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ARTICOLI STAMPA
e WEB
ASSOCIAZIONE
2015 |
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Nel
nome del padre
di Andrea Lorentini
All’Heysel
ho perso mio padre Roberto, medico di 31 anni. Avrebbe potuto salvarsi, anzi si era già salvato,
se non fosse tornato indietro per soccorrere
un bimbo ferito. E la seconda carica degli hooligans
gli fu fatale. Per questo è stato insignito
della medaglia d’argento al valor civile. Mio
nonno Otello, padre di Roberto, alla battaglia
contro la violenza negli stadi e nello sport
in generale ha dedicato gli ultimi 30 anni della
sua vita. Ha fondato l'associazione dei parenti
delle vittime ed ha affrontato un processo lungo
7 anni. Nel 1990, ottenne la condanna dell'Uefa
per quanto era successo la notte dell'Heysel,
quando disorganizzazione, superficialità ed
errori avevano contribuito alla strage di 39
innocenti. Una sentenza, storica, che ha fatto
giurisprudenza. Poi altre battaglie, altre dichiarazioni,
altri impegni perché il calcio diventasse finalmente
un mondo sicuro. Non è ancora così, ma Otello
Lorentini lascia comunque un'eredità di impegno
civile che non è stata inutile. Dopo
la sua scomparsa, lo scorso 11 maggio, e nell’avvicinarsi
del trentennale, ho deciso di raccogliere il testimone
perché questo percorso non si arrestasse definitivamente,
ma proseguisse sulla strada da lui tracciata.
Da
qui l’idea di ricostituire l’associazione fra i
familiari delle vittime. Alla mia proposta hanno
risposto un buon numero di familiari. L’auspicio
è che altri possano condividere questa esperienza
più avanti. L’associazione, ovviamente, rappresenterà
tutte le vittime dell’Heysel. Anche quelle famiglie
che hanno ritenuto di non intraprendere questo percorso.
L’Associazione avrà
lo scopo di difendere in ogni dove, anche dal punto
di vista civile e penale se necessario, la memoria
dell’Heysel e di chi quel giorno vi perse la vita,
oltre che battersi contro la violenza, fisica e
verbale, nel calcio così come negli altri sport.
Una memoria ancora oggi troppo spesso calpestata.
Basti pensare a cori e striscioni che si sentono
e vedono in alcuni stadi, frutto dell’ignoranza
e dell’idea che non ci sono avversari, ma solo nemici.
Chi oggi ha trent'anni non sa cos'è successo all'Heysel,
non sa che sono morti degli innocenti, che in quella
curva Z c’erano le famiglie, tifosi del calcio.
Più passa il tempo e meno occasioni ci saranno per
ricordare ciò che è accaduto, ma la memoria va allenata
e se ci sarà bisogno d'intervenire lo faremo, perché
non ne posso più di sentire offendere i morti, di
sentire offendere mio padre morto all'Heysel".
L’associazione
si propone d’intrattenere rapporti con tutte quelle
associazioni (italiane e straniere) che hanno obiettivi
simili, organizzare convegni e incontri per affrontare
la tematica della violenza nello sport e condurre
campagne di sensibilizzazione, verso il pubblico
e le istituzioni politiche e sportive, italiane
e internazionali.
L’associazione è già al lavoro per individuare
la maniera più degna per commemorare il trentennale
dell’Heysel che ricorrerà il prossimo 29 maggio.
In questi ultimi anni, con la presidenza di Andrea
Agnelli, la Juventus si è posta in maniera diversa
verso la tragedia di Bruxelles dopo che per oltre
20 anni ha completamente dimenticato e ignorato
quella notte e le famiglie. Di questo rendo merito
pubblicamente al dottor Agnelli che si è fatto carico
di una nuova sensibilità e attenzione verso quella
tragedia. L’auspicio è che questo terreno di confronto
che si è aperto e la volontà della società bianconera
di non considerare più l’Heysel un tabù, ma un pezzo
della sua storia, possa portare ad una collaborazione
fattiva con l’associazione che rappresento.
Fonte: Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel © 17 gennaio
2015
Fotografie: GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
Icone: Pngegg.com
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Heysel: rinasce
Associazione per vittime
Presidente Andrea
Lorentini, padre morì per
salvare altro tifoso.
(ANSA) - AREZZO, 10 FEB -
Difendere la memoria
dell'Heysel, in tutte le sedi, e
di chi quel giorno morì,
battersi contro la violenza
fisica e verbale nel calcio e
nello sport. Sono solo alcuni
degli obiettivi
dell'Associazione fra i
familiari delle vittime
dell'Heysel, rinata in questi
giorni grazie all'impegno dei
parenti delle vittime della
strage di Bruxelles, del 29
maggio 1985, prima della finale
di Coppa dei Campioni
Juve-Liverpool. L'idea è
dell'aretino Andrea Lorentini
che all'Heysel perse il padre.
Fonte: Ansa.it ©
10 febbraio 2015
Icone: Pngegg.com
©
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Heysel, nasce
l’associazione dei familiari
delle vittime
di Marco Bonomo
Nell'anno del
trentennale della tragedia, i
parenti si uniscono
ufficialmente in un'associazione
che lotterà affinché la memoria
non venga più calpestata.
29/05/1985: la pagina più triste
e dolorosa nella storia della
Juventus, una ferita che chi ama
i colori bianconeri si porterà
dentro per sempre. Perché è
insanabile una ferita causata
dalla morte di 39 persone che
perdono la vita per una partita
di calcio, nella maniera più
assurdo possibile. Un modo per
lenire questa ferita però c’è,
ed è il ricordo: perché chi
dimentica è complice,
soprattutto quando la memoria di
quei 39 angeli viene spesso
insultata in molti stadi
d’Italia, non tutelata,
calpestata. Oggi, nell’anno in
cui ricorre il trentennale di
quella tragedia, nasce
l'"Associazione Familiari
Vittime Heysel". Un’idea di
Andrea Lorentini, figlio di
Roberto, che quella notte morì
mentre tentava di salvare
un’altra persona. E nipote di
Otello, che per anni si è
battuto per salvaguardare la
memoria del figlio e di tutte le
altre vittime e che poco tempo
fa è scomparso. "La memoria va
allenata e se ci sarà bisogno
d’intervenire lo faremo, perché
non ne posso più sentire
offendere i morti e la memoria
dell’Heysel, come quella di mio
padre". Sono parole proprio di
Andrea Lorentini, che
nell’assemblea costitutiva è
stato eletto presidente.
All’associazione ha aderito un
buon numero di familiari, ma
l’auspicio è che anche altri,
non solo i parenti, possano
condividere questa esperienza. E
tra qualche mese ricorrerà il
30º anniversario: l’associazione
"è già al lavoro per individuare
il modo migliore per commemorare
il trentennale dell’Heysel" (NdR:
29 maggio). Un ricordo che
vedrà protagonista anche la
Juventus, che negli anni della
presidenza Andrea Agnelli si è
dimostrata più sensibile al tema
rispetto al passato, come
dimostra anche il toccante
ricordo durante l’inaugurazione
dello Juventus Stadium: "In
questi ultimi anni la Juventus
si è posta in maniera diversa,
dopo che per oltre vent’anni ha
completamente ignorato e
dimenticato quella notte e le
famiglie delle vittime. Di
questo rendo merito e ringrazio
il Dottor Agnelli. L’auspicio è
che la società non consideri più
come un tabù l’Heysel, ma come
un pezzo della sua storia e che
così facendo possa collaborare
fattivamente con la nostra
associazione" conclude Andrea
Lorentini. I tifosi non hanno
mai dimenticato. Vedere quei -39
esposti, sentire quei cori,
provoca sdegno, rabbia, dolore.
Un dolore che si amplifica
quando tutto ciò passa sotto
silenzio. Ma da oggi hanno un
nuovo punto di riferimento in
questa associazione, affinché il
monito contro la violenza fisica
e verbale nel calcio e negli
altri sport, sia sempre vivo.
Come il ricordo di (+)39 angeli.
Fonte:
Blogdisport.it © 10 febbraio 2015
Icone: Pngegg.com
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Strage Heysel: rinasce
l'Associazione per ricordare le
vittime
Il 29 maggio 1985, prima
della finale di Coppa dei
Campioni Juventus-Liverpool,
morirono 39 persone. I
familiari: "La memoria va
allenata".
"Più
passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che
è accaduto. Ma la memoria va
allenata e se ci sarà bisogno di
intervenire lo faremo, perché
non ne posso più di sentire
offendere i morti e la memoria
dell'Heysel, come quella di mio
padre". Sono le parole di Andrea
Lorentini, da poco nominato
presidente della rinata
Associazione fra i familiari
delle vittime dell'Heysel. Il
gruppo si è ricostituito con
l'obiettivo dichiarato di
difendere la memoria delle
vittime della strage dello
stadio Heysel di Bruxelles a
seguito della quale, il 29
maggio 1985, persero la vita 39
persone a causa degli incidenti
scoppiati nel settore Z prima
della finale di Coppa dei
Campioni Juventus-Liverpool.
L’associazione intende battersi
contro la violenza fisica e
verbale nel calcio e negli altri
sport. Nasce da un'idea di
Andrea Lorentini che all'Heysel
ha perso il padre Roberto,
giovane medico medaglia
d'argento al valore civile per
essere morto mentre tentava di
salvare un connazionale. A pochi
mesi dal 30esimo anniversario di
una delle più pagine più
drammatiche della storia del
calcio, Lorentini auspica che i
ricordi di quanto accadde quella
notte a Bruxelles non vadano
sempre più sfumati: "In questi
ultimi anni - spiega - con la
presidenza di Andrea Agnelli la
Juventus si è posta in maniera
diversa verso la tragedia dopo
che per oltre vent'anni ha
completamente dimenticato e
ignorato quella notte e le
famiglie delle vittime. Di
questo rendo merito al dottor
Agnelli che si è fatto carico di
una nuova sensibilità e
attenzione verso quella
tragedia. L'auspicio è che
questo terreno di confronto che
si è aperto e la volontà della
società bianconera di non
considerare più l'Heysel un
tabù, ma un pezzo della sua
storia, possa portare a una
collaborazione fattiva con la
nostra associazione".
Fonte:
Datasport © 10 Febbraio 2015
Icone: Pngegg.com
©
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Heysel, rinasce
l'Associazione familiari vittime
di Dario Pellizzari
L'idea è dell'aretino
Andrea Lorentini, che perse il
padre nella tragedia del 29
maggio 1985. L'obiettivo ?
Difendere la memoria.
Il 29
maggio del 1985, lo stadio
Heysel di Bruxelles, ex
monumento all'ego postumo di Re
Baldovino del Belgio, avrebbe
dovuto ospitare una delle gare
più importanti della stagione
per gli appassionati del
pallone, la finale della Coppa
dei Campioni tra la Juventus di
Michel Platini e il Liverpool di
Kenny Dalglish. Fu invece la
macabra scenografia di una delle
più grandi e dolorose tragedie
della storia del calcio
internazionale. Colpa degli
hooligan, criminali travestiti
da tifosi che nell'occasione
accesero la miccia dello
scontro. Colpa della polizia
belga, che intervenne poco e
male dimostrando
un'inadeguatezza senza fine.
Colpa dello stadio,
improponibile perché vecchio e
colmo di guai, un mucchio di
mattoni sistemati male, anzi,
malissimo. Il bilancio al
termine della giornata fu di 39
morti, di cui 32 italiani, e
oltre 600 feriti. Per la
cronaca, la partita si giocò:
vinse la Juve con un rigore
inesistente. Lo spettacolo deve
andare avanti, si disse e si
ottenne. Anche nel buio più
profondo e impossibile. Per
difendere la memoria di quel
giorno maledetto, ha ripreso
vita l'Associazione fra i
familiari delle vittime
dell'Heysel. L'idea è dell'aretino
Andrea Lorentini, che all'Heysel
ha perso il padre Roberto,
giovane medico medaglia
d'argento al valor civile per
essere morto mentre tentava di
salvare un connazionale. "Più
passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che
è accaduto – fa sapere all'Ansa
Lorentini - ma la memoria va
allenata e se ci sarà bisogno
d'intervenire lo faremo, perché
non ne posso più di sentire
offendere i morti e la memoria
dell'Heysel, come quella di mio
padre". Il rispetto, prima di
tutto. Anche in famiglia. "In
questi ultimi anni - spiega il
responsabile all'associazione -
con la presidenza di Andrea
Agnelli, la Juventus si è posta
in maniera diversa verso la
tragedia di Bruxelles dopo che
per oltre vent'anni ha
completamente dimenticato e
ignorato quella notte e le
famiglie delle vittime. Di
questo rendo merito al dottor
Agnelli che si è fatto carico di
una nuova sensibilità e
attenzione verso quella
tragedia".
Fonte: Panorama.it © 10
febbraio 2015
Icone: Pngegg.com
©
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Heysel, rinasce
Associazione per ricordare le
vittime
Il presidente è Andrea
Lorentini, il padre morì per
salvare un altro tifoso della
Juve.
AREZZO - Difendere la memoria
dell'Heysel, in tutte le sedi
opportune, e di chi quel giorno
perse la vita, battersi contro
la violenza fisica e verbale nel
calcio e negli altri sport.
Questi sono solo alcuni degli
obiettivi dell'Associazione fra
i familiari delle vittime
dell'Heysel che è rinata in
questi giorni grazie all'impegno
dei parenti delle vittime della
strage di Bruxelles, del 29
maggio 1985, prima della finale
di Coppa dei Campioni
Juventus-Liverpool. L'idea è
dell'aretino Andrea Lorentini
che all'Heysel ha perso il padre
Roberto, giovane medico aretino
medaglia d'argento al valor
civile per essere morto mentre
tentava di salvare un
connazionale. Un'idea nata dopo
la morte del nonno Otello che di
quella tragedia è stato la
memoria per ventinove anni: "Più
passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che
è accaduto - dichiara Lorentini
-, ma la memoria va allenata e
se ci sarà bisogno d'intervenire
lo faremo, perché non ne posso
più di sentire offendere i morti
e la memoria dell'Heysel, come
quella di mio padre".
L'assemblea, svoltasi ad Arezzo,
ha eletto Andrea Lorentini
presidente ed Emanuela Casula
vice presidente. "In questi
ultimi anni - conclude Andrea
Lorentini - con la presidenza di
Andrea Agnelli, la Juventus si è
posta in maniera diversa verso
la tragedia di Bruxelles dopo
che per oltre vent'anni ha
completamente dimenticato e
ignorato quella notte e le
famiglie delle vittime. Di
questo rendo merito al dottor
Agnelli che si è fatto carico di
una nuova sensibilità e
attenzione verso quella
tragedia. L'auspicio è che
questo terreno di confronto che
si è aperto e la volontà della
società bianconera di non
considerare più l'Heysel un
tabù, ma un pezzo della sua
storia, possa portare a una
collaborazione fattiva con la
nostra Associazione".
Fonte:
Tuttosport.com ©
10 febbraio 2015
Fotografia: Andrea Lorentini ©
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Calcio, Heysel: rinasce
l'associazione per ricordare le
vittime
Difendere la memoria di
quel giorno e battersi contro le
violenze negli sport. Il
presidente è Andrea Lorentini:
suo padre morì per salvare un
altro tifoso.
ROMA -
Difendere la memoria
dell'Heysel, in tutte le sedi
opportune, e di chi quel giorno
perse la vita, battersi contro
la violenza fisica e verbale nel
calcio e negli altri sport.
Questi sono solo alcuni degli
obiettivi dell'Associazione fra
i familiari delle vittime
dell'Heysel che è rinata in
questi giorni grazie all'impegno
dei parenti delle vittime della
strage di Bruxelles, del 29
maggio 1985, prima della finale
di Coppa dei Campioni
Juventus-Liverpool. L'idea è
dell'aretino Andrea Lorentini
che all'Heysel ha perso il padre
Roberto, giovane medico aretino
medaglia d'argento al valor
civile per essere morto mentre
tentava di salvare un
connazionale. Un'idea nata dopo
la morte del nonno Otello che di
quella tragedia è stato la
memoria per ventinove anni: "Più
passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che
è accaduto - dichiara Lorentini
- ma la memoria va allenata e se
ci sarà bisogno d'intervenire lo
faremo, perché non ne posso più
di sentire offendere i morti e
la memoria dell'Heysel, come
quella di mio padre".
L'assemblea, svoltasi ad Arezzo,
ha eletto Andrea Lorentini
presidente ed Emanuela Casula
vice presidente. "In questi
ultimi anni - conclude Andrea
Lorentini - con la presidenza di
Andrea Agnelli, la Juventus si è
posta in maniera diversa verso
la tragedia di Bruxelles dopo
che per oltre vent'anni ha
completamente dimenticato e
ignorato quella notte e le
famiglie delle vittime. Di
questo rendo merito al dottor
Agnelli che si è fatto carico di
una nuova sensibilità e
attenzione verso quella
tragedia. L'auspicio è che
questo terreno di confronto che
si è aperto e la volontà della
società bianconera di non
considerare più l'Heysel un
tabù, ma un pezzo della sua
storia, possa portare a una
collaborazione fattiva con la
nostra Associazione".
Fonte:
Corrieredellosport.it © 10
febbraio 2015
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A trent'anni dalla
strage dell'Heysel
rinasce
l'associazione delle vittime
Difendere la memoria
dell’Heysel, in tutte le sedi
opportune, e di chi quel giorno
perse la vita, battersi contro
la violenza fisica e verbale nel
calcio e negli altri sport.
Questi sono solo alcuni degli
obiettivi dell’ "Associazione
fra i familiari delle vittime
dell’Heysel" che è rinata in
questi giorni grazie all’impegno
dei parenti delle vittime della
strage di Bruxelles, del 29
maggio 1985, prima della finale
di Coppa dei Campioni
Juventus-Liverpool. L’idea è
stata di Andrea Lorentini che
all’Heysel ha perso il padre
Roberto, giovane medico aretino
medaglia d’argento al valor
civile per essere morto mentre
tentava di salvare un
connazionale. Un’idea nata dopo
la morte del nonno Otello che di
quella tragedia è stato la
memoria per ventinove anni: "Più
passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che
è accaduto – dichiara Andrea
Lorentini – ma la memoria va
allenata e se ci sarà bisogno
d’intervenire lo faremo, perché
non ne posso più di sentire
offendere i morti e la memoria
dell’Heysel, come quella di mio
padre". Una memoria ancora oggi
troppo spesso calpestata. Basti
pensare ai cori e agli
striscioni che si sentono e
vedono in alcuni stadi, frutto
dell’ignoranza e dell’idea che
non ci sono avversari, ma solo
nemici. Chi oggi ha trent’anni
non sa cos’è successo
all’Heysel, non sa che sono
morti degli innocenti, che in
quella curva Z c’erano le
famiglie, tifosi del calcio. I
familiari delle vittime si sono
riuniti all’Arbitro Club di
Arezzo (nella città dove
trent’anni fa nacque quella che,
capeggiata da Otello Lorentini,
si batté per ottenere giustizia
facendo condannare l’Uefa in un
processo lungo e difficile), in
Piazzale Roberto Lorentini 1,
per approvare lo statuto
dell’Associazione ed eleggerne i
rappresentanti: "Alla mia proposta –
sottolinea Andrea Lorentini – ha
risposto un buon numero di
familiari. L’auspicio è che
altri possano condividere questa
esperienza più avanti.
L’Associazione, ovviamente,
rappresenterà tutte le vittime
dell’Heysel". L’assemblea ha
eletto Andrea Lorentini
presidente, Emanuela Casula,
figlia di Giovanni e sorella di
Andrea, vice presidente, e
Riccardo Balli, fratello di
Bruno, segretario.
l’"Associazione fra i familiari
delle vittime dell’Heysel" è già
al lavoro per individuare il
modo migliore per commemorare il
trentennale dell’Heysel che
ricorrerà il prossimo 29 maggio.
Fonte: Italian.ruvr.ru
(La Voce della Russia)
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11 febbraio 2015
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Nella strage Andrea
Lorentini perse il babbo
Vittime dell'Heysel
Rinasce l'associazione
DIFENDERE la memoria
dell'Heysel, in tutte le sedi
opportune, e di chi quel giorno
perse la vita. E' l'obiettivo
della rinata Associazione dei
familiari delle vittime fatta da
chi quella tragedia l'ha vissuta
da vicino. L'idea è dell'aretino
Andrea Lorentini che all'Heysel
ha perso il padre Roberto,
giovane medico aretino medaglia
d'argento al valor civile per
essere morto mentre tentava di
salvare un connazionale.
Battersi contro la violenza
fisica e verbale nel calcio e
negli altri sport.
Un'Associazione che rinasce
grazie al giovane aretino e
all'impegno dei parenti delle
vittime della strage di
Bruxelles, del 29 maggio 1985,
quando morirono 39 persone a
causa degli incidenti scoppiati
nel settore Z prima della finale
della Coppa dei Campioni
Juventus-Liverpool. Ad Andrea
Lorentini l'idea è nata dopo la
morte del nonno Otello che di
quella tragedia è stato la
memoria per ventinove anni: "Più
passa il tempo e meno occasioni
ci saranno per ricordare ciò che
è accaduto dichiara Lorentini,
ma la memoria va allenata e se
ci sarà bisogno d'intervenire lo
faremo, perché non ne posso più
di sentire offendere i morti e
la memoria dell'Heysel, come
quella di mio padre".
L'assemblea, svoltasi ad Arezzo,
ha eletto Andrea presidente ed
Emanuela Casula vice presidente.
"In questi ultimi anni conclude
Andrea Lorentini con la
presidenza di Andrea Agnelli, la
Juventus si è posta in maniera
diversa verso la tragedia di
Bruxelles dopo che per oltre
vent'anni ha completamente
dimenticato e ignorato quella
notte e le famiglie delle
vittime. Di questo rendo merito
al dottor Agnelli che si è fatto
carico di una nuova sensibilità
e attenzione verso quella
tragedia. L'auspicio è che
questo terreno di confronto che
si è aperto e la volontà della
società bianconera di non
considerare più l'Heysel un
tabù, ma un pezzo della sua
storia, possa portare a una
collaborazione fattiva con la
nostra Associazione".
Fonte:
La Nazione © 11 febbraio 2015
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Heysel: rispetto per la verità
storico
processuale e i familiari delle vittime
di Massimo Righi
Nell’anno del trentennale della tragedia
dell’Heysel, Andrea Lorentini, presidente
dell’Associazione Familiari delle vittime
dell’Heysel, s’impegna per tenere viva la
memoria storica dei fatti.
Il presidente dell’Associazione Familiari delle
vittime dell’Heysel, Andrea Lorentini, ha come
obiettivo di difendere la memoria della tragedia
e di chi quel giorno perse la vita, oltre a
battersi contro ogni forma di violenza nel
calcio e negli altri sport. L’associazione,
rinata in febbraio grazie all’impegno dei
parenti delle vittime della strage di Bruxelles
del 29 maggio 1985, ha eletto come presidente
proprio Andrea Lorentini che all’Heysel ha perso
il padre Roberto, giovane medico aretino
medaglia d’argento al valor civile, per aver
perso la vita nel tentativo di salvare un
connazionale. E così, dopo la morte del nonno
Otello che di quella tragedia è stato la memoria
per ventinove anni, il nipote Andrea ha deciso
di tenere viva la memoria dei fatti nell’anno
del trentennale: "Con l’avvicinarsi del
trentennale della tragedia dell’Heysel la
macchina mediatica si è già messa in moto e con
essa dobbiamo, purtroppo, denunciare i primi
episodi di grave ignoranza sui tragici fatti di
Bruxelles – afferma Andrea Lorentini. Nel
pieno rispetto e libertà del lavoro
giornalistico e della naturale e giustificata
attenzione che da qui al 29 maggio televisioni,
giornali, siti internet riserveranno a quella
drammatica vicenda, l’Associazione esige che
nell’accostarsi ai familiari sia tenuta una
condotta umana e professionale degna,
considerata la delicatezza dell’argomento.
L’Associazione – aggiunge sempre Lorentini –
sarà grata a tutti quei soggetti che attraverso
il racconto giornalistico o artistico daranno il
proprio contributo per la difesa e la
divulgazione della memoria. Al contrario non
sarà tollerato alcuno sciacallaggio mediatico né
sui contenuti tantomeno rispetto a chi vorrà
divulgare il proprio prodotto per fini di lucro.
L’Associazione – conclude il presidente – si
riserverà, altresì, di tutelarsi in ogni sede
qualora si verificassero mistificazioni e
mancato rispetto della memoria
storico-processuale".
Bruxelles, 29 maggio 1985 – In occasione della
finale di Coppa dei Campioni fra Liverpool e
Juventus, giocata a Bruxelles nello stadio
Heysel ora Re Baldovino, accadde un fatto di
cronaca nera fra i più gravi della storia del
calcio. Nel pre-partita, a causa dell’invasione
degli hooligans inglesi nel settore adiacente
occupato per lo più da tifosi della Juventus, il
settore denominato Z cedette sotto la pressione
delle cariche e crollò sotto il peso della
calca, provocando la morte di 39 persone, di cui
32 italiane. Gran parte dei presenti rimasero
schiacciati, calpestati e uccisi nella corsa
verso una via d’uscita, per molti rappresentata
da un varco aperto verso il campo da gioco. La
follia degli hooligans inglesi, l’impreparazione
delle autorità belghe, l’inadeguatezza della
struttura e la paura diffusa, furono le cause
determinanti della tragedia. Ciononostante,
l’incontro si disputò ugualmente dopo quasi
un’ora e mezzo di rinvio: la decisione fu presa
dalle forze dell’ordine belghe e dai dirigenti
UEFA, per evitare ulteriori tensioni.
Per maggiori informazioni visitare il sito: www.associazionefamiliarivittimeheysel.it
Fonte: Ilpallonegonfiato.com ©
18 marzo 2015
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L'associazione
vittime familiari
Heysel rompe con la Juventus
di Barbara Perissi
Modifiche al testo teatrale
sulla rievocazione della tragedia dell'Heysel, l'Associazione
fra i familiari delle vittime rompe con Juventus
FC, precisa che lo spettacolo teatrale non si farà,
l'autore del testo e custode di saladellamemoriaheysel.it
Domenico Laudadio cede i diritti all'associazione
e dichiara: "il testo rielaborato dal mio coautore
Omar Rottoli e il gruppo di esperti della Juventus
pur essendo toccante ha in buona sostanza modificato
la forma e le parole del testo originario omettendo
citazioni e riferimenti chiari alle responsabilità
sui fatti e sulle verità storiche e processuali
quindi non tenendo conto delle richieste dell'associazione.
Ho ceduto i diritti del testo teatrale all'associazione
perché non venisse intralciato a causa mia il progetto
di memoria che ritenevo prioritario". Lo spettacolo avrebbe dovuto tenersi in questi
giorni, precisa il presidente dell'associazione,
l'aretino Andrea Lorentini, le modifiche imposte
dalla Juventus non sono piaciute all'associazione.
"In questi anni tutto quello che abbiamo ottenuto
dalla giustizia alla memoria lo abbiamo ottenuto
grazie alla nostra forza, determinazione e dignità.
Fuori dalle verità storiche e processuali c'è solamente
la speculazione che noi rifiutiamo e combattiamo
con ogni mezzo possibile". In occasione del trentennale
l'associazione parteciperà insieme alla Juventus
FC, come già riportato sul sito della squadra, alla
messa in suffragio dei caduti dell'Heysel in programma
a Torino il prossimo 29 maggio. "Quello – conclude
Lorentini – sarà l'unico momento condiviso con il
club bianconero".
Fonte: Teletruria.it © 2 maggio 2015
Fotografie: Guerin Sportivo ©
Andrea Lorentini ©
Banner: La Stampa
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"Da soli per avere
giustizia"
di Francesco Caremani
Ricordo
ancora quella sera del 29 maggio 1985 e i
giorni seguenti. Un ricordo violento, perché
quello che accadde cambiò per sempre il mio
essere ragazzo, tifoso, e ha cambiato anche
il giornalista che sono diventato. L’Heysel
è una cicatrice che fa male ancora oggi e
che non se ne vuole andare, forse proprio
perché in troppi hanno cercato di
cancellarla, ma non c'è cura. Anzi, una ci
sarebbe: una memoria condivisa che dovrebbe
avere (ha) come assioma l'unica verità
storica e processuale riconosciuta
dall'Associazione fra i familiari delle
vittime dell'Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, che a Bruxelles perse il padre
Roberto, giovane medico aretino medaglia
d'argento al valore civile per essere morto
mentre salvava un connazionale. "Abbiamo
sconfitto l'Uefa, abbiamo fatto
giurisprudenza, ma in troppi se la sono
cavata" mi ha detto Otello Lorentini prima
di soccombere sotto gli acciacchi della
vecchiaia e morire lo scorso maggio. Otello
era il padre di Roberto e il nonno di
Andrea. Lui le udienze del processo di
Bruxelles se l'è fatte tutte. Prendeva
l'aereo da Roma e poi cercava i giornalisti
per informarli di quanto stava accadendo. Un
processo per il quale i familiari delle
vittime italiane si sono autotassati. Otello
Lorentini fondò la prima Associazione per
avere giustizia di fronte a una strage in
cui tutti volevano farla franca: gli
hooligans inglesi come l'Uefa, le
istituzioni sportive come la politica belga.
La paura era che le 39 vittime fossero
uccise una seconda volta dall'ignavia,
spesso in malafede, di un Paese che
preferisce rimuovere le tragedie.
Soprattutto per questo Otello e gli altri
hanno litigato spesso, seppure a distanza,
con Giampiero Boniperti. Perché, come mi ha
detto Antonio Conti (che ha perso la figlia
Giuseppina, 17 anni), guardandomi negli
occhi: "Sono contento che se ne parli
ancora, ma il dolore non se ne va".
In
questi trent'anni non si è dimenticata solo
la strage, ma anche la solitudine, la dignità
e la forza con cui i familiari delle vittime
sono andati avanti: "Mi hanno detto che
m'avevano pagato il marito morto, che la
macchina (che avevo anche prima) me l'ero
comprata con quei soldi" ricorda Rosalina
Vannini, vedova di Giancarlo Gonnelli.
"Nessuno sa cosa ha significato andare
avanti senza Giancarlo e con tutti i
problemi che ha avuto nostra figlia Carla".
Lei dell'Heysel non vuole ancora parlare. E
allora, cosa ci resta di una battaglia
condotta in solitudine da 32 famiglie
italiane, fattesi forza nella figura di un
uomo che aveva perso l'unico figlio per una
partita di calcio ? Sicuramente c'è la
condanna dell'Uefa, passata anch'essa sotto
i tacchi di una certa inconsistenza
giornalistica, che l'ha resa per sempre
corresponsabile delle manifestazioni che
organizza. Se gli stadi delle finali delle
Coppe europee devono avere determinati
requisiti di sicurezza (con biglietti
nominali, dotati di microchip) non lo si
deve certo all'evoluzione del calcio, bensì
alla testardaggine di Otello Lorentini e
allo choc di vedere tutti gli imputati
assolti in Primo grado. Cosi il presidente
dell'Associazione decise, insieme con gli
altri familiari delle vittime italiane, di
citare direttamente la Uefa, che è stata poi
condannata in Appello e in Cassazione. A
Hillsborough, Sheffield, il 15 aprile 1989,
morirono 96 tifosi del Liverpool. E’ la
strage che ha dato il via ai grandi
cambiamenti che fanno della Premier League
il campionato più sicuro dal punto di vista
degli impianti. Disorganizzazione e
inadeguatezza delle forze di polizia sono
forse le cause più importanti, ma questo lo
stabilirà l'inchiesta ancora in corso dopo
26 anni. Ecco, se avesse-ro imparato la
lezione del 29 maggio 1985, se avessero
riflettuto invece di respingere le accuse e
cercare di nascondere la vergogna
dell'Heysel, forse Hillsborough sarebbe
rimasto solo il nome di uno stadio. In
Italia, se possibile, è andata anche peggio.
Nel 1995, per il decennale, a Otello Lorentini promisero una puntata del Processo
del Lunedì ad Arezzo, ma poi non se ne fece
niente. Nel 2010 ci fu la prima messa della
Juventus, che con la presidenza di Andrea
Agnelli ha intrapreso, con difficoltà, un
cammino verso i familiari delle vittime.
Dietro, 25 anni di vuoto. "Ho ricevuto
l'invito ma non andrò, ognuno ha la sua
coscienza" mi disse Maria Teresa Dissegna,
che all'Heysel ha perso il marito Mario
Ronchi, uno dei tre interisti morti a
Bruxelles. Abbandono, fastidio, oblio:
questo hanno continuato a subire i familiari
delle vittime e coloro che sono morti il 29
maggio 1985, insieme alle continue offese
negli stadi italiani, quasi mai sanzionate:
"In tutti questi anni la Procura federale
non mi è sembrata cosi pronta e attenta"
dice Andrea Lorentini. La memoria va
allenata, perché non accada mai più. Lo
dobbiamo a Otello Lorentini, Domenico
Laudadio, Annamaria Licata, Claudio II
Rosso, il Nucleo 1985, lo Juventus Club
Supporters Juve 1897, il Comitato "Per non
dimenticare Heysel" di Reggio Emilia, Andrea
Lorentini e a tutti gli altri famigliari.
Senza edulcorazioni, ipocrisie di parte e
interessi economici. Anche per questo vado
fiero della scritta che posso esibire sul
mio libro "Heysel, le verità di una strage
annunciata": "L'unico libro ufficialmente
riconosciuto dall'Associazione familiari
vittime Heysel". Chi ha ancora voglia di
raccontare quello che è accaduto 30 anni fa,
faccia i conti con le famiglie delle
vittime. La storia dell'Heysel sono loro,
nessuno si senta offeso.
Fonte: Guerin Sportivo © 10 maggio
2015
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Heysel, la "staffetta della memoria" da
nonno a nipote
Andrea Lorentini
aveva tre anni quando il padre Roberto morì nello
stadio belga. Il nonno Otello fondò l'Associazione
familiari delle vittime e la sua lotta portò alla
sentenza che punì l'Uefa e a stadi più sicuri. Ora
il nipote rilancia la battaglia per la giustizia.
AREZZO
- Quando suo padre
Roberto Lorentini perse la vita all'Heysel, Andrea
aveva da poco compiuto tre anni. Di lui oggi non
ha che pochi flash, ma in cuore serba tutta la determinazione e la generosità di quel giovane medico aretino
che non esitò a tornare indietro per salvare un
bambino, a costo della sua vita. Per fondare, anzi
rifondare l'Associazione familiari vittime dell'Heysel,
Andrea è partito da lì e dalla forza di suo nonno
Otello che allo stadio c'era e vide morire il suo
unico figlio. Attraverso l'Associazione, Andrea
porta avanti il ricordo di quella tragedia "che
non è avvenuta a caso" e lo fa nel rispetto della
verità perché - dice - "non c'è memoria senza verità". Oggi
Andrea Lorentini ha 33 anni, vive nella stessa casa
di papà Roberto e nonno Otello, è sposato da poco
con Elisa, ha una laurea in scienze della comunicazione
e una professione, quella di giornalista, che lo
ha spinto a seguire le orme del nonno.
"Otello è scomparso
lo scorso gennaio (NdR: 11 maggio 2014) a 91 anni. Quando perse suo
figlio ne aveva 61 ed era andato in pensione da
cinque mesi per occuparsi insieme a mia nonna di
me e mio fratello Stefano, visto che mia madre
Arianna
era laureanda in medicina e aveva ovviamente bisogno
di sostegno. Dal giorno della tragedia dell'Heysel
- racconta Andrea Lorentini - non ha mai smesso
di lottare, di cercare giustizia non solo per suo
figlio ma per tutte le 39 vittime. Per affrontare
il processo e costituirsi parte civile aveva bisogno
però di trovare forza in un'associazione che fondò
di lì a poco".
"Nei primi anni la sua
fu una sorta di battaglia contro i mulini a vento,
nessuno ascoltava, nessuno sentiva. Dopo la prima
sentenza che assolse la Uefa, nonno Otello non si
perse d'animo e si batté per il secondo grado di
giudizio. Faceva tanti viaggi a Bruxelles insieme
ad avvocati di Arezzo che lo seguivano e che tutelavano
l'associazione attraverso il legale italobelga Daniel
Vedovatto.
Si deve alla sua forza - dice Andrea
con orgoglio - se la storica sentenza del 1991,
condannando l'Uefa, ha scritto una pagina che fa
tutt'ora giurisprudenza e che obbliga la stessa
Uefa a scegliere stadi e standard di sicurezza elevati
dal momento che l'ha dichiarata colpevole per quanto
accadde all'Heysel. Mio nonno ha dato sicuramente
un grande contributo affinché la violenza negli
stadi regredisse in alcuni casi fino a sparire totalmente".
Nel 1992 l'Associazione
si estingue ma Otello Lorentini non si ferma e fonda
il Comitato contro la violenza nello sport Lorentini
Conti (il cognome di Giuseppina l'altra vittima
aretina dell'Heysel): "E' frutto del lavoro di questo
comitato l'amichevole nel 2005 tra le formazioni
primavera di Juventus e Liverpool, in quella della
Juve c'erano Marchisio e Giovinco destinati poi
ad altre platee". Subito dopo l'attività si ferma
e, a gennaio di quest'anno, quando Otello scompare,
Andrea Lorentini decide di fondare l'Associazione
vittime dell'Heysel.
"Con la morte di mio nonno non volevo che il ricordo
scomparisse, ho fondato l'Associazione per difendere
la memoria, portare avanti i suoi principi e promuovere
iniziative per diffondere la cultura sportiva. Il
29 maggio saremo a Torino per la messa che condivideremo
con la Juventus. Avevamo pensato anche ad un monologo
che ricostruisse con esattezza i fatti ma non ci
siamo trovati d'accordo con la società su un punto:
per la Juventus l'importante è ricordare, per l'Associazione
che rappresento è raccontare la verità, senza imbarazzi
perché alla fine la Juventus è vittima essa stessa
di negligenze e pecche di Uefa e organizzazione
belga. Il disgelo con la società è avvenuto nel
2010 con Andrea Agnelli, con il quale mi sono incontrato
più volte. Spero che il dialogo possa proseguire
proprio sul desiderio di raccontare la verità che
non condanna nessuno se non le coscienze degli uomini
che quella sera, con le loro pesanti negligenze
hanno, per contro condannato, a morte 39 persone".
Fonte: Iltirreno.gelocal.it © 23 maggio 2015
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Che cosa resta dell'Heysel, trent'anni dopo
di Francesco Caremani
Trent'anni fa la
tragedia sugli spalti dello stadio belga prima della
finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus.
I silenzi, gli imbarazzi e la lotta dei sopravvissuti
in questi anni.
Otello è morto l’anno scorso, di
maggio come Roberto, il suo unico figlio deceduto nella
strage dell’Heysel il 29 maggio 1985. Era un giovane e bravo
medico di Arezzo, Roberto, tifoso della Juventus, era stato
ad Atene nel 1983 (quando a sorpresa l’Amburgo vinse la
coppa dalle grandi orecchie), a Basilea nel 1984 (quando
contro il Porto i bianconeri conquistarono la Coppa delle
Coppe) e a Bruxelles ci andò, come sempre, col padre e i
due cugini, Andrea e Giovanni. Un viaggio che doveva essere
una festa, la finale del secolo (come fu ribattezzata allora)
contro il Liverpool che si trasformò nella tragedia del
secolo e nella definitiva perdita dell’innocenza del calcio
mondiale. Roberto era salvo, nonostante la calca e le cariche
degli hooligan del Liverpool, ma si lanciò in mezzo all’inferno
per tentare di salvare un connazionale (molto probabilmente
Andrea Casula, 11 anni, la vittima più piccola) con la respirazione
bocca a bocca, gesto che gli è stato fatale e che oggi una
medaglia d’argento al valor civile appesa nel salotto di
via Giordano Bruno 51 ricorda.
A Bruxelles, nel fatiscente stadio Heysel, il 29
maggio 1985 morirono 39 persone, 32 italiani, 4 belgi, 2
francesi e un nordirlandese. Uccisi dagli hooligan inglesi,
ubriachi all’inverosimile (tanto che avevano messo a ferro
e fuoco la Grand Place poche ore prima) e armatisi in un
cantiere adiacente l’impianto che era in ristrutturazione,
con la responsabilità dell’Uefa e delle autorità sportive
e politiche belghe, che non si curarono di scegliere uno
stadio sicuro e che organizzarono cialtronescamente l’ordine
pubblico. Senza dimenticare che il settore
Z sarebbe dovuto essere completamente appannaggio del tifo
neutrale accanto alla marea inglese, invece molti di quei
biglietti furono venduti dai bagarini in Italia a prezzi
maggiorati e per 39 angeli si rivelarono di sola andata.
Angeli delle famiglie e delle comitive che entrarono in
quello spicchio di stadio dopo una fila di quasi tre ore
passando da una porta larga 80 centimetri, l’unica via di
fuga che diventerà di fatto inaccessibile.
Angeli impreparati
all’improvviso lancio di oggetti contundenti, ai pochi (circa
sei) poliziotti che scappano, alla rete da giardino che
li divideva e che viene giù in un secondo, alle cariche
continue, impreparati a morire per una partita di calcio.
Partita che si gioca lo stesso, decide l’Uefa insieme al
Belgio. Non sanno più cosa fare e devono evitare altri morti.
Si gioca per chiamare l’esercito (arriveranno i carri armati),
si gioca per una questione di ordine pubblico e si assegnerà
la Coppa dei Campioni perché così hanno voluto quelli del
Liverpool. Non è un’amichevole, ma diventa una farsa perché
si gioca mentre i 39 corpi sono ancora lì, in fila sotto
la curva Z ridotta a un campo di battaglia, in cui gli hooligan
hanno irriso i morti prima che li portassero via. Si gioca
sapendo, come ha sempre confermato Stefano Tacconi, portiere
di quella Juventus.
Otello Lorentini non poteva accettare
di avere perso l’unico figlio (assunto dall’ospedale di
Arezzo con lettera datata 29 maggio 1985) per una partita
di calcio, così, su consiglio di un avvocato, fondò l’Associazione
tra le famiglie delle vittime di Bruxelles per portare davanti
a un giudice i responsabili della strage che ha cambiato
per sempre il football. Un processo lungo, difficile, condotto
in solitudine, quella solitudine che è durata decenni e
che in parte dura ancora, perché ricordare l’Heysel da fastidio
a tanti, ricordare quello che è accaduto, le colpe, i comportamenti
durante e dopo, soprattutto dopo, non è cool, in particolare
oggi dove imperversano il gossip e il patinato, dove si
scrive e si parla sempre meno di calcio.
L’Heysel fa parte della nostra storia, anche sportiva,
e ogni 29 maggio è lì a ricordarcelo, nonostante le amnesie,
che vengono a galla quando nei nostri stadi o nelle adiacenze
accade qualcosa di violento (inaspettato ?), allora tutti
a sciacquarsi la bocca con la strage di Bruxelles, senza
sapere, senza essersi documentati, tutti a citare la Thatcher
e fare figure meschine, perché chi sa non confonde.
Gli
inglesi non hanno messo mano al loro football dopo l’Heysel
bensì dopo Hillsborough e ancora oggi, sono passati 26 anni,
non conoscono la verità e le cause che hanno determinato
la morte di 96 tifosi del Liverpool; non sanno che la tragedia
di Hillsborough è figlia dell’Heysel, perché gli inglesi
hanno preferito polemizzare, inventare scuse, arrabbiarsi
per la squalifica dei club dalle coppe europee, mettendo
la testa sotto la sabbia. Mai risveglio è stato più drammatico.
Se avessero imparato la lezione, quella che nessuno, soprattutto
in Italia, pare aver imparato, forse Hillsborough sarebbe
rimasto solamente il nome di uno stadio. E la Juventus ? Una messa nel 2010
e una messa quest’anno, nel mezzo uno spazio dentro il Museum
bianconero con targa e nomi, di più nemmeno Andrea Agnelli
sembra capace di fare, il primo presidente che ha intrapreso,
con difficoltà, un percorso verso la rinata Associazione
fra i familiari delle vittime dell’Heysel, presieduta da
Andrea Lorentini, figlio di Roberto e nipote di Otello,
vice presidente Emanuela Casula che all’Heysel ha perso
il padre e il fratello, Giovanni e Andrea. Rinata anche
per difendere la memoria dei propri cari, vituperati e ignominiosamente
offesi negli stadi italiani da trent’anni, cori sanzionati
per la prima volta nel 2014, la perdita di memoria genera
mostri come il sonno della ragione. Non c’è, infatti, una
memoria condivisa e in troppi preferiscono cullare il proprio
Heysel dimenticandosi dei familiari delle vittime e di quei
39 morti, quasi fossero un ostacolo per ammirare una coppa.
L’Heysel sarebbe dovuta diventare la Superga bianconera,
con tutte le differenze che in troppi banalmente sottolineano:
un momento di comune condivisione di un ricordo che non
potrà mai essere cancellato, dalle nostre memorie e dalle
nostre coscienze. Senza dimenticare che a Bruxelles sono
morti tre interisti, come Mario Ronchi che andò con gli
amici, forse quando l’amicizia era più importante del tifo.
Per questo l’Heysel dovrebbe essere, come Superga, una tragedia
italiana non solo juventina, ma Lega e Figc hanno brillato
meno della Juventus in questi trent’anni e mai hanno tentato
di ricordare e di commemorare i 39 angeli di Bruxelles.
Qualche settimana fa l’Associazione ha chiesto il ritiro
(simbolico) della maglia azzurra numero 39, simbolico perché
quel numero di maglia in Nazionale non esiste, gesto accolto
con scetticismo e critiche dall’opinione pubblica, si sa
i parenti delle vittime si preferiscono silenziosi e discreti,
quando reclamano rispetto e memoria vengono attaccati e
stigmatizzati, perché, come ha detto Paul Valéry, "quando
non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore".
E pare proprio una gara quella che in questi ultimi mesi
ha tentato di sminuire l’autorevolezza dell’Associazione
fra i familiari delle vittime dell’Heysel e di chi li ha
sostenuti e accompagnati in tutti questi anni.
Ma allora cosa resta dell’Heysel
? C’è stata giustizia ? Come ha sempre detto Daniel Vedovatto,
l’avvocato italo belga dei familiari italiani, in quelle
condizioni e con il diritto che all’epoca vigeva in Belgio
è stato ottenuto il massimo: condanna dell’Uefa, di un capitano
di polizia, dei pochi hooligan rintracciati e risarcimenti,
che nessuno ha mai chiesto. Forse qualcuno s’è perso, ma
la condanna dell’Uefa, resa corresponsabile delle manifestazioni
che organizzava e che organizza è storica, ha fatto giurisprudenza
e ha cambiato per sempre il football europeo, soprattutto
le coppe, esigendo severi requisiti di sicurezza per gli
stadi delle finali e non solo. Se non ce ne siamo accorti
è perché ce ne siamo dimenticati. Trent’anni sono una vita,
un vuoto incolmabile e recuperare terreno è quasi impossibile.
Resta la forza di Otello Lorentini che ha guidato i familiari
delle vittime italiane contro i migliori avvocati d’Europa,
la forza che l’ha spinto a citare direttamente l’Uefa nel
processo, dopo che in primo grado erano stati tutti assolti,
restano i volti, le immagini, i ricordi, i sogni, i sorrisi
e il terrore di 39 persone che sono morte dentro uno stadio
per vedere una partita di calcio. Li sentite ? Stanno sussurrando
qualcosa: "La storia (dell’Heysel) siamo noi, nessuno si
senta offeso".
Fonte: Il Foglio.it © 27 Maggio 2015
(Articolo
Premiato Oscar Giornalismo 2016)
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30 Anni
di Heysel: Bambagia, Veleni e Melassa
La Memoria
si alleni, ma sia sempre la Verità a salire
sul podio più alto.
di
Domenico Laudadio
Che
sensazione strana, e molto più del precedente
25°. In Italia campeggia questa pessima
consuetudine socio-mediatica della memoria
che fa il salto della cavallina a cinque
anni alla volta. Un mese, una settimana,
il giorno che cade, poi la rincorsa
si ferma.
Fra qualche ora molte televisioni e
quasi tutti i giornali riavvolgeranno
il canapo marinaro dimenticato nei fondali
dell’oblio rimuovendo l’ancora dalle
sabbie ataviche e spronando le vele
al vento dei ricordi di quella sera
di maggio, quando un pallone prese le
sembianze del clown, rimbalzando beffardo
a pochi metri dai corpi nel cimitero
dell’Heysel. Ritorneranno così le immagini
televisive dai colori sbiaditi del 29
maggio 1985 a Bruxelles e soltanto lo
strazio è rimasto intatto anche per
chi ha tinto i capelli di argento. Qualcuno
di loro li ha già raggiunti, altri hanno
combattuto e magari vinto sopravvivendo
ad un dolore scorpione, al suo veleno
che paralizza i giorni. Familiari delle
vittime, silenziosi e dignitosi, in
tutti questi anni gli unici a poter
parlare, gli ultimi ad essere interpellati
da chi si iscrive alla sarabanda della
presunzione. Non mi dispiace di non
accodarmi alla nenia, talvolta ipocrita
e meschina, del coro bianco dei soloni
di una desolante assuefazione a fatti
che ancora urlano vendetta, alla misconoscenza
delle verità storiche e processuali.
Si può stendere un sudario pietoso sui
particolari più truci, ma non certamente
rinunciare all’identificazione delle
responsabilità di quanti furono gli
artefici o colposamente sodali della
carneficina di 39 innocenti.
Lascio alla scrittura dei mestieranti
le emozioni da prefiche, le morali semplicistiche
da trenta denari. Dico solo che il male
supremo non è tanto quella coppa di
acciaio, ma negli occhi di chi ancora
oggi non prova vergogna a risollevarla,
giustificandosi dietro il paravento
della compensazione. E allora comprendi
perché è stata conservata frettolosamente
nella bambagia, come un primogenito
cieco dalla nascita che resterà a vita
nella sua immeritata tenebra. Inutile
muovergli sonagli, non vi sorriderà
mai. La melassa di troppe parole non
restituisce all’assenza di quei cari
il senso compiuto. Si può avvicinare
a stento e con discrezione una preghiera.
Eppure anche Cristo si è arreso in croce
alla solitudine, lo facciano anche i
farisei del grande calcio e rinnovino
i templi dove si adorano anche certi
dei fasulli che si vendono a corrotti
di mafie. Forse, allora, finalmente
quel sangue dei martiri versato tragicamente
e copiosamente rifiorirà in prati più
verdi.
"Il valore della Memoria, il dovere della Verità"… A fare e disfare la tela
delle congetture, la Penelope devota
al politichese corretto si arrenderà
all’evidenza. Non è stato il muretto
crollato, non sono morti per "cause
naturali" come scritto nelle autopsie
frettolose e infami di medici militari
senza onore. "Una verità condivisa"…
E’ come sposare insieme nella geometria
il taglio di una torta nuziale a più
piani. Il tocco maldestro e la mano
esperta non sono fatti per l’amore eterno,
a meno che non riscoprano l’emozione
e l’umiltà in un tremito.
Perché davanti a quei trentanove nomi
e cognomi si abbassano vessilli e alabarde,
si snocciola il silenzio come un rosario
e si bacia la terra dalle ginocchia.
Fonte: Giùlemanidallajuve.com © 29 maggio 2015
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La partita infinita
delle famiglie
"La memoria si
allena"
di Giulia Zonca
Processi chiusi,
resiste l’associazione delle vittime. "Ma ciascuno
di noi ha il proprio pezzo di storia".
Per chi ha perso qualcuno
dentro lo stadio dell’Heysel ogni 29 maggio arriva
sempre nello stesso modo. Non importa che siano
i 30 anni, i 29 o i 18, che la messa sia privata
o condivisa, è sempre una spia che si accende, un
dolore latente e un’emozione, il ricordo che si
rinnova e il bisogno di non dimenticare: "La memoria
si allena", è la semplice perfetta frase che ripetono
tutti. Molte famiglie lo chiamano "giorno del raccoglimento",
semplice, spoglio, un momento intimo impossibile
da spiegare, non ha bisogno di rituali, si muove
da solo con il suo carico: tutto si amplifica perché
l’anniversario è per sua natura collettivo: "Il
cuore torna alla tragedia e per fortuna la testa
ti porta via". I parenti difendono le immagini private,
quelle che salvano perché mantengono il calore a
dispetto dell’assenza. C’è un filo conduttore pubblico
che è l’associazione, passata in gestione già alla
seconda generazione, e poi c’è un grumo di ricordi,
personali e protetti che non vengono scambiati neanche
tra chi ha in comune una notte d’orrore. Le testimonianze
- Andrea Lorentini oggi è il presidente dell’associazione,
l’ha ereditata dal nonno che l’aveva messa in piedi
per avere giustizia. Ora che il processo è chiuso
resta la volontà di tramandare, di raccontare la
verità perché nulla venga dimenticato, perché le
responsabilità non sbiadiscano. Poi ci sono le fitte,
come la voce squillante di Andrea che si abbassa
quando parla del padre Roberto, medico e medaglia
d’argento al valore civile, deceduto mentre cercava
di salvare un bambino. Di fare il suo lavoro: "Non
ho alcun ricordo di lui, ero troppo piccolo ma sono
cresciuto con il suo esempio. Ci ha lasciato il
suo grande altruismo".
Andrea fa il giornalista
sportivo, non ha chiuso il calcio dentro una scatola
nera "anzi sono convinto che possa esprimere dei
valori, non lo associo a quell’inferno". Sembra
strano ma non ha mai scambiato il suo pezzo di storia
con la famiglia di chi la completa, con la sorella
e la mamma di Andrea Casula, la vittima più giovane,
il bimbo che il padre di Andrea cercava di rianimare
all’Heysel. La memoria collettiva - La sorella del
piccolo Andrea, Emanuela, oggi è vicepresidente
ma Lorentini trova normale che "ognuno tenga per
sé il proprio pezzo di famiglia". La storia collettiva
è finita sul prato insanguinato, non c’è altro da
dire. Emanuela un giorno ha chiesto alla madre di
smontare la cameretta totem del fratello tenuta
uguale a se stessa nonostante gli anni. È successo
tanto tempo fa, Emanuela aveva già capito che la
memoria si allena in un altro modo. Come sottolinea
Fabrizio Landini che in quel macello ha perso uno
zio: "La memoria non va riesumata ma protetta, coltivata".
Quando Giovacchino Landini era in vita, la famiglia
gestiva una trattoria a Torino, ora si sono trasferiti
in Liguria, tornano ogni anno per la messa: "Mio
zio si sapeva godere la vita, peccato che non abbia
potuto farlo a lungo come meritava. Io ero e sono
rimasto tifoso della Juve, lo zio era così innamorato
di quella squadra che non mi sono mai immaginato
un tradimento. Non vado allo stadio, non per paura,
per...". Le parole mancano, forse quella giusta
è distanza. Quel filtro quasi impossibile tra il
dolore e il ricordo. Per restare in equilibrio bisogna
allenare la memoria, senza mescolare l’esempio da
tramandare con le storie da custodire.
Fonte: La
Stampa © 29 maggio 2015
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Il commento
di Lucia De Robertis
(Vicepresidente
del Consiglio Regionale della Toscana)
"Una
bellissima iniziativa, che mi piace pensare
legata allo straordinario incontro che si
è svolto qui in Consiglio regionale lunedì
scorso, alla presenza di Giorgio Chiellini
e del presidente della Federcalcio Tavecchio,
in memoria proprio delle vittime dell’Heysel".
Così la vicepresidente del Consiglio regionale
Lucia De Robertis commenta il ritiro della
maglia numero 39 della nazionale annunciata
dalla FIGC alla vigilia dell’amichevole
a Bruxelles con il Belgio, partita dedicata
proprio al ricordo di quella terribile tragedia.
"Lunedì – ha aggiunto la vicepresidente
– la Nazionale ha voluto essere presente
alla nostra cerimonia di consegna del Gonfalone
d’Argento all’Associazione Familiari Vittime
dell’Heysel, proprio per dare una dimostrazione
di vicinanza alle vittime di quell’assurda,
indimenticabile, tragedia. Oggi un altro
segnale di attenzione, una testimonianza
di impegno verso un calcio che non usi mai
più come strumento offensivo il ricordo
dei 39 morti dell’Heysel. Proprio questo
aveva chiesto Andrea Lorentini, giovane
presidente dell’Associazione e figlio di
una vittima di quella serata, lunedì. La
risposta della Nazionale è arrivata subito,
e ci riempie di soddisfazione e di orgoglio".
Fonte:
Arezzonotizie.it © 11 novembre
2015
Fotografia:
Comitato Heysel Reggio Emilia ©
Icone: Pngegg.com
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Grafica Logo: Gianni Valle (Studio Charivari
grafica design) ©
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