posso più
di sentire offendere i morti e la memoria
dell'Heysel, come quella di mio padre. Certo per
me e per tutti gli altri è un sacrificio, ma
anche un atto dovuto.
I trent'anni possono essere l’occasione
giusta per riportare l’attenzione sul tema della
violenza negli stadi...
Stiamo lavorando ad alcune iniziative
commemorative, vogliamo cogliere l'occasione del
trentennale come spunto di riflessione per
parlare della violenza che purtroppo non è fuori
dai nostri stadi. L'associazione vuole farsi
portavoce di gesti concreti che diffondano i
veri valori dello sport che sono in antitesi con
i fatti di Bruxelles.
C'è ancora molto da lavorare sugli stadi
?
All'Inghilterra, patria dei carnefici
dell'Heysel, quella tragedia è servita a
trasformare gli stadi in salotti con le forze
dell'ordine pronte ad intervenire ad ogni minima
intemperanza. In Italia no.
Con la Juventus però, si è instaurato un
buon dialogo...
Assolutamente sì. La presidenza
Agnelli ha da subito dimostrato una sensibilità
diversa nei confronti dell'Heysel. Abbiamo
aperto questo canale e speriamo di riuscire ad
organizzare insieme numerose iniziative.
Anche la tifoseria bianconera sta
dimostrando vicinanza (tra l’altro dopo la morte
di Otello Lorentini i tifosi esposero uno
striscione allo Juventus Stadium con scritto
"Ciao Otello, 39 volte grazie".
Sì c'è un'attenzione crescente e un
atteggiamento propositivo e di rispetto verso le
vittime dell'Heysel, io stesso ho ricevuto
tantissimi attestati di coraggio dopo la morte
di mio nonno.
Suo nonno e anche lei avete sempre
ribadito che quella Coppa insanguinata doveva
essere restituita...
Andava restituita subito. Adesso
sarebbe un gesto anacronistico. Ma sono felice
che nel museo dello Juventus Stadium quella
Coppa sia esposta in maniera differente dalle
altre, senza foto, video e messaggi celebrativi.
Una cornice sobria con scritto "In memoriam" che
sembra dire questa coppa è qui ma nessuno deve
festeggiarla.
Fonte: Corriere di Arezzo © 11 febbraio 2015
Fotografie: Corriere di Arezzo ©©
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