"HEYSEL Vent'anni dopo" : il
documentario
Il dvd realizzato da Atlandide
audiovisivi su ideazione e sceneggiatura di Francesco
Caremani sarà presentato all’auditorium dell’arbitro
club di Arezzo.
AREZZO - Un dvd dedicato alla
tragedia dell’Heysel a vent’anni di distanza da quei
drammatici eventi. Lo ha prodotto la Provincia di Arezzo
e sarà presentato ufficialmente alle ore 21,
all’Auditorium dell’Arbitro Club di Arezzo, presso lo
stadio Comunale. Il documentario ha per titolo "Heysel
vent’anni dopo" ed è stato realizzato da Atlandide
audiovisivi con ideazione, redazione e sceneggiatura di
Francesco Caremani, che ha al suo attivo anche un libro
sull’Heysel al quale il dvd liberamente si ispira.
"Abbiamo accettato la proposta di produrre questo dvd –
spiega il Presidente della Provincia Vincenzo Ceccarelli
– con l’obiettivo di ricordare e di custodire la memoria
di un evento che coinvolse molto da vicino Arezzo. In
questi vent’anni, infatti, si è parlato pochissimo
dell’Heysel per una sorta di ragion di stato, in questo
caso sportiva e non politica. Noi vogliamo invece
onorare la memoria di chi ha perso la vita in quella
tragica serata e riaffermare che allo stadio si va per
vivere e per gioire e non certo per morire". Alla
presentazione del dvd interverranno, oltre a Vincenzo
Ceccarelli, il presidente del Coni Giorgio Cerbai, Mario
Tralci, membro del Comitato regionale della Figc, e
Carlo Polci, presidente della sezione aretina dell’Aia.
"Sono solo due le iniziative organizzate nel mondo nel
ventennale dell’Heysel: una è questa e l’altra è
l’inaugurazione di un monumento a Bruxelles nel luogo
dove avvenne la tragedia - afferma Francesco Caremani.
Nel documentario ci sono testimonianze importanti,
quella di un ex hooligan e quella dell’avvocato
dell’associazione dei familiari delle vittime Daniel
Vedovatto che parla della condanna inflitta all’Uefa a
seguito dei fatti dell’Heysel, una sentenza storica che
ha fatto giurisprudenza". Grande soddisfazione la
esprime anche il regista Mario Rebehy di Atlantide
Audiovisivi: "il documentario è il modo migliore di
interpretare la realtà ed è una grande opportunità per
chi fa regia".
Fonte: Provincia.arezzo.it © 26 maggio 2005
Video:
Atlantide Audiovisivi © Francesco
Caremani ©
Icona: It.pngtree.com ©
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"HEYSEL Vent'anni dopo"
Nelle scuole della provincia.
Questa la volontà del Presidente Vincenzo Ceccarelli
alla "prima" del documentario dedicato alla strage di
Bruxelles.
AREZZO
- "Questo lavoro e quest’esperienza devono andare nelle
scuole per formare i tifosi e gli sportivi di domani".
Sono state queste le parole del Presidente della
Provincia Vincenzo Ceccarelli che hanno
significativamente concluso la "prima" del dvd "Heysel
vent’anni dopo", prodotto proprio dall’Amministrazione
provinciale, svoltasi all’Auditorium dell’Arbitro Club.
Presenti, tra gli altri, il Questore Massimo Bontempi,
il neo presidente aretino della Figc Gianfranco
Petrucci, il presidente del Coni Giorgio Cerbai, il
presidente Aia, padrone di casa, Carlo Polci, e il vice
sindaco del Comune di Arezzo, grande amico della
famiglia Lorentini, l’avvocato Paolo Enrico Ammirati.
C’erano anche la famiglia Conti e la famiglia Lorentini,
le due vittime aretine della tragedia dell’Heysel che
proprio domenica 29 maggio compie venti anni. Dopo la
visione del dvd, mezz’ora tirata, intensa e commossa, il
dibattito appassionato che ne è seguito ha sottolineato
la necessità della memoria per una tragedia che ha
colpito duramente la città di Arezzo. Da sottolineare il
personale ringraziamento di Otello Lorentini al
presidente Vincenzo Ceccarelli per l’iniziativa più
importante che sia mai stata fatta in provincia in
memoria della strage dell’Heysel. Il dvd, realizzato da
Atlandide audiovisivi con ideazione, redazione e
sceneggiatura di Francesco Caremani, è stato dedicato a
Giuseppina Conti, a Roberto Lorentini, medaglia
d’argento al valore civile, e alle altre 37 vittime
dell’Heysel.
Fonte:
Viaroma100.net © 26 maggio 2005
Fotografia:
Francesco Caremani ©
Icona: It.pngtree.com ©
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IL LIBRO dell'
ASSOCIAZIONE
Scritto
dal giornalista aretino Francesco Caremani (Tradotto
anche in lingua inglese: "HEYSEL the truth" nel 2015) "è
l'unico libro ufficialmente riconosciuto dall'
Associazione fra i familiari delle Vittime dell'Heysel"
quale testimone fedele delle verità storico-processuali
della strage e dei suoi risvolti umani. Nella scrittura
l'autore si è avvalso del sostegno morale, della
collaborazione e dell'archivio personale di Otello
Lorentini, padre di Roberto, morto all'Heysel e
insignito della medaglia d'argento al valore civile per
essere tornato indietro a soccorrere un bambino sugli
spalti del settore Z, nonostante si fosse già messo in
salvo, rimanendo travolto da una ennesima carica omicida
degli hooligans inglesi.
Dalla prefazione di Walter
Veltroni: "Questo libro è prezioso e bellissimo. Lo è
perché ci ammonisce a non dimenticare, e perché narra
puntualmente e con notizie verificate tutto ciò che è
accaduto; ma lo è anche perché è un libro d’inchiesta
che ha dentro la passione del diario, della pagina
biografica. Caremani dichiara che questo è il libro che
non avrebbe voluto mai scrivere, eppure ciò che è
avvenuto ha trasformato queste pagine nel suo libro.
Voglio bene a questo libro: è un grande atto d’amore
verso trentanove innocenti, e un monito a non perdere la
strada dell’umanità e della pietas".
L'autore, inoltre, si è
classificato terzo agli Oscar del giornalismo sportivo
mondiale che si sono svolti nel 2015 ad Abu Dhabi. La
giuria, tra oltre 100 pezzi, ha premiato il suo articolo
"Che cosa resta dell’Heysel, trent’anni dopo", scritto
in occasione del trentennale del 29.05.2015.
Fonte: Associazionefamiliarivittimeheysel.it ©
Fotografia: Bradipolibri ©
Icona: It.pngtree.com ©
Grafica Logo: Gianni Valle
(Studio Charivari
grafica design)
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Che cosa resta
dell'Heysel, trent'anni dopo
di Francesco Caremani
Trent'anni fa la tragedia sugli spalti dello
stadio belga prima della finale di Coppa Campioni tra
Liverpool e Juventus. I silenzi, gli imbarazzi e la
lotta dei sopravvissuti in questi anni.
Otello è morto l’anno scorso,
di maggio come Roberto, il suo unico figlio deceduto
nella strage dell’Heysel il 29 maggio 1985. Era un
giovane e bravo medico di Arezzo, Roberto, tifoso della
Juventus, era stato ad Atene nel 1983 (quando a sorpresa
l’Amburgo vinse la coppa dalle grandi orecchie), a
Basilea nel 1984 (quando contro il Porto i bianconeri
conquistarono la Coppa delle Coppe) e a Bruxelles ci
andò, come sempre, col padre e i due cugini, Andrea e
Giovanni. Un viaggio che doveva essere una festa, la
finale del secolo (come fu ribattezzata allora) contro
il Liverpool che si trasformò nella tragedia del secolo
e nella definitiva perdita dell’innocenza del calcio
mondiale. Roberto era salvo, nonostante la calca e le
cariche degli hooligan del Liverpool, ma si lanciò in
mezzo all’inferno per tentare di salvare un connazionale
(molto probabilmente Andrea Casula, 11 anni, la vittima
più piccola) con la respirazione bocca a bocca, gesto
che gli è stato fatale e che oggi una medaglia d’argento
al valor civile appesa nel salotto di via Giordano Bruno
51 ricorda. A Bruxelles, nel fatiscente stadio Heysel,
il 29 maggio 1985 morirono 39 persone, 32 italiani, 4
belgi, 2 francesi e un nordirlandese. Uccisi dagli
hooligan inglesi, ubriachi all’inverosimile (tanto che
avevano messo a ferro e fuoco la Grand Place poche ore
prima) e armatisi in un cantiere adiacente l’impianto
che era in ristrutturazione, con la responsabilità
dell’Uefa e delle autorità sportive e politiche belghe,
che non si curarono di scegliere uno stadio sicuro e che
organizzarono cialtronescamente l’ordine pubblico.
Senza
dimenticare che il settore Z sarebbe dovuto essere
completamente appannaggio del tifo neutrale accanto alla
marea inglese, invece molti di quei biglietti furono
venduti dai bagarini in Italia a prezzi maggiorati e per
39 angeli si rivelarono di sola andata. Angeli delle
famiglie e delle comitive che entrarono in quello
spicchio di stadio dopo una fila di quasi tre ore
passando da una porta larga 80 centimetri, l’unica via
di fuga che diventerà di fatto inaccessibile. Angeli
impreparati all’improvviso lancio di oggetti
contundenti, ai pochi (circa sei) poliziotti che
scappano, alla rete da giardino che li divideva e che
viene giù in un secondo, alle cariche continue,
impreparati a morire per una partita di calcio. Partita che si gioca lo
stesso, decide l’Uefa insieme al Belgio. Non sanno più
cosa fare e devono evitare altri morti. Si gioca per
chiamare l’esercito (arriveranno i carri armati), si
gioca per una questione di ordine pubblico e si
assegnerà la Coppa dei Campioni perché così hanno voluto
quelli del Liverpool. Non è un’amichevole, ma diventa
una farsa perché si gioca mentre i 39 corpi sono ancora
lì, in fila sotto la curva Z ridotta a un campo di
battaglia, in cui gli hooligan hanno irriso i morti
prima che li portassero via. Si gioca sapendo, come ha
sempre confermato Stefano Tacconi, portiere di quella
Juventus. Otello Lorentini non poteva accettare di avere
perso l’unico figlio (assunto dall’ospedale di Arezzo
con lettera datata 29 maggio 1985) per una partita di
calcio, così, su consiglio di un avvocato, fondò
l’Associazione tra le famiglie delle vittime di
Bruxelles per portare davanti a un giudice i
responsabili della strage che ha cambiato per sempre il
football.
Un processo lungo, difficile, condotto in
solitudine, quella solitudine che è durata decenni e che
in parte dura ancora, perché ricordare l’Heysel dà
fastidio a tanti, ricordare quello che è accaduto, le
colpe, i comportamenti durante e dopo, soprattutto dopo,
non è cool, in particolare oggi dove imperversano il
gossip e il patinato, dove si scrive e si parla sempre
meno di calcio. L’Heysel fa parte della nostra storia,
anche sportiva, e ogni 29 maggio è lì a ricordarcelo,
nonostante le amnesie, che vengono a galla quando nei
nostri stadi o nelle adiacenze accade qualcosa di
violento (inaspettato ?), allora tutti a sciacquarsi la
bocca con la strage di Bruxelles, senza sapere, senza
essersi documentati, tutti a citare la Thatcher e fare
figure meschine, perché chi sa non confonde. Gli inglesi
non hanno messo mano al loro football dopo l’Heysel
bensì dopo Hillsborough e ancora oggi, sono passati 26
anni, non conoscono la verità e le cause che hanno
determinato la morte di 96 tifosi del Liverpool; non
sanno che la tragedia di Hillsborough è figlia
dell’Heysel, perché gli inglesi hanno preferito
polemizzare, inventare scuse, arrabbiarsi per la
squalifica dei club dalle coppe europee, mettendo la
testa sotto la sabbia. Mai risveglio è stato più
drammatico. Se avessero imparato la lezione, quella che
nessuno, soprattutto in Italia, pare aver imparato,
forse Hillsborough sarebbe rimasto solamente il nome di
uno stadio.
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E la Juventus ? Una messa nel
2010 e una messa quest’anno, nel mezzo uno spazio dentro
il Museum bianconero con targa e nomi, di più nemmeno
Andrea Agnelli sembra capace di fare, il primo
presidente che ha intrapreso, con difficoltà, un
percorso verso la rinata Associazione fra i familiari
delle vittime dell’Heysel, presieduta da Andrea
Lorentini, figlio di Roberto e nipote di Otello, vice
presidente Emanuela Casula che all’Heysel ha perso il
padre e il fratello, Giovanni e Andrea. Rinata anche per
difendere la memoria dei propri cari, vituperati e
ignominiosamente offesi negli stadi italiani da
trent’anni, cori sanzionati per la prima volta nel 2014,
la perdita di memoria genera mostri come il sonno della
ragione. Non c’è, infatti, una memoria condivisa e in
troppi preferiscono cullare il proprio Heysel
dimenticandosi dei familiari delle vittime e di quei 39
morti, quasi fossero un ostacolo per ammirare una coppa.
L’Heysel sarebbe dovuta diventare la Superga bianconera,
con tutte le differenze che in troppi banalmente
sottolineano: un momento di comune condivisione di un
ricordo che non potrà mai essere cancellato, dalle
nostre memorie e dalle nostre coscienze. Senza
dimenticare che a Bruxelles sono morti tre interisti,
come Mario Ronchi che andò con gli amici, forse quando
l’amicizia era più importante del tifo. Per questo
l’Heysel dovrebbe essere, come Superga, una tragedia
italiana non solo juventina, ma Lega e Figc hanno
brillato meno della Juventus in questi trent’anni e mai
hanno tentato di ricordare e di commemorare i 39 angeli
di Bruxelles.
Qualche settimana fa
l’Associazione ha chiesto il ritiro (simbolico) della
maglia azzurra numero 39, simbolico perché quel numero
di maglia in Nazionale non esiste, gesto accolto con
scetticismo e critiche dall’opinione pubblica, si sa i
parenti delle vittime si preferiscono silenziosi e
discreti, quando reclamano rispetto e memoria vengono
attaccati e stigmatizzati, perché, come ha detto Paul
Valéry, "quando non si può attaccare il ragionamento, si
attacca il ragionatore". E pare proprio una gara quella
che in questi ultimi mesi ha tentato di sminuire
l’autorevolezza dell’Associazione fra i familiari delle
vittime dell’Heysel e di chi li ha sostenuti e
accompagnati in tutti questi anni. Ma allora cosa resta
dell’Heysel ? C’è stata giustizia ? Come ha sempre detto
Daniel Vedovatto, l’avvocato italo belga dei familiari
italiani, in quelle condizioni e con il diritto che
all’epoca vigeva in Belgio è stato ottenuto il massimo:
condanna dell’Uefa, di un capitano di polizia, dei pochi
hooligan rintracciati e risarcimenti, che nessuno ha mai
chiesto. Forse qualcuno s’è perso, ma la condanna
dell’Uefa, resa corresponsabile delle manifestazioni che
organizzava e che organizza è storica, ha fatto
giurisprudenza e ha cambiato per sempre il football
europeo, soprattutto le coppe, esigendo severi requisiti
di sicurezza per gli stadi delle finali e non solo. Se
non ce ne siamo accorti è perché ce ne siamo
dimenticati. Trent’anni sono una vita, un vuoto
incolmabile e recuperare terreno è quasi impossibile.
Resta la forza di Otello Lorentini che ha guidato i
familiari delle vittime italiane contro i migliori
avvocati d’Europa, la forza che l’ha spinto a citare
direttamente l’Uefa nel processo, dopo che in primo
grado erano stati tutti assolti, restano i volti, le
immagini, i ricordi, i sogni, i sorrisi e il terrore di
39 persone che sono morte dentro uno stadio per vedere
una partita di calcio. Li sentite ? Stanno sussurrando
qualcosa: "La storia (dell’Heysel) siamo noi, nessuno si
senta offeso".
Fonte: Il Foglio.it © 27 Maggio 2015
Fotografie:
Il Foglio © Salvatore Giglio © Francesco Caremani ©
Andrea Lorentini ©
Grafica Logo: Gianni Valle (Studio Charivari
grafica design) ©
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"La Memoria è una cosa seria,
la Memoria non è
protagonismo,
la Memoria non è spettacolarizzazione,
la
Memoria, in Italia, è spesso sporca, brutta e cattiva.
La Memoria è un gesto quotidiano, una battaglia senza
fine.
La Memoria non ha né vinti né vincitori,
perché
quando si deve difendere la dignità di 39 morti dagli
idioti
siamo tutti sconfitti"
Francesco Caremani
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