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INTERVISTE
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INTERVISTE  ASSOCIAZIONE 2015-2025
2025 Andrea Lorentini al BN: "Difendiamo la memoria delle vittime dell’Heysel"
2024 "Mio padre morì all'Heysel davanti al nonno, voleva salvare un bambino"
2024 "L'Heysel è solo morte il calcio vero è la vita"
2024 "C'è ancora tanto bisogno di combattere la violenza"
2022 "Mio padre, la sua morte, il suo gesto unico"
2019 "La violenza nel calcio non è stata debellata"
2018 Lorentini: "Ok la piazza per l’Heysel, ma la Juve..."
2015 Tragedia Heysel: "Il ritiro della maglia 39 sia più di una commemorazione"
2015 HEYSEL - Oggi l'iniziativa dell'associazione familiari"
2015 Heysel, Associazione Familiari Vittime: "Verità ancora scomode"
2015 Heysel, 30 anni dopo: applausi, cartelli e commozione a Torino"
2015 Già mille firme: "Ritirare la maglia 39 dell'Italia"
2015 Lorentini: "Heysel c'è ancora bisogno di allenare la memoria"
ALTRE INTERVISTE AD ANDREA LORENTINI
2014 "Chi offende l'Heysel non sa che cosa è stato"
2014 Lorentini: "Io, orfano dopo l’Heysel ferito dai cori della vergogna"
2005 L’intervista ad Andrea Lorentini
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 15.05.2025

Andrea Lorentini al BN: "Difendiamo

la memoria delle vittime dell’Heysel"

di Marco Amato

C’è moltissimo da dire, non c’è nulla da dire. Di fronte a questo paradosso riflettiamo e ci avviciniamo al 29 maggio 2025, data che segna il quarantennale della strage dell’Heysel.

Cosa fare ? Come ricordare ? Come si allena la memoria ? A partire da qui, come redazione de ilBiancoNero, abbiamo deciso di provare a darci e dare delle risposte. Per cominciare, abbiamo contattato Andrea Lorentini, presidente dell’Associazione fra familiari delle vittime dell’Heysel.

Sul vostro sito scrivete: "La memoria va difesa e allenata". Come è possibile farlo ?

"La memoria noi cerchiamo di allenarla attraverso quelle che sono le iniziative che come Associazione Familiari Vittime dell'Heysel abbiamo intrapreso ormai da dieci anni, da quando ci siamo ricostituiti nel 2015 e lo facciamo principalmente attraverso il ricordo di quello che è stato, ma unendolo a progetti di educazione civico-sportiva, in particolare rivolti alle scuole, quindi agli studenti o anche ai giovani atleti delle società sportive, quindi diciamo rivolti ai giovani. Questo perché riteniamo che il mero ricordo possa essere anche un po' fine a se stesso ed invece unire il racconto a ragazzi che nell'85 ovviamente non erano nemmeno nati, ma che magari molti di loro nemmeno conoscono questa storia, è il nostro punto di partenza affinché prendano coscienza di un evento che fa parte anche della storia di questo Paese. E allo stesso tempo però attraverso vari progetti di educazione civico-sportiva che decliniamo in maniera differente a seconda anche dei singoli istituti, dei vari partner con i quali collaboriamo, anche far capire loro che lo sport non può essere associato a un evento tragico o alla morte come è accaduto all'Heysel, ma lo sport è tutt'altro e dovrebbe essere invece un veicolo di valori esclusivamente positivi. Allo stesso tempo la difendiamo cercando, anche quando è accaduto in questi anni, di denunciare chi ancora, troppi, offendono in maniera gratuita le vittime dell'Heysel, mischiando spesso la rivalità sportiva con appunto l'inciviltà, perché uno può essere rivale di una squadra ma non c'è assolutamente necessità di tirare in ballo 39 innocenti che hanno perso la vita per una partita di pallone".

C'è una sottolineatura importante che ho visto che tu e voi come associazione fate spesso, è la strage dell'Heysel, non è un incidente, non è una tragedia.

"Una tragedia accade anche spesso in maniera accidentale, anche per un evento magari sfortunato. L'Heysel non accade per caso, non accade per un evento fortuito, per la sfortuna di una situazione, ma accade perché ci sono una serie di negligenze che portano poi a quello che è accaduto. E' una strage perché ci sono degli assassini materiali che sono gli hooligans inglesi che ovviamente dal loro settore invadono il settore Z e provocano l'ammassamento, lo schiacciamento ovviamente e la morte di 39 persone e il ferimento di oltre 600, ma questo accade perché loro possono sostanzialmente agire nel loro atto violento in maniera indisturbata perché l'ordine pubblico belga è totalmente inadeguato. Basti pensare che il settore dove c'erano gli hooligans inglesi e il settore z era diviso esclusivamente da una rete da pollaio con pochissimi gendarmi o comunque poliziotti a fare da scudo e la scelta di uno stadio che era assolutamente inadeguato e fatiscente e qua entra in gioco ovviamente la responsabilità della UEFA che sceglie uno stadio che è inadeguato per una partita di pallone, figuriamoci, per una finale di Coppa di Campioni con una delle due tifoserie che era risaputo essere assolutamente violenta. Quindi la UEFA e lo Stato belga sono quelli che noi spesso sintetizzando definiamo un po' i mandanti e ovviamente poi gli hooligans sono gli assassini materiali, ecco perché si parla di strage non di tragedia. È una tragedia ovviamente nel suo complesso ma non accade in maniera fortuita o per sfortuna".

Andrea, come si intreccia la tua storia personale e familiare con quello che è successo 40 anni fa all'Heysel ?

"Io all'Heysel ho perso mio padre, Roberto Lorentini, purtroppo una delle 39 vittime, una delle 32 italiane. Lui era allo stadio insieme a mio nonno, quindi a suo padre, che tra l'altro era tifoso della Fiorentina, quindi era andato ad accompagnarlo per assistere ad una partita ovviamente di calcio, una partita che doveva essere appunto tra due formazioni di assoluto livello e due suoi cugini, anche loro diciamo come mio padre tifosi, tifosi bianconeri. Ovviamente tifosi non appartenenti a gruppi organizzati né tantomeno frequentanti abitualmente il tifo juventino, ma che quando c'era l'occasione andavano a vedere la Juventus. Erano stati l'anno prima ad assistere alla finale di Basilea contro il Porto e avevano scelto insomma trovando i biglietti di assistere anche a quest'altra finale di Coppa dei Campioni della Juventus. Mio padre tra l'altro lui era medico, aveva soltanto 31 anni quando è accaduta la strage e la sua è anche una storia particolare perché dopo le prime cariche degli hooligans inglesi lui comunque si era messo in salvo, era riuscito a scamparsela, ma ovviamente essendo medico si era reso conto che la situazione era assolutamente drammatica con probabilmente già delle persone morte e tante altre diciamo anche ferite sui gradoni, sugli spalti del settore Z e quindi aveva scelto di tornare nuovamente indietro nella calca per cercare di prestare ovviamente soccorso e mentre questo, poi ricostruito da testimonianze successive, stava prestando una respirazione bocca a bocca ad un bambino che poi anche lì si è ricostruito probabilmente essere Andrea Casula, la più giovane vittima dell'Heysel, aveva soltanto 11 anni, è arrivata una nuova ondata, un nuovo assalto degli inglesi e lui è rimasto diciamo schiacciato perdendo la vita come gli altri sfortunati e per questo gesto tra l'altro lui è stato poi insignito della medaglia d'argento al valore civile".

 

Qual è la storia dell’associazione e qual è stato il ruolo nel ristabilire la verità processuale ?

"L'associazione fu fondata da mio nonno Otello Lorentini qualche mese dopo ovviamente la strage perché lui voleva giustizia per suo figlio e anche per le altre vittime e quindi c'era la necessità comunque di affrontare, poi quello sarebbe stato un processo comunque importante in uno stato estero e però lui si era reso conto che da solo sarebbe stato impossibile, allora decise di ricontattare tutte le famiglie delle vittime italiane perché l'associazione a cui facciamo riferimento è quella che riguarda le 32 vittime italiane chiedendo di unirsi per sostenere come associazione poi il processo. Quindi l'associazione nasce sostanzialmente a fine 91-92 dopo circa sette anni. Successivamente mio nonno poi ha continuato sotto altre forme ovviamente a promuovere la lotta contro la violenza nello sport e quindi dall'aspetto processuale poi ha proseguito nel suo impegno civico che poi è quello che noi sostanzialmente oggi riprendiamo e dal 2015 la seconda fase dell'associazione è una fase più civica come dicevo prima insomma perché non abbiamo più un processo da affrontare e sostenere. Per quanto riguarda poi il discorso delle verità processuali noi diciamo che da questo punto di vista cerchiamo sempre di ribadirle e di sottolinearle perché spesso il processo dell'Heysel non viene molto evidenziato, lo hanno fatto in pochi, lo ha fatto per esempio il giornalista Francesco Caremani nel suo libro "Heysel le verità di una strage annunciata" al quale abbiamo dato anche il nostro patrocinio come associazione perché spesso magari la narrazione si ferma poi a quella serata, a quello che è stato, alle dinamiche, però il processo comunque è un aspetto molto importante perché è soprattutto quella che è la sentenza finale che fa giurisprudenza perché la UEFA viene condannata. Tra l'altro anche qua in primo grado era stata assolta, anche lì poi mio nonno come presidente dell'associazione scelse anche rischiando diciamo di citare direttamente la UEFA nell'appello nonostante poi fosse andata male tutti i rischi connessi magari di un processo perso però è stata una scelta coraggiosa che poi ha dato ragione perché la UEFA è stata condannata come responsabilità oggettiva e questo ha cambiato anche poi le regole d'ingaggio dell'organizzazione degli eventi diciamo che la UEFA organizza perché prima dell'Heysel la UEFA aveva circa il 75-80% dell'incasso ma non era responsabile di quello che organizzava. Tra l'altro nel biglietto della finale c'è proprio scritto che la UEFA declina ogni responsabilità in caso di incidenti che riletto a posteriori è abbastanza inquietante come messaggio, dopo il processo sull'Heysel la UEFA invece di fatto diventa responsabile e quindi oggi al di là ovviamente di ancora purtroppo di eventi che si sono succeduti negli anni di violenza però ecco uno stadio come l'Heysel di Bruxelles non sarebbe mai più scelto per una finale o qualsiasi evento europeo che organizza la UEFA".

Qual è il vostro calendario delle iniziative ? Parteciperete all’inaugurazione di "Verso Altrove", il memoriale che sorgerà nell’area della Continassa ?

"Allora parto proprio da l'ultima iniziativa che hai citato, sì ovviamente abbiamo ricevuto anche l'invito da parte di Juventus per l'inaugurazione del 29, saremo presenti non so se Caramani io personalmente perché chiaramente ho anche altri impegni diciamo contestuali tra l'altro abitando anche lontano da Torino anche logisticamente un pochino più complicato comunque ci saranno dei rappresentanti dell'associazione questo sì e poi abbiamo l'iniziativa che abbiamo organizzato come associazione in collaborazione con il museo del calcio di Coverciano il 30 mattina ci sarà un'iniziativa con le scuole sarà presente il presidente del museo del calcio Matto Marani ci sarà tra l'altro anche il presidente dello Juventus Museum Paolo Garimberti e quindi ecco lì ci sarà un momento appunto di memoria e anche di educazione civica perché ci saranno le scuole che hanno preparato anche dei lavori su questa tematica alla presenza dei familiari delle vittime. Queste sono un po' le due iniziative più su base nazionale poi nelle varie città ci sono delle iniziative che magari anche le singole amministrazioni organizzano in ricordo delle vittime ovviamente del proprio comune e alle quali dove sarà possibile parteciperemo. Tra l'altro sono anche in fase di produzione anche dei lavori dei progetti editoriali a cui come associazione abbiamo partecipato non posso diciamo ancora anticipare perché non ho la certezza di quando andranno in onda però sia dei podcast dei documentari ci dovrebbe arrivare appunto in Italia una serie che già è stata mandata in onda in Belgio e in Francia quindi abbiamo contribuito anche da un punto di vista proprio della possibilità di divulgare a un pubblico quanto più vasto la memoria dell’Heysel ecco e perché poi è quello che a noi interessa insomma cercare di far conoscere questa storia che troppo spesso è stata tenuta un po' sotto sotto la polvere a quante più persone possibili per rendere la giusta memoria a 39 persone che hanno perso la vita per una partita di pallone". Si ringrazia Andrea Lorentini per la disponibilità dimostrata. Fonte: Ilbianconero.com © 15 maggio 2025 Tweet: Associazione Familiari Vittime Heysel © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 13.11.2024

Andrea Lorentini: "Mio padre morì all'Heysel

davanti al nonno, voleva salvare un bambino"

di Paolo Tomaselli

Lorentini, presidente dell’associazione delle vittime della strage dell’Heysel, domani l’Italia gioca nello stadio dove il 29 maggio 1985 morirono 39 tifosi prima di Juve-Liverpool: "I ricordi non si cancellano".

Andrea Lorentini, presidente dell’associazione delle vittime della strage dell’Heysel, domani l’Italia gioca nello stadio, rimodernato, dove il 29 maggio 1985 morirono 39 tifosi prima di Juve-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni. I tempi sono maturi per parlare di una tragedia nazionale ?

"Sì, non è stata solo una tragedia di parte: oltre ai tifosi juventini, a un fotografo di Reggio Emilia e a 7 stranieri, quanti sanno che sono morti anche tre interisti ?".

Oggi ci sarà una commemorazione davanti alla lapide dell’Heysel con il presidente Gravina, Spalletti e Buffon. In pochi ricordano anche che la Nazionale ha ritirato la maglia 39 in memoria dei caduti.

"Sì, allora abbiamo ringraziato molto il presidente Tavecchio per la sensibilità, come oggi facciamo con Gravina. La prima cerimonia si svolse nel 2015".

Era la prima volta all’Heysel per lei ?

"No, fu nel 2005 per il ventennale: una sensazione straniante. Mio nonno Otello, che ha istituito l’associazione dopo la strage, raccontò a me e a mio fratello la dinamica degli incidenti. Il luogo è stato ricostruito, ma la morfologia dell’impianto non è così diversa. E quella sensazione non si cancella".

La storia di suo padre Roberto resta unica. Forse in tanti non la ricordano più.

"Lui era già salvo, ma ha scelto di gettarsi nella calca per salvare un bambino e mentre gli praticava la respirazione bocca a bocca è stato travolto. Da medico ha sacrificato la sua vita ed è un esempio che portiamo ai giovani nelle scuole: anche in un momento così drammatico c’è la speranza di un gesto positivo ed eroico. Lui ha vissuto fino alla fine per aiutare gli altri e la medaglia d’argento al valore civile è una testimonianza per tutti".

Come si tiene vivo il ricordo ?

"Con diversi progetti di educazione civico-sportiva: la memoria fine a se stessa rischia di finire nel pietismo, noi cerchiamo di riempirla di contenuti sul fair play".

Chissà se i tifosi della Fiorentina si ricordano che Otello era un grande tifoso viola ed era all’Heysel solo per accompagnare il figlio.

"Qualcuno lo saprà, qualcuno farà finta di non saperlo. Lavoriamo tanto nelle scuole proprio per fare un po’ di cultura sportiva. Un conto è lo sfottò tra tifosi, ma il dileggio per la morte di 39 innocenti è una grave mancanza di rispetto e un vulnus di educazione civica".

Ci sono ancora cori e striscioni persino sulla strage di Superga del 1949. La strada sembra lunga, non trova ?

"Sì, ma nel nostro piccolo se riusciamo a far riflettere uno-due ragazzi a ogni incontro e a educarli a un tifo sano e corretto, è già un successo. Anche se mi rendo conto che sono gocce nel mare".

Il rapporto con la Juve come si è evoluto ?

"C’è sempre stata una mancanza di memoria fin da subito e non siamo mai arrivati alla piena condivisione della vicenda, per cui noi facciamo il nostro percorso: la logica adesso è proprio quella di elevare la tragedia da vicenda di parte, con i morti e lo scalpo del nemico, a una tragedia europea e italiana".

Lei è stato molto critico con Boniperti.

"Lui aveva necessità di dare un valore sportivo a quella Coppa, l’unica che mancava nella sua parabola di presidente. Per noi si fa fatica a dare un significato sportivo a un trofeo che si è giocato con 39 cadaveri a bordo campo. Per la Juve, più si parlava della tragedia e più quella Coppa perdeva di significato".

È assodato però che si è giocato per limitare i danni.

"Sì, è un elemento chiave. Mio nonno era a bordo campo accanto al cadavere di mio padre e pensava fossero matti a giocare. Ma poi anche in sede processuale è stato ricostruito che fu fondamentale disputare la partita per tenere tutti dentro lo stadio, mentre i carrarmati dell’esercito venivano chiamati per garantire il deflusso. Ma non era più un evento sportivo".

Per il quarantennale farete qualcosa assieme alla Juve ?

"Con Andrea Agnelli ci siamo incontrati per iniziare un rapporto diverso, ma non ci siamo pienamente riusciti. E con la nuova dirigenza non sappiamo se potremo aprire un nuovo capitolo: preferisco non sbilanciarmi".

La maglia 39 della Juve è mai stata ritirata ?

"Non mi risulta". Fonte: Corriere.it © 13 novembre 2024 Fotografie: Corriere di Arezzo © Tuttosport © Corriere della Sera © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 29.05.2024
 

La strage allo stadio 39 anni fa e sabato Otello Lorentini sarà nel Giardino dei Giusti.

"L'Heysel è solo morte il calcio vero è la vita"

Andrea Lorentini: "L'impegno dell'Associazione: trasmettere valori sani"

di Francesca Muzzi

AREZZO - 29 maggio 1985 - 29 maggio 2024. 39 anni dopo, 39 come i morti che ci furono all'Heysel. Anche oggi, come da 39 anni, Arezzo ricorda le sue due vittime. Roberto Lorentini, medico di 31 anni e Giuseppina Conti, studentessa che di anni ne aveva 17. Pochi, troppo pochi per morire per una partita di calcio. Invece è successo. Ma grazie a chi, dopo quella strage non si è mai arreso a cercare la verità, qualcosa è cambiato nel mondo del pallone. Otello Lorentini, padre di Roberto che era con lui all'Heysel, da quel giorno ha speso la sua vita e se la possiamo chiamare ricompensa, questa è arrivata, quando la Uefa è stata condannata. Sentenza che ha fatto giurisprudenza. Sabato 1 giugno, grazie all'associazione Rondine, Otello Lorentini, scomparso a maggio di dieci anni fa, sarà inserito nel Giardino dei Giusti dello sport. Oggi invece, come ogni 29 maggio, da 39 anni, due famiglie ricordano con più dolore, quel prima di Juventus-Liverpool, finale di Coppa Campioni. Le cariche degli Hooligans, il muro che si sbriciolò, i loro cari che morivano e una partita che poi venne disputata. Andrea Lorentini, è il figlio di Roberto e il nipote di Otello. E' lui che continua a portare avanti l'Associazione Familiari delle Vittime che il nonno aveva fondato subito dopo la più grande strage di sport mai accaduta.

29 maggio com'è questo giorno ?

Come ogni anno - risponde Andrea Lorentini - c'è una dimensione privata e poi l'impegno con l'associazione. Per quanto riguarda la parte più privata è sempre un momento in cui si prova un'emozione forte nel ricordare in questo giorno mio padre, insieme alla mia famiglia. Per quanto riguarda invece quelle che sono le iniziative con l'Associazione, saremo anche quest'anno, al Museo del calcio di Coverciano con il quale abbiamo avviato una collaborazione ormai da tempo. Insieme al presidente Matteo Marani incontreremo una scolaresca e racconteremo quello che è stato l'Heysel facendo memoria proprio al Museo del calcio, partendo dalla memoria di un fatto tragico che fa parte della storia del calcio italiano. Poi ci sarà tutta un'altra serie di iniziative in giro per l'Italia dove altri associati parteciperanno in rappresentanza dell'associazione.

Che cosa ricordi, se ricordi, di quel 29 maggio 1985 e successivamente che cosa ti hanno raccontato di tuo padre ?

Di quel giorno personalmente non ricordo nulla: avevo appena tre anni. Di mio padre mi hanno poi raccontato crescendo, quella che è stata la sua vicenda il fatto che lui, in salvo dopo le prime cariche degli Hooligans inglesi, aveva scelto di tornare in mezzo alla calca per cercare di prestare soccorso, essendo un medico. Proprio mentre stava effettuando la respirazione bocca a bocca ad un bambino che poi è stato riconosciuto come Andrea Casula, la vittima più giovane dell'Heysel, appena 11 anni, è stato nuovamente travolto pagando con la vita. Con questo suo gesto di estremo altruismo sono cresciuto. Per me lui è un esempio di coraggio e di eroismo. E' un gesto che mi sono sempre portato come esempio, cioè quello di aiutare il prossimo.

Roberto Lorentini, per quel suo gesto, pagato con la vita, è stato insignito della medaglia d'argento al valore civile. Oggi, Andrea, ha il testimone dell'associazione. Che cosa fate ?

Prima di tutto portare avanti la memoria delle 39 vittime dell'Heysel, perché l'Heysel sono le 39 vittime e spesso ce ne dimentichiamo, perché magari si parla soprattutto della partita, di Juventus, Liverpool. Con l'Associazione portiamo avanti progetti di educazione civica e sportiva per dare un senso concreto alla memoria. Negli anni abbiamo fatto à iniziative con Federcalcio, Istituzioni, Coni però la maggior parte sono con le scuole, nelle società sportive, nei licei sportivi proprio per raccontare ai ragazzi quello che è stato, ma anche quelli che sono i valori dello sport e ciò che di positivo può trasmettere. E quindi il sacrificio di quei 39 innocenti possa essere una riflessione per tutti, affinché non accada mai più, ma soprattutto questi incontri che facciamo, devono essere lo spunto per capire quello che di positivo lo sport può trasmettere. Il nostro intento è quello di cercare di educare le giovani generazioni ad uno sport sano e corretto. Al rispetto verso gli avversari, i tifosi, l'arbitro.

E' cambiato il calcio da quel giorno ?

Il calcio è cambiato non dimentichiamo che il processo che è seguito alla strage dell'Heysel ha fatto giurisprudenza perché la Uefa è stata condannata e quindi da questo punto di vista è responsabile di eventuali disordini o incidenti che accadono all'interno di impianti sportivi durante manifestazioni che organizza. Da questo punto di vista i parametri di sicurezza sono notevolmente migliorati, perché uno dei motivi della strage dell'Heysel fu la scelta di uno stadio fatiscente e di un ordine pubblico totalmente negligente. Quello che invece fatichiamo a cambiare è la cultura sportiva. Lo vediamo anche in Italia a livello calcistico. Episodi di violenza dalla serie A fino ai campionati giovanili. Negli anni ci sono state anche delle vittime non nella misura dell'Heysel, ma ciò non cambia la sostanza, perché la perdita di una vita per un evento sportivo è inaccettabile. Penso che ancora in Italia ci sia molto da fare a livello di cultura sportiva. E lo vediamo quando ancora negli stadi italiani in alcuni non in tuffi si vedono gli striscioni con il 39. Si dileggiano e si offendono le vittime dell'Heysel in nome di una rivalità sportiva che invece dovrebbe essere solo sportiva e non trascendere.

Sei tifoso e se sì di quale squadra ?

Da bambino ero tifoso dell'Inter, tifoso moderato. Ovviamente insieme all'Inter ho sempre tenuto per l'Arezzo. Poi iniziando a seguire l'Arezzo per lavoro, la passione per l'Inter è un po' sfumata ed è rimasta quella per l'Arezzo. Oggi il mio tifo è amaranto, cercando comunque, professionalmente, di rimanere più distaccato possibile.

Ma con il pallone che rapporto hai ?

Avrei potuto odiarlo, perché il pallone mi ha portato via mio padre. Ma non l'ho fatto, perché la mia famiglia mi ha sempre abituato a fare sport. Perché lo sport, vero, porta con sé comunque valori di positività. L'Heysel è la morte, ma lo sport, il calcio, regalano emozioni positive. Ed è su questo che continueremo a batterci. Per indirizzare le nuove generazioni verso valori positivi.

Sabato una cerimonia speciale a Rondine.

La cerimonia di sabato mi fa piacere, sono contento che Rondine abbia scelto di inserire nel giardino dei giusti Otello Lorentini per quella che è stata la sua opera di lotta contro la violenza dello sport. E anche per la sua opera di coraggio nel fondare l'Associazione Familiari delle Vittime, subito dopo la strage per dare giustizia a mio padre e a tutti gli altri. La targa nel Giardino dei Giusti rende orgoglioso me come nipote e naturalmente tutta la mia famiglia.

Pensa che le 39 vittime siano state ricordate a dovere sia ad Arezzo che in Italia ?

In generale si è sempre fatto troppo poco per la memoria dell'Heysel. Non solo ad Arezzo, ma in Italia. E' sempre stata questa una storia che si è voluta tenere sotto la polvere. Uno dei motivi per cui ho ricostituito l'Associazione nel 2015 è proprio questo, non dimenticarli ed evitare che questa memoria fosse dileggiata, come ancora oggi purtroppo questo accade. Ma non solo negli stadi, ma anche sui social. Ci siamo trovati a fare diverse querele, per dare un messaggio e creare così un precedente, perché non si offendono le persone, morte, in maniera gratuita. Quindi sì, si poteva fare di più ad Arezzo come dalle altre parti. L'Heysel è una di quelle vicende che non si sono mai volute ricordare fino in fondo, perché metteva in campo tante situazioni scomode, per come si è verificata. Sull'Heysel sì, c'è stato un difetto di memoria, ma queste 39 vittime dovevano essere onorate e ricordate meglio.

E ad Arezzo ? C'è lo stadio di Pescaiola intitolato a Roberto Lorentini, il piazzale dello stadio Comunale che venne intitolato il giorno di Arezzo-Juventus nel 2007, mentre a Giuseppina Conti è stato intitolato lo stadio di Rigutino.

Riferendomi alla realtà aretina, al di là delle istituzioni e di ciò che è stato fatto o non fatto, voglio però aggiungere che Roberto Lorentini e Giuseppina Conti sono nel cuore di tutti gli aretini e in questi anni ne ho sempre avuto testimonianze di affetto e di ricordo sia per mio padre per il suo gesto e per la medaglia d'argento di cui è stato insignito, e sia per Giuseppina perché era una ragazza nel pieno della vita con tanti sogni e quando andiamo a parlare nelle scuole i ragazzi si sentono molto vicini a questa ragazza, perché era una studentessa come loro che amava lo sport, la Juve e aveva tanti sogni. Arezzo avrà sempre nel cuore Roberto e Giuseppina E forse tutto ciò vale più di un'intitolazione di uno stadio. Fonte: Corriere di Arezzo © 29 maggio 2024 Fotografia: Andrea Lorentini © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 29.05.2024
 

ANDREA LORENTINI - Figlio di Roberto, morto tentando di salvare un bambino, presiede l'Associazione vittime dell'Heysel.

"C'è ancora tanto bisogno di combattere la violenza"

"Vedo genitori che intonano cori beceri imitati dai figli, sull'Heysel manca una memoria collettiva".

di Marina Salvetti

Andrea Lorentini aveva tre anni, e suo fratello uno e mezzo, quando suo papà Roberto è morto all'Heysel. Di lui non ha ricordi diretti, ma solo ciò che il nonno, la mamma, i parenti e gli amici gli hanno raccontato. "Il mio babbo era un medico, il giorno prima della tragedia aveva ricevuto la lettera di assunzione in ospedale. Tifava Juve, ma non era un ultras, l'anno prima era andato a Basilea per la finale di Coppa delle Coppe, decise di ripetere l'esperienza anche a Bruxelles con nonno Otello, tifoso viola, e due cugini. Proprio mio nonno, crescendo, ci ha spiegato quello che è successo: papà era riuscito a mettersi in salvo, poi ha visto un bambino, Andrea Casula, in difficoltà, è tornato a prestargli soccorso, gli stava praticando la respirazione bocca a bocca quando entrambi sono stati travolti da una nuova carica. Li hanno trovati insieme".

Andrea, come si sente quando si avvicina il 29 maggio ?

"Mio padre è vivo nei nostri ricordi tutto l'anno, in vari momenti della nostra vita, però quando si avvicina questa ricorrenza cresce la malinconia e la tristezza, riapre una ferita che non si rimargina: a volte brucia meno, a volte di più. Se non ci fosse stata questa tragedia la nostra vita con mio padre poteva essere differente, non avremmo vissuto questo dolore".

Come vorrebbe che fosse ricordato suo papà ?

"Per Il suo gesto di grande altruismo che gli è valso anche una medaglia d'argento al valore civile. E' stato un esempio, un punto di riferimento, morto aiutando gli altri e io sono orgoglioso di ciò che ha fatto".

Lei ha raccolto l'eredità di suo nonno Otello nel tenere viva l'Associazione Vittime dell'Heysel, di cui è presidente.

"E vicepresidente è Emanuela Casula, la sorella di quel bambino che mio papà ha cercato di soccorrere... Con l'impegno dell'Associazione cerchiamo di dare un senso a quelle morti perché è assurdo morire per una partita di pallone. Così, oltre alla memoria e alla parte commemorativa, cerchiamo di sviluppare progetti di educazione civica sportiva, per educare i giovani, far capire che lo sport è altro. Infatti domani (NdR: oggi) sarò al Museo di Coverciano e racconterò ad una scuola in visita quello che è stato l'Heysel".

Suo nonno riuscì a ottenere giustizia nel processo a Bruxelles.

"Quel processo ha fatto giurisprudenza perché l'Uefa è stata condannata. Ci sono voluti i tre gradi di giudizio ma alla fine, oltre alle autorità belghe e ad alcuni tifosi del Liverpool, quelli che sono riusciti a individuare perché a quei tempi non c'era un sistema di telecamere, anche l’Uefa è stata riconosciuta colpevole. Prima dell'Heysel non era responsabile degli eventi che organizzava, da allora lo è e per questo motivo ha introdotto una serie di parametri, tra cui la sicurezza, nella scelta degli stadi dove disputare gli eventi. Il merito va a mio nonno che con l'Associazione si è costituito parte civile e non ha mollato di un centimetro: qualche volta l'ho accompagnato anch’io alle udienze. Se l’Uefa fosse stata responsabile già allora, mai avrebbe scelto quello stadio, così vetusto e inadatto a ospitare una finale, a cui si è aggiunta la negligenza dell'ordine pubblico che ha permesso agli hooligans di dettare legge".

Che cosa prova quando sente i cori beceri e offensivi di frange di tifoserie italiane sull'Heysel ?

"Uno dei motivi per i quali ho scelto di ricostruire l'associazione è proprio combattere questo tipo di inciviltà. Non si tratta di una tragedia juventina, bensì italiana ed europea. È una tragedia di tutti: questo è il messaggio che la nostra associazione cerca di veicolare. Io posso capire gli sfottò, le rivalità storiche, fanno parte del tifo, ma i cori o gli striscioni in alcune curve con la scritta -39: bisogna avere rispetto e non offendere persone che sono morte. Eppoi non tutti erano juventini".

Ha visto in questi anni dei miglioramenti nella lotta alla violenza negli stadi ?

"C'è ancora molto da lavorare, vediamo ancora troppi episodi di violenza anche verbale, a qualsiasi livello. Nelle curve assistiamo alle scene di genitori che fanno cori beceri e il figlio che li emula, prendendoli da esempio senza rendersi conto. Un altro problema legato all'Heysel è la mancanza di una memoria condivisa e collettiva tanti adolescenti non sanno, forse chi tifa Juventus conosce un po' la storia della tragedia, gli altri ragazzi alzano magari uno striscione senza neppure sapere a che cosa si riferisce. Bisogna ricordare e far conoscere per evitare che si ripeta".

Lei ha un progetto ambizioso che porta avanti da parecchi anni: istituzionalizzare una giornata nazionale contro la violenza nello sport.

"Sto tentando, ho avuto approcci con vari governi, sottosegretari allo Sport, ministri, la burocrazia poi non aiuta. Adesso sembra che ci sia una proposta di legge di iniziativa parlamentare e che possa arrivare in commissione. Sarebbe un modo per rendere omaggio a tutti quelli che hanno perso la vita per lo sport: l'Heysel con 39 morti e 600 feriti è una tragedia che fa parte della storia dell'Italia e ha una risonanza maggiore, ma ci sono tanti altri morti che vanno ricordati".

Qual è la reazione dei ragazzi ai suoi racconti ?

"Dipende dall'età, noi andiamo nelle medie e alle superiori, sono ragazzi dagli 11 ai 15 anni che devono ancora formarsi. Sono molto attenti quando si racconta, magari non conoscono la gravità di quei fatti e allora io porto l'esempio di Giuseppina Conti, di Arezzo, anche lei vittima dell'Heysel: aveva 17 anni, era tifosissima della Juve, aveva preso una buona pagelle al Classico e il papà come premio la portò alla finale. Dico ai ragazzi che era una di loro, che Il giorno più bello della sua vita si è trasformato in quello della sua morte. Devo dire che ha un forte impatto emotivo e li costringe a riflettere". Fonte: Tuttosport © 29 maggio 2024 Fotografia: La Nazione © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 12.10.2022
 

"Mio padre, la sua morte, il suo gesto unico"

di Alberto Pierini

Lorentini racconta: così quella sera lo ha cambiato. "Era al sicuro, corse a salvare un bambino: ha scelto la vita nello stadio dell’orrore. E’ una perdita che mi ha cambiato la vita ma mi ha fatto anche scoprire mio padre".

Andrea Lorentini, nostro collaboratore e figlio di Roberto, allora aveva 3 anni: ma ha fatto di quella serata una sua missione. Guidi il comitato delle vittime…

"Sì, è stato nonno Otello a volerlo e non ho voluto che quella pagina si chiudesse".

Chi c’era della tua famiglia all’Heysel ?

"Oltre mio padre, due cugini, Andrea e Gianni Stazio, e nonno Otello".

Che non tifava Juventus…

"No, ma volle andare per stare insieme a suo figlio".

Come nacque la decisione di questo viaggio ?

"Un anno prima erano andati a Basilea per la finale di Coppa delle Coppe: e decisero di ripetere l’avventura".

Da quello che poi ti hanno raccontato come vissero l’escalation della violenza ?

"Ai primi lanci di pietre e oggetti, quello stadio cadeva a pezzi e tutto diventava arma, iniziarono a capire il pericolo".

Nella curva Z…

"Sì, era quella dedicata alle famiglie e ai tifosi neutrali".

Tuo padre era riuscito a mettersi in salvo…

"Sì, aveva trovato il modo di uscire dalla calca".

E poi ?

"Vide un bambino di 11 anni in fin di vita e corse ad aiutarlo".

Da medico...

"Sì, un giorno prima aveva ricevuto la lettera di assunzione in ospedale".

E quell’aiuto gli fu fatale…

"Lo ritrovarono morto sotto i corpi: e quel bambino con lui".

Ne hai conosciuto i parenti ?

"Sì, si chiamava Andrea Casula, morì insieme al padre. La sorella Emanuela è diventata mia amica ed è la vicepresidente dell’associazione per le vittime".

Tuo nonno come si salvò ?

"Riuscì ad avvicinarsi al campo da gioco, alle reti e non a quel muro divisorio tra i due settori che poi crollò".

Come si accorse della morte del figlio ?

"Cominciò a cercarlo e lo trovò insieme agli altri corpi".

Come ha cambiato tutto questo la tua vita ?

"Molto, anche oltre quanto non avverta. Ma la parte peggiore è toccata al nonno. Non c’è niente di peggio che sopravvivere ad un figlio. E poi trovarsi con la responsabilità insieme a mia madre di due bambini piccoli, me e mio fratello".

Somigli molto a tuo padre…

"Sì, me lo dicono tutti e ne sono felice". Fonte: Lanazione.it © 12 ottobre 2022 Fotografia: Andrea Lorentini © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 9.04.2019
 

"La violenza nel calcio non è stata debellata

di Giuliano Giulianini

Andrea Lorentini, presidente dell'Associazione Familiari Vittime dell'Heysel, racconta i progetti di educazione sportiva per le scuole e l'idea di una giornata nazionale contro la violenza nello sport.

Secondo i dati del Ministero dell'Interno durante la stagione calcistica 2018/2019 gli episodi di violenza o inciviltà legati alle partite di calcio professionistico sono stati 120, in aumento rispetto all'anno precedente. Il bilancio dei feriti è stato di 46 persone tra i civili, 58 tra le forze dell'ordine, 17 tra gli addetti alla sicurezza negli stadi. In tutto ci sono stati 72 arresti e 1023 persone denunciate. La violenza nello sport è un fenomeno tanto attuale quanto paradossale, visto che riguarda un aspetto della vita civile, lo sport appunto, che dovrebbe rappresentare i valori dell'impegno, della collaborazione e del rispetto per tutti. Il 25 aprile, al Villaggio per la Terra di Villa Borghese a Roma, campioni, esperti, giornalisti e rappresentanti delle istituzioni sportive, si confronteranno con il pubblico in un talk dal titolo "Peace - Metti in campo lo sport !". Tra gli ospiti Andrea Lorentini, giornalista di Tele Etruria e presidente dell'Associazione Familiari Vittime dell'Heysel. Lorentini è figlio di una delle 39 vittime della strage di tifosi, in gran parte italiani, avvenuta prima della finale di Coppa dei Campioni del 1985. Oggi è attivo nell'educazione dei ragazzi al rispetto reciproco, contro gli eccessi dell'odio tra tifoserie. L'intervista è stata trasmessa nel programma "Ecosistema", rubrica radiofonica di EarthDay.it, in onda ogni martedì su Radio Vaticana Italia.

Andrea, dagli anni ottanta è cambiato il mondo del calcio rispetto alla violenza ? Purtroppo, dalle cronache sembrerebbe di no, con episodi di violenza più o meno gravi. In effetti sembrano episodi meno frequenti che in passato, e soprattutto meno organizzati, ma è realmente così ?

"La violenza nel calcio non è stata debellata. Un episodio come quello dell'Heysel non si è più verificato, però, anche in Italia, negli anni abbiamo avuto comunque delle vittime della violenza legata al mondo del calcio. Ricordiamo Paparelli, ricordiamo Spagnolo, solo per citarne alcuni. È un problema di cultura, oltre che di sicurezza degli stadi, perché l'avversario viene visto come un nemico, quindi spesso le tifoserie tendono a vivere il momento della partita come una guerra alle squadre rivali. Non ci si limita al tifo o magari allo sfottò ironico, che può essere anche divertente, ma si va oltre: spesso si cerca lo scontro fisico, come a voler delimitare un territorio. Purtroppo è un problema di cultura al quale ancora non si è trovato un rimedio. Come associazione, nel nostro piccolo, cerchiamo di promuovere progetti di educazione civico-sportiva per cercare di incidere sulle giovani generazioni".

Tu lavori in un contesto provinciale, ad Arezzo, in Toscana, una storicamente regione "calda" da questo punto di vista. Percepisci una differenza fra il tifo intorno al calcio professionistico, di altissimo livello, e quello dilettantistico o giovanile ? C'è una diversa maturità, o comunque un diverso controllo, un diverso grado di violenza fra questi due mondi ?

"A livello professionistico può fare più notizia. In Toscana ci sono molte sfide di campanile, se così le vogliamo definire, tra le squadre dei vari capoluoghi della regione, soprattutto in categorie come la Serie B e C, e anche a livello giovanile. Io faccio il giornalista sportivo e devo dire che anche nella provincia di Arezzo abbiamo avuto alcuni episodi di violenza, non solo nelle categorie dilettantistiche ma anche nelle giovanili: aggressioni agli arbitri piuttosto che episodi di violenza verbale, magari in tribuna tra i genitori. Credo che la violenza nel calcio esista a tutti i livelli proprio perché non si riesce a vedere l'altro semplicemente come un avversario. Ciò che spaventa maggiormente, sul quale bisogna lavorare, è che accadono spesso episodi nei campionati giovanili, dove i ragazzi dovrebbero invece vivere quei momenti soltanto come una crescita personale".

L'Associazione Familiari delle Vittime dell'Heysel incontra i bambini delle scuole, proprio perché i problemi culturali vanno risolti principalmente a scuola. Come approcciate i bambini e i ragazzi ? Che risposte ne ricevete ?

"Sviluppiamo progetti legati principalmente all'educazione civico-sportiva. Per esempio in questi anni abbiamo promosso il progetto "Un pallone per la memoria" e coinvolto varie scuole con iniziative pratiche e ludiche, con i ragazzi che si confrontano in tornei di calcio, pallavolo, basket, anche di realtà differenti. In un nostro progetto, ad esempio, abbiamo coinvolto un liceo di Bruxelles con due licei italiani, anche per mettere in correlazione ragazzi di lingue e culture in parte differenti. Allo stesso tempo sviluppiamo attività anche attraverso la nostra testimonianza. All'Heysel ho perso mio padre, che è stato insignito della medaglia d'argento al valore civile. Spesso indipendentemente dal fatto che sia mio padre, porto lui come esempio, perché in un momento così drammatico, in cui tra le persone era prevalso l'odio e non c'è stato rispetto per la vita umana, in un momento così buio, il suo è stato un esempio di altruismo. Era un medico. Si era già salvato dalle prime cariche dei tifosi inglesi. È tornato indietro ed è stato travolto da una nuova carica mentre prestava soccorso a dei tifosi. In particolare ad un bambino che era rimasto ferito sugli spalti. Cerco sempre di far capire ai ragazzi che lo sport, il calcio, non è quello che è accaduto all'Heysel, che anche in quei momenti ci possono essere esempi per far capire loro dove stanno il bene e il male. Io stesso ho praticato lo sport e il calcio, nonostante il calcio mi abbia privato di un genitore: uno dei drammi peggiori che può provare una persona nella propria esistenza. Ho vissuto lo sport come momento di crescita, di socializzazione e di sviluppo di relazioni che poi mi sono portato avanti nel tempo. Ci sono ragazzi che a tutt'oggi sono miei amici. Attraverso la mia esperienza, e quella di altri associati, cerchiamo di far capire ai ragazzi che lo sport è qualcosa di positivo mettendoli insieme, facendogli condividere delle giornate proprio per sviluppare questo rispetto. Ci possono essere agonismo e competizione, ma ci deve essere sempre rispetto".


Come reagiscono i bambini ?

"Devo dire che c'è grande interesse e che le risposte sono sempre positive. Di solito, siccome l'argomento Heysel è abbastanza delicato, cerchiamo di prepararli, facendo magari delle riunioni preliminari con gli insegnanti, soprattutto se ci troviamo a parlare con ragazzi più piccoli, delle scuole elementari. Anche se di solito privilegiamo scuole medie e scuole superiori, perché comunque è un argomento abbastanza delicato. Vediamo che i ragazzi sono attenti, ed è soprattutto la nostra testimonianza a fare molta breccia. Chiaramente sono delle piccole gocce in un grande mare. Però, laddove siamo riusciti a sviluppare la nostra testimonianza anche con progetti concreti, poi abbiamo avuto una risposta positiva, confermata successivamente dagli insegnanti".

Secondo te c'è modo di recuperare situazioni già compromesse ? Per esempio i ragazzi che fanno sport, e calcio in particolare, a livello agonistico ? Dove le pressioni dell'ambiente, della squadra, della società e anche dei genitori sono ancora maggiori perché c'è la prospettiva di una carriera e di un guadagno ? Si può ancora intervenire per far capire che l'avversario è un competitor e non un nemico ?

"Credo che sia più complicato. Noi per questo abbiamo scelto un target diverso, cercando proprio di intervenire alla radice, quando ancora il ragazzo può essere "modellato", detto in senso buono ovviamente, rispetto a dei valori positivi. Quando poi lo sport diventa business, e spesso ci sono di mezzo il denaro e l'ambizione, allora farlo coincidere con l'etica è più complicato. Anche i genitori sono un tasto per certi versi dolente: spesso sono loro che mettono pressione al ragazzo, lo influenzano. Magari ribaltano nel ragazzo quella che è la loro ambizione. Quindi se lo ha messo in panchina l'allenatore diventa incapace, o una persona che non lo sa valorizzare. Parlando spesso con gli istruttori ci rendiamo conto che per loro non è facile gestire le regole in uno spogliatoio, in una convivenza, quando il ragazzo è influenzato dal genitore a casa, o anche durante la partita. Questo è un vulnus che difficilmente si può colmare. Ecco perché secondo me è necessario intervenire a monte".

Invece per intervenire a valle, con le istituzioni, state proponendo una giornata di sensibilizzazione nazionale su questo tema.

"Abbiamo avviato dei contatti con l'attuale Governo. L'idea ambiziosa è di istituzionalizzare una giornata nazionale contro la violenza nello sport, che ogni anno sia un momento di riflessione, ma legato anche a progetti concreti. Vedremo quello che poi riusciremo a concretizzare. "Un pallone per la memoria" è un progetto che abbiamo sviluppato con varie scuole in questi anni. Lo abbiamo proposto anche all'attenzione del Governo, in particolare del sottosegretario Giorgetti che in questo momento ha la delega allo sport, come spunto sul quale lavorare per creare ogni anno un momento che sia di riflessione ma anche un momento concreto in cui i ragazzi si possano confrontare a livello sportivo, seguendo determinati valori. Vedremo quale sarà l'evoluzione". Fonte: Earthday.it © 9 aprile 2019 (Testo © Fotografia) Audio: Radio Vaticana Italia © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 29.05.2018
 

Lorentini: "Ok la piazza per l’Heysel, ma

la Juve può ricordare di più i 39 morti"

di Valerio Barretta

Se un pallone è rosso, si può comunque giocare a calcio. Se è rosso sangue, meglio di no. Il pallone della finale di Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985 tra Juventus e Liverpool di sangue ne era intriso. Poco prima della partita i tifosi inglesi caricarono il settore Z dello stadio Heysel di Bruxelles. Quella fetta di cemento era destinata ai bianconeri. Questi ultimi, impauriti, si accalcarono verso un muricciolo che crollò sotto il loro peso. I morti furono 39, 32 italiani. Oggi 29 maggio, a 33 anni di distanza, il Comune di Torino li ha voluti ricordare intitolando loro una piazzetta compresa tra lungo Dora Agrigento e strada del Fortino. La cerimonia si è tenuta presso la biblioteca civica "Italo Calvino". Oltre ai familiari delle vittime e ai superstiti della tragedia, erano presenti anche la sindaca Chiara Appendino e il presidente del Consiglio comunale Fabio Versaci. C’era anche il presidente della Associazione familiari vittime Heysel, Andrea Lorentini. Andrea è figlio di Roberto, un medico aretino che morì nello stadio belga. Roberto era sopravvissuto alla prima carica dei tifosi del Liverpool, ma tornò indietro per soccorrere un ragazzo calpestato dalla folla. Il secondo assalto degli hooligans gli fu fatale.

Andrea, l’intitolazione di una piazza torinese alle vittime dell’Heysel arriva 33 anni dopo la strage: secondo lei perché c’è voluto così tanto tempo ?

Perché si è sempre cercato di dimenticare l’Heysel. Questa è una vicenda strumentalizzata ancora oggi e su cui non si è mai fatto memoria nella maniera giusta. Mi fa comunque piacere che il Comune sia arrivato a questo passo. Questa piazza rappresenterà un momento di riflessione per tutti coloro che vi passeranno.

Che opinione ha dell’atteggiamento della società Juventus a riguardo ?

Prima della presidenza di Andrea Agnelli il ricordo dell’Heysel è stato zero. Da quando è arrivato (NdR: nel 2010), sono state celebrate due messe: un po’ poco. Dopo 33 anni non c’è una memoria condivisa tra la Juventus e i familiari delle vittime. Se la Juventus vorrà impegnarsi a commemorarle, che lo faccia in maniera sentita e spontanea. Infatti non chiediamo niente alla società: lavoriamo per conto nostro affinché quel dramma non venga dimenticato.

Il ricordo dell’Heysel è uno degli obiettivi della vostra associazione.

Sì, noi familiari cerchiamo di tenerlo vivo. A fatica, perché - lo ripeto - si è sempre voluto mettere una pietra sopra alla tragedia. La nostra associazione parte dalla memoria della strage per poi sviluppare una serie di progetti di cultura civica e sportiva lavorando con le scuole e cercando di promuovere un modo sano di vivere lo sport, che è condivisione e non odio.

Già, l’odio. I 39 morti sono stati più volte oggetto di cori e striscioni infamanti da parte delle tifoserie anti-juventine. Secondo lei il dolore dell’Heysel è partigiano ?

Purtroppo viene percepito come tale, ma non dovrebbe esserlo. Non si tratta di una tragedia juventina, bensì italiana ed europea. È una tragedia di tutti: questo è il messaggio che la nostra associazione cerca di veicolare. Poi, è inconfutabile che i tifosi della Juventus facciano molto per ricordare le vittime: ma lo fanno anche in risposta a certe curve che si lasciano andare a comportamenti vergognosi.

Quando sente i cori offensivi, è più arrabbiato o frustrato perché non può evitarli ?

Direi entrambe le cose sullo stesso piano. Da un lato c’è l’amarezza nel rendersi conto che l’Italia è a un livello imbarazzante di cultura sportiva. Dall’altro, ho la conferma che l’attività della nostra associazione sia importante: siamo una piccola goccia in un mare, e la battaglia per promuovere una visione più sana dello sport non dipende certo da noi. Ma far riflettere negli incontri un centinaio di ragazzi può essere importante. Su di loro si può intervenire, sugli adulti assolutamente no.

Che punizione darebbe a chi oltraggia la memoria della tragedia ?

Non mi viene in mente nessuna sanzione specifica. Quello che serve è la certezza della pena, e che siano condanne severe. Servirebbe anche da parte delle società una presa di distanza importante dalle tifoserie, cosa che però non avviene mai, perché le dirigenze preferiscono mantenere dei rapporti buoni con le curve.

Non ha mai conosciuto suo padre. Come vorrebbe che fosse ricordato ?

Come un esempio, perché è morto aiutando gli altri. Un esempio dal quale ripartire, da prendere come punto di riferimento. E sono certamente orgoglioso di quello che mio padre ha fatto. Fonte: Futura.news.it © 29 maggio 2018 (Testo © Video) Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 12.11.2015
 

Tragedia Heysel: "Il ritiro della maglia

n°39 sia più di una commemorazione"

di Dario Pelizzari

Il gesto in programma per l'amichevole Belgio-Italia visto da Andrea Lorentini, presidente dell'Associazione familiari delle vittime.

"Siamo molto soddisfatti che la nostra proposta - resa pubblica proprio da Panorama.it e quindi accolta dal presidente della Figc Tavecchio ai microfoni di Radio 24 - di ritirare la maglia n°39 in memoria delle altrettante vittime dell'Heysel, stia per diventare realtà con la cerimonia prevista proprio nello stadio della tragedia. Tuttavia, il nostro obiettivo è più ambizioso: crediamo che il calcio italiano debba trovare la forza per rinnovarsi al suo interno. Perché della tragedia dell'Heysel si parla ancora oggi per ragioni che poco o nulla hanno a che vedere con la difesa della memoria". A dirlo è Andrea Lorentini, presidente dell'Associazione familiari delle vittime dell'Heysel e figlio di Roberto, un giovane medico che morì sugli spalti dello stadio belga mentre tentava di salvare un tifoso italiano. Venerdì 13 novembre ci sarà anche Andrea a seguire da vicino l'amichevole tra Belgio e Italia in un impianto completamente rinnovato, anche nel nome (ieri Heysel, oggi Re Baldovino): una partita per riannodare i fili con il passato e onorare la memoria di chi c'era e non c'è più, ma anche e soprattutto per rilanciare una sfida che merita di essere seguita con grande attenzione da chi vuole il bene del pallone tricolore.

Qual è il significato che sta dietro al ritiro della maglia numero 39 ?

"Come è noto il numero 39 non è previsto in Nazionale, ma il ritiro della maglia è un gesto simbolico che rappresenta in modo indiretto una risposta a tutti coloro che con cori e striscioni oltraggiosi e vergognosi riportano ancora oggi alla memoria i fatti dell'Heysel. Spero che la Figc accolga il nostro appello. Crediamo sia necessario alzare l'attenzione su questi episodi deprecabili, affinché il problema venga risolto una volta per tutte con le sanzioni dure e definitive. Sarebbe un messaggio forte e doveroso nei confronti di tutte le vittime del calcio".

Come spiegare le ragioni di coloro che ancora oggi si macchiano di tali episodi ? Follia, ignoranza o c'è di più ?

"L'ignoranza, prima di tutto. Sono convinto che nella maggior parte dei casi i responsabili di questi gesti sappiano poco o nulla di quanto è accaduto all'Heysel. Perché erano troppo piccoli per ricordare o perché non hanno sentito l'esigenza di approfondire l'argomento. E la colpa di tutto questo è anche di chi ha pensato che non fosse il caso di riportare alla memoria una tragedia per molti versi scomoda. Dei fatti dell'Heysel se n'è parlato troppo poco e male, perché conveniva un po' a tutti nascondere le responsabilità sotto il tappeto. La nostra associazione si sta battendo anche su questo fronte. Stiamo organizzando incontri con le scuole e abbiamo chiesto al Coni di inserire l'educazione civica sportiva nel normale orario di lezione. Crediamo sia giusto, meglio, necessario investire sulle nuove generazioni".

Cosa ha imparato il calcio internazionale dalla tragedia dell'Heysel ? Pensa che da allora sia stato fatto tutto il possibile per scongiurare il ripetersi di una tragedia simile ?

"Prima dell'Heysel, l'Uefa non era responsabile degli eventi che organizzava. Incassava circa l'ottanta per cento dalla vendita dei biglietti, ma declinava qualsiasi coinvolgimento sullo svolgimento dello spettacolo, che gravava invece sulle autorità del luogo dove veniva organizzata la partita. La sentenza dell'Heysel, che arrivò in Cassazione nel 1991, condannò l'Uefa come corresponsabile di quanto successo in Belgio e da quel momento, tutto o quasi è cambiato. Perché da allora si presta molta più attenzione alla scelta degli impianti che ospitano gare internazionali. Sì, grazie a quella sentenza, la sicurezza negli stadi è senza dubbio migliorata".

Al minuto 39 di Italia-Belgio il gioco si fermerà per 60 secondi e sullo schermo dello stadio verranno mostrati i nomi di tutte le vittime di quel giorno maledetto di 30 anni fa. L'occasione per lasciare le bandiere nel cassetto e sistemare i conti con la storia.

"Sarà un momento molto emozionante, che consentirà di portare alla ribalta internazionale una tragedia che per molto tempo è stata considerata di parte, legata a filo doppio con la realtà juventina. In realtà, molte di quelle vittime non tifavano per i bianconeri. La tragedia dell'Heysel va vista in ambito europeo prima ancora che nazionale". Fonte: Panorama.it © 12 novembre 2015 Fotografia: La Nazione Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 29.05.2015
 

HEYSEL - Oggi l'iniziativa dell'associazione familiari

di Enzo Ricchiuti

Intervista di Enzo Ricchiuti ad Annamaria Licata, tifosa e membro Associazione Familiari vittime dell'Heysel, che ci informa dell'iniziativa in programma oggi pomeriggio a Torino, organizzata dall'associazione.

Cosa succede il 29 maggio a Torino ?

"C'è il trentennale dell'Heysel… e noi come Associazione familiari vittime dell'Heysel… abbiamo organizzato un evento in memoria delle vittime... il tutto tra mille difficolta e in alcuni casi pure ostracismi più o meno velati…""C'è il trentennale dell'Heysel… e noi come Associazione familiari vittime dell'Heysel… abbiamo organizzato un evento in memoria delle vittime... il tutto tra mille difficolta e in alcuni casi pure ostracismi più o meno velati…".

Chi è Lorentini ?

"Lorentini è il figlio di Roberto Lorentini il medico morto per salvare Andrea. Il piccolo Andrea. E nipote di Otello Lorentini".

C'è qualcuno che s'è preso la briga di ostracizzare persone così ?

"Sì sì e si sono pure impegnati…".

Risultati pochi vedo.

"Alla fine… noi siamo andati avanti lo stesso nonostante tutto e abbiamo per fortuna trovato anche sostegno e collaborazione. C'è chi ci ha scaricato, perché comunque l'Heysel ancora crea problemi… come il comune di Torino, anzi più giusto dire come il sindaco di Torino, che tramite un assessore ci ha fatto sapere, a due settimane dall'evento…che non poteva sostenere la nostra richiesta, come invece fatto l'anno prima e come ci aveva detto avrebbe fatto anche quest'anno…perché se non c'era la condivisione della Juve, sarebbe stato imbarazzante per loro, inteso come Comune, darci voce e spazio. Insomma quasi una scelta politica… fermo restando che un no da un'istituzione dovrebbe essere motivata diversamente, ad un cittadino. Se poi quel cittadino è Andrea Lorentini, figlio di Roberto Lorentini morto da eroe…a maggior ragione la motivazione dovrebbe avere uno spessore e una logica diversa. E soprattutto dovrebbe rispettare le regole di ingaggio istituzione-cittadino. Per fortuna che c'è stato, chi invece si è adoperato al massimo con la giusta sensibilità e attenzione… e di questo ringrazio e ringraziamo come associazione il Consiglio Regionale del Piemonte e il Presidente della Consulta dei Giovani, che in una settimana ci hanno offerto il loro aiuto e ci hanno concesso oltre al patrocinio, anche una sede adeguata e all'altezza dell'evento. Anche se quello a cui hanno dovuto assistere i familiari in questi ultimi tre mesi, grida vendetta. Ma per fortuna in Italia paese di vassalli, puttane, politici senza scrupoli… ci sono anche persone rette, di indubbia moralità e con qualche principio".

Avete invitato anche quelle ?

"Quelle chi ? Le puttane o la parte per bene che combatte tutti i giorni in un paese che non li merita ?".

Il presidente Agnelli avrà il posto accanto al sindaco e a Lorentini ?

"Alla Messa forse, da noi non credo che verrà, anche se noi lo abbiamo invitato. Non hanno voluto condividere il nostro Monologo, dato di fatto riconosciuto dallo stesso Presidente e forse nemmeno volevano si facesse, senza di loro, ma questo lo aggiungo io".

E' così brutto ? Il monologo ovviamente, non il pres.

"No era troppo vero e troppo legato ai fatti e a quanto successe quella maledetta sera".

Cos'è che vorrebbero, il lieto fine ?

"No, solo ricordare i morti ma senza ricordare i fatti, le responsabilità e la verità, come invece ha fatto splendidamente il docufilm di Repubblica, pubblicato ieri sul sito e che ha avuto credo un grande successo di condivisione… il nostro copione è sullo stile del docufilm ovviamente recitato in un monologo…senza immagini… ma il filo conduttore è lo stesso".

Quando dici che non vorrebbero ricordare le responsabilità, intendi che non vorrebbero ricordare le responsabilità anzitutto Juve ?

"No. In generale. Loro vogliono solo ricordare. Noi invece vogliamo parlare e raccontare la verità altrimenti continueremo ad ammazzarci negli stadi senza aver imparato mai nulla…e rimanendo ad aggiornare il pallottoliere dei morti per una partita di calcio. E' come se ad un Ebreo gli si chiedesse di onorare i propri morti ma senza raccontare della Shoah, senza dire come sono morti e perché...ma solo che sono morti".

Insomma, racconterebbero la storia dalla fine come se i 39 li avesse sorpresi un fulmine. Non vogliono il perché, voi perché si, per condannarli ?

"No… la verità non serve a condannare… soprattutto se la si racconta trent'anni dopo. A processi fatti e finiti… La verità serve a prevenire che possano risuccedere tragedie simili. E serve ai familiari delle vittime, per poter sopravvivere al loro dolore… e ad una perdita, ancora ad oggi senza senso. Dovuta all'incapacità... la disorganizzazione… e al business, e a tutto quello che si poteva sbagliare quella sera… tutto. Organizzata male, portata avanti peggio, conclusa nella vergogna. La Juve non ne fu responsabile… la Juve in tutto questo inizialmente fu vittima anche lei, in qualche modo, ma nella gestione del post partita… e del post tragedia… ha qualcosa da chiedersi…".

Qual è il programma ?

"Si parte con i saluti istituzionali da parte del Consiglio Regionale e la presentazione dell'evento insieme al Presidente dell'Associazione dei familiari, ci saranno testimonianze dei familiari in ricordo dei loro cari, il famoso quanto mai discusso monologo con un'attrice piemontese d'adozione. Sarà una cosa particolare fidatevi. Cercheremo di riprenderlo per poi posarlo sul web. Infine un dibattito tra i nostri ospiti, giornalisti e scrittori che hanno deciso di aderire. E chi tra il "pubblico" vorrà capire…raccontare e comprendere. Un evento molto equilibrato e tranquillo voluto dai familiari per ricordare e raccontare. E come tale sarebbe dovuto essere rispettato maggiormente e magari sostenuto invece che sottaciuto".

Sembra una cosa molto anni '60. Tutti che possono parlare, alla pari. Non c'è neanche un addetto stampa che riscriva gli interventi ?

"No no... quale addetto stampa… si parlerà con il cuore ... non con le veline".

Non con le veline che danno la linea e neanche col prete che dia l'assoluzione. Parlerete con le coscienze, sfido che vi danno buca.

"Eh beh… non tutti vogliono sentirle. Troppo faticoso... bisogna impegnarsi poi per capire. Bisogna pure mettersi in gioco".

Chi sono i giornalisti che hanno accettato ?

"Ancora stiamo attendendo conferme…ma al momento posso dirvi Massimo Pavan vicedirettore di Tuttojuve... Darwin Pastorin… Francesco Caremani autore del libro "Heysel: le verità di una strage annunciata"... Per altri stiamo aspettando conferma…".

La giornalista napoletana Anna Trieste ha scritto sul napolista.it "gli juventini sono la sfaccimma della gente".

"Per lei come per altri chiediamo rispetto per i morti dell'Heysel dopo aver festeggiato la coppa. "Per chiunque parli… la colpa di pochi non può essere una condanna per tutti. Soprattutto se fra quei "tutti" ci sono anche 39 morti". Fonte: Juventibus.com © 29 maggio 2015 Fotografia: GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Tweet: Associazione Familiari Vittime Heysel © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 24.05.2015
 

Lorentini e Caremani ospiti di Rai Sport

Heysel, 30 anni dopo: applausi, cartelli e commozione a Torino

di Mattia Cialini

Un +39 gigantesco per zittire la stupidità di chi, in passato, ha inneggiato alla tragedia. E’ il 39esimo minuto di Juventus-Napoli quando fioriscono in curva Scirea migliaia di cartelli con i nomi delle vittime. Perché 39 non resti solo un numero, quello dei morti (32 italiani e 7 stranieri) della folle notte dell’Heysel: sono passati 30 anni e l’oblio sarebbe il torto più grande. Dietro quel numero ci sono 39 volti, 39 storie, 39 tragedie familiari. Lo Juventus Stadium, ieri in occasione dell’ultima partita casalinga stagionale dei bianconeri in Serie A, ha voluto ricordare tutti i nomi delle vittime di quella drammatica finale di Coppa dei Campioni perché, come scritto in uno striscione: "Nessuno muore veramente se vive nel cuore di chi resta". Tra i nomi innalzati al cielo di Torino anche quello dei due aretini Giuseppina Conti, morta a 16 anni, e Roberto Lorentini, eroico medico 31enne e padre di Andrea, che è l’attuale presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime: "Ero stato sommariamente informato della coreografia – dice Andrea Lorentini – ho ringraziato a nome dell’associazione la curva Sud dello Juventus Stadium per la bella iniziativa. E’ stato un momento molto toccante e significativo, perché 39 non resti un numero senza significato".

L’associazione, fondata da Otello Lorentini, padre di Roberto e nonno di Andrea, è stata da poco riattivata. Un’associazione che negli anni si è battuta strenuamente per tirar fuori la tragedia dal dimenticatoio.

"E’ così. Mio nonno ha ottenuto importanti successi, anche legali. La responsabilità attribuita (anche) all’Uefa per quel che accadde il 29 maggio 1985 è una vittoria della sua caparbietà. Ha fatto giurisprudenza".

Con la società juventina c’è stato un riavvicinamento ?

"Sì, negli ultimi 5 anni qualcosa si è mosso per merito dell’attuale presidente Andrea Agnelli. In passato la Juventus si era chiusa nel silenzio, volendo considerare la Coppa dei Campioni dell’85 solo come un successo sportivo".

Dopo 30 anni è arrivato il momento di una memoria condivisa ?

"L’atteggiamento della società è cambiato: dalla chiusura totale alla collaborazione nelle iniziative a ricordo degli eventi. Purtroppo l’Heysel crea ancora imbarazzi alla Juve, che vorrebbe edulcorare gli avvenimenti. Avremmo voluto mettere in piedi uno spettacolo teatrale sulla vicenda, per ricostruire davvero quel che accadde: dalla disorganizzazione che portò migliaia di hooligan inferociti alla carica, alle condizioni fatiscenti dello stadio. Non è stato possibile farlo assieme alla società".

Tra quattro giorni ricorrerà il 30° anniversario della strage, cosa farete come associazione ?

"Dalle 16 alle 18 saremo a Torino, al consiglio regionale del Piemonte, per un momento di riflessione. Sarà letta anche una lettera di Domenico Laudadio, custode della memoria dell’Heysel. Alle 19,30 ci sarà una cerimonia religiosa nella chiesa Grande Madre di Dio, una messa a cui parteciperanno anche rappresentati della Juventus. Infine alle 22,30 sarò ospite di Rai Sport per una trasmissione speciale sull’Heysel. Con me ci sarà anche Francesco Caremani, giornalista che ha scritto il libro "Heysel, la verità di una strage annunciata". Fonte: Arezzonotizie.it © 24 maggio 2015 Fotografia: Omar Rottoli © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 28.05.2015
 

Heysel, Associazione familiari vittime: "Verità ancora scomode"

di Monia Bracciali

Andrea Lorentini, presidente, ha ricostituito il movimento garante della memoria e che si batte per la divulgazione della verità di quanto accadde quel 29 maggio e contro i cori d'insulto alle vittime.

Un tabù. A distanza di trent'anni di Heysel non si parla e quando lo si fa è solo perché dagli stadi si levano cori beceri contro le vittime. "Allenare la memoria". Andrea Lorentini, 33 anni di Arezzo e presidente dell'"Associazione familiari vittime dell'Heysel" lo ripete spesso ma è un esercizio che non basta se questa non è accompagnata dalla verità dei fatti storici e processuali. "Una tragedia scomoda per tanti, troppi – dice Lorentini - I familiari delle vittime sono sempre stati lasciati soli e senza il sostegno delle istituzioni, anche negli anni del processo contro l'Uefa". Andrea quel 29 maggio del 1985, allo stadio belga perse il padre Roberto, medico, poi medaglia d'argento al valore civile. Quest'inverno ha deciso di ricostituire l'Associazione che trent'anni fa fondò il nonno Otello, deceduto l'anno scorso, affinché i familiari ottenessero giustizia, ottenendo una vittoria storica contro il massimo organismo calcistico europeo.

Come e perché si è ricostituita l'Associazione ?

"Ho deciso di farla rinascere dopo un ragionamento importante – spiega Lorentini - L'Associazione è nata nell''85 ed ha cessato la sua attività nel '92. Negli anni a seguire mi sono sempre impegnato in prima persona in memoria delle vittime e nel divulgare la verità dei fatti. Tuttavia mi sono accorto che farlo a titolo personale non era abbastanza, che serviva un soggetto di riferimento. Quindi mi sono adoperato per ricontattare tutti i familiari delle vittime. Abbiamo raggiunto un buon numero e siamo ripartiti".

Quali obiettivi vi ponete ?

"In primis, difendere la memoria delle vittime. In Italia, in molti stadi, i morti vengono oltraggiati con striscioni e cori offensivi. Nel nostro Paese mancano cultura sportiva e senso civico. Noi siamo pronti a difenderci in tutte le sedi, attraverso le vie legali, perché a contare alla fine sono sempre i fatti. Ho scritto a tutte le istituzioni calcistiche e alla Federcalcio per sensibilizzarli sul tema e non solo con le vittime dell'Heysel ma anche di Superga come di Paparelli: non esistono morti di serie A o B. L'altro nostro obiettivo è allenare la memoria e questo raccontando la verità e promuovendo iniziative che possano favorire una riflessione sul tema, la crescita della cultura sportiva con particolare riferimento ai giovani. Per questo abbiamo organizzato diversi incontri nelle scuole e università".

Perché non si ricorda mai abbastanza l'Heysel ?

"Finora lo si è fatto poco e in maniera fuorviante. I familiari delle vittime sono stati lasciati soli anche negli anni del processo senza alcun sostegno istituzionale. In questo contesto sarebbe stato importante anche quello della Juventus, così come quello dei mass media, della stampa. Basti pensare che il primo libro "Heysel, verità di una strage annunciata" di Francesco Caremani è potuto uscire solo nel 2003, a diciotto anni di distanza dall'accaduto. Tutto questo perché la tragedia porta con sé verità scomode. La Uefa è stata condannata nel processo, si è macchiata di gravi negligenze nell'organizzazione della partita, nella scelta dello stadio, nella gestione dei biglietti. Le autorità del Belgio non hanno saputo organizzare un ordine pubblico efficace. E poi ci sono gli hooligan inglesi, i colpevoli materiali della strage. Il nostro Governo poi non ha avuto la volontà di affermarsi per non creare problemi diplomatici col Belgio, con le autorità sportive, l'Uefa. E la Juventus ha dato a quella Coppa un valore sportivo che non esiste. Quella partita si è giocata solo per motivi di ordine pubblico per evitare che da 39 i morti salissero a 300, una volta fuori dallo stadio. Infine, lo stesso processo contro l'Uefa è passato sotto traccia, proprio per non disturbare le istituzioni".

Ha perso un padre quel 29 maggio del 1985. E' possibile spiegare cosa si prova davanti ai cori offensivi e agli insulti ?

"Rabbia e amarezza nello stesso tempo perché i cori sono dettati dall'ignoranza e dal fatto che in Italia la cultura sportiva non c'è. Ancora oggi non c'è rispetto e nella rivalità tra le tifoserie si risponde con l'offesa alla memoria di chi non c'è più. Chi insulta non sa che dietro 39 morti, ci sono 39 storie, 39 famiglie che si portano dietro ancora oggi le conseguenze di quanto accaduto all'Heysel. Dopo i cori dei tifosi della Fiorentina ho scritto una lettera al presidente Della Valle: o fa qualcosa o prendiamo da soli provvedimenti. E poi, ripeto, l'ignoranza della loro origine. Trentanove vittime che non erano tutte juventine: tra queste ci sono per lo più italiani ma anche belgi, francesi, un nordirlandese. Chi fa i cori non sa nemmeno cosa sia stato l'Heysel".

Come si può risolvere il problema ?

"Le società devono fare la loro parte, prendere le distanze dalla parte marcia del tifo. Ma appaiono sotto scacco di questa fetta di tifosi. In più è necessario che le istituzioni e il Governo facciano rispettare le leggi in materia. Si "chiacchiera" molto al proposito ma si fa sempre poco o nulla".

Appassionato di sport e di calcio, giornalista sportivo. Alla luce di quanto accaduto nella sua famiglia, non ha preso le distanze da tutto...

"No. Mio nonno ha avviato me e mio fratello alla pratica sportiva perché lo sport è sempre positivo. Se fatto in maniera corretta crea legami, insegna il rispetto, è una scuola di vita. Ecco perché la mia famiglia non me l'ha negato. Crescendo poi ho capito cos'era l'Heysel, ma negarci lo sport sarebbe stato negare un aspetto che conta tanto nella vita di una persona. La passione di raccontarlo è poi nata di pari passo, anche se ci sono lati oscuri e buchi neri in materia. Conoscendoli, lo si può raccontare in maniera più consapevole".

Che rapporti ci sono tra l'associazione e la Juventus ?

"Quando si è ricostituita, ho informato il presidente. La Juventus ha tenuto nel cassetto per venticinque anni la tragedia dell'Heysel. Nel 2010, con Agnelli presidente da qualche mese, è stata organizzata la prima messa in suffragio delle vittime. Quest'anno il 29 maggio saremo a Torino. É stato positivo veder aprire uno spiraglio nella volontà di divulgare la memoria. A fine gennaio ho incontrato il presidente e, tra le altre cose, c'era in progetto un monologo teatrale da recitare nel giorno dell'anniversario allo Juventus Stadium. L'associazione ha mandato alla società una bozza del monologo ma il club ci ha risposto che andava riveduto affinché fosse meno crudo. La seconda revisione non li convinceva ancora e hanno chiesto che la bozza fosse visionata e modificata da un gruppo di loro fiducia. Noi abbiamo accettato a patto che fossero rispettate le verità storico processuali. Nell'incontro finale con la Juventus, a marzo, la loro revisione era priva del racconto di alcune dinamiche importanti per comprendere la tragedia. In sostanza quel testo non rappresentava la memoria dell'Heysel. E quindi non abbiamo dato seguito al lavoro. D'altronde, anche se a trent'anni anni di distanza, non è conveniente per la Juventus parlarne, in più c'è Platini ai vertici dell'Uefa. Dare spazio alla verità significherebbe non dare valore sportivo a quella Coppa dei Campioni, quindi seguire la corrente opposta di quella intrapresa da sempre dal club. Fanno piacere i passi in avanti compiuti dal club bianconero, peccato che poi ne faccia qualcuno indietro. Come associazione - chiude Lorentini - vorremmo che la Juventus si prendesse tutte le responsabilità del caso ma non solo: anche le altre società devono fare qualcosa nel rispetto della memoria di tutte le vittime".  Fonte: Fantagazzetta.com © 28 maggio 2015 Fotografie: GETTY IMAGES © (Not for commercial use) © Sky Sport © Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 13.04.2015
 

Lorentini: "Chiediamo un gesto simbolico nel trentennale"

Ad Arezzo iniziative per Otello e Giusy e un convegno

Già mille firme: "Ritirare la maglia 39 dell’Italia"

di Luca Serafini

Il 29 maggio la commemorazione a Torino e il giorno dopo la messa in suffragio con Agnelli e la Juventus. Ora si attende la risposta della Federcalcio alla proposta sul numero.

AREZZO -  Ritirare la maglia numero 39 della Nazionale italiana per ricordare l'Heysel. Trentanove come le vittime di quella sera sciagurata, il 29 maggio 1985, a Bruxelles. Finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus, l'assalto degli hooligans, l’inefficienza belga, il massacro nello stadio. Due aretini tra i morti: Giuseppina Conti e Roberto Lorentini. Ecco, nel trentesimo anniversario della strage, una serie di iniziative, tutt'altro che retoriche. A partire da quella che riguarda la maglia azzurra. La proposta dell'Associazione dei Familiari delle Vittime dell'Heysel, guidata da Andrea Lorentini, che prosegue sulla scia tracciata dal nonno Otello.

Come nasce l'idea del numero 39 dell'Italia da ritirare ?

"Dall'idea di un gesto simbolico, per ricordare e per sensibilizzare sul tema sempre attuale della violenza negli stadi, e nello sport. Un'idea partita da rappresentanti del tifo juventino, anche se le 32 vittime italiane non erano neanche tutte juventine, c'era un interista, c'era un fotografo lì per lavoro".

Avete lanciato una petizione on line su change.org

"Sì e sono già quasi mille le adesioni. Abbiamo scritto al presidente della Federcalcio, Tavecchio, e anche al presidente della Lega, Beretta. Attendiamo una loro risposta. Riteniamo che nel 30° anno sarebbe importante realizzare un momento di visibilità e di impatto che ricordi l'Heysel. L'idea della maglia ci sembra buona. Certo, il numero 39 nella Nazionale non esiste, ma il gesto della Figc dovrebbe avere una natura simbolica. Ritirare la maglia azzurra numero 39 e dedicarla alle vittime dell’Heysel rappresenterebbe un gesto denso di significato: l'Heysel entrerebbe così a far parte a pieno titolo della storia del calcio italiano, al di là di ogni bandiera e fede calcistica".

Quali iniziative sono in programma oltre questa ?

"Il 29 saremo a Torino, tra l'altro quest'anno capitale dello sport, dove per il secondo anno si celebra il giorno della memoria dell'Heysel. Stiamo discutendo con la Juventus per condividere un momento celebrativo. E il sabato 30 maggio, al mattino, ci sarà una messa in suffragio sempre a Torino, con l'associazione dei familiari, il presidente Andrea Agnelli e i dirigenti, la squadra".

E ad Arezzo ?

"Per giugno c'è l'idea di sviluppare un convegno sulla non violenza, con la presenza di personaggi importanti. E prima del 29 pensiamo ad una giornata commemorativa per le due vittime aretine".

Dopo trent'anni è il momento che l’Heysel diventi un patrimonio comune di una nazione.

"In questi anni il ricordo e la memoria sono stati affidati ai parenti delle vittime e quei tifosi o semplici cittadini che, più volte, hanno sfidato la burocrazia e il muro di gomma che è stato eretto su quella tragica serata da parte delle istituzioni sportive e non solo. Ecco, l'Associazione auspica che la Federcalcio possa recepire questa richiesta che arriva non solo dai familiari delle vittime, ma anche da tanti tifosi e cittadini che amano il calcio". Fonte: Corriere di Arezzo © 13 aprile 2015 Fotografia: GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icone: Pngegg.com ©

 
INTERVISTA ASSOCIAZIONE 11.02.2015
 

Il giornalista aretino perse il padre a Bruxelles, oggi rifonda l'associazione dei familiari delle vittime: "Per non dimenticare".

Lorentini: "Heysel c'è ancora bisogno di allenare la memoria"

di Federica Guerri

Il 29 maggio saranno trent'anni da quella partita assassina: "Stiamo organizzando iniziative con la Juve".

AREZZO - Andrea Lorentini raccoglie il testimone del nonno Otello (scomparso nel maggio scorso) e rifonda l'associazione dei familiari delle vittime dell'Heysel. A Bruxelles quel terribile 29 maggio 1985, Andrea, che aveva tre anni, perse il padre Roberto. Medico e tifoso juventino, aveva 31 anni e rimase ucciso per salvare la vita di un bambino. Insieme a lui, tra le 39 vittime innocenti, c'era anche la 17enne aretina Giusy Conti. Dopo quella tragedia Otello Lorentini, anche lui all'Heysel per quella finale di Coppa dei Campioni assassina, fondò il Comitato delle vittime dell'Heysel per avere giustizia in sede legale, sciogliendolo una volta ottenuta (fece condannare anche la Uefa). Oggi rinasce per non dimenticare.

Andrea, perché questa scelta ?

Un po' sull'onda emotiva della scomparsa di mio nonno e quindi per non interrompere un percorso di battaglia da lui iniziato e portato avanti per tutta la vita, e un po' per tenere viva la memoria di quella tragedia. Da più parti mi era stato chiesto di raccogliere il testimone di mio nonno, ma da solo era complicato, così ho scritto a tutte le famiglie delle vittime italiane (32) e ho avuto molte risposte positive. Ci siamo riuniti il 17 gennaio nella sede dell'Arbitro Club, ad Arezzo, nel piazzale intitolato a mio padre.

Lei presidente, Emanuela Casula, figlia di Giovanni e sorella di Andrea, vice Presidente, e Riccardo Balli, fratello di Bruno, segretario. Sente che ci sia ancora molto bisogno di esercitare la memoria ?

Più passa il tempo e meno occasioni ci saranno per ricordare ciò che è accaduto, ma la memoria va allenata e se ci sarà bisogno d'intervenire lo faremo, perché non ne posso più di sentire offendere i morti e la memoria dell'Heysel, come quella di mio padre. Certo per me e per tutti gli altri è un sacrificio, ma anche un atto dovuto.

I trent'anni possono essere l’occasione giusta per riportare l’attenzione sul tema della violenza negli stadi...

Stiamo lavorando ad alcune iniziative commemorative, vogliamo cogliere l'occasione del trentennale come spunto di riflessione per parlare della violenza che purtroppo non è fuori dai nostri stadi. L'associazione vuole farsi portavoce di gesti concreti che diffondano i veri valori dello sport che sono in antitesi con i fatti di Bruxelles.

C'è ancora molto da lavorare sugli stadi ?

All'Inghilterra, patria dei carnefici dell'Heysel, quella tragedia è servita a trasformare gli stadi in salotti con le forze dell'ordine pronte ad intervenire ad ogni minima intemperanza. In Italia no.

Con la Juventus però, si è instaurato un buon dialogo...

Assolutamente sì. La presidenza Agnelli ha da subito dimostrato una sensibilità diversa nei confronti dell'Heysel. Abbiamo aperto questo canale e speriamo di riuscire ad organizzare insieme numerose iniziative.

Anche la tifoseria bianconera sta dimostrando vicinanza (tra l’altro dopo la morte di Otello Lorentini i tifosi esposero uno striscione allo Juventus Stadium con scritto "Ciao Otello, 39 volte grazie".

Sì c'è un'attenzione crescente e un atteggiamento propositivo e di rispetto verso le vittime dell'Heysel, io stesso ho ricevuto tantissimi attestati di coraggio dopo la morte di mio nonno.

Suo nonno e anche lei avete sempre ribadito che quella Coppa insanguinata doveva essere restituita...

Andava restituita subito. Adesso sarebbe un gesto anacronistico. Ma sono felice che nel museo dello Juventus Stadium quella Coppa sia esposta in maniera differente dalle altre, senza foto, video e messaggi celebrativi. Una cornice sobria con scritto "In memoriam" che sembra dire questa coppa è qui ma nessuno deve festeggiarla. Fonte: Corriere di Arezzo © 11 febbraio 2015  Fotografie: Corriere di Arezzo ©© Icone: Pngegg.com © Grafica Logo: Gianni Valle (Studio Charivari grafica design) ©

 
 

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