Privacy Policy Cookie Policy
IL DOCUMENTARIO © 2005
www.associazionefamiliarivittimeheysel.it   Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel
  Il Documentario Francesco Caremani 2005  
    Multimedia   La Strage   Le 39 Vittime   Il Processo   Otello   Associazione   Eventi  
 

"HEYSEL Vent'anni dopo" : il documentario

Il dvd realizzato da Atlandide audiovisivi su ideazione e sceneggiatura di Francesco Caremani sarà presentato all’auditorium dell’arbitro club di Arezzo.

AREZZO - Un dvd dedicato alla tragedia dell’Heysel a vent’anni di distanza da quei drammatici eventi. Lo ha prodotto la Provincia di Arezzo e sarà presentato ufficialmente alle ore 21, all’Auditorium dell’Arbitro Club di Arezzo, presso lo stadio Comunale. Il documentario ha per titolo "Heysel vent’anni dopo" ed è stato realizzato da Atlandide audiovisivi con ideazione, redazione e sceneggiatura di Francesco Caremani, che ha al suo attivo anche un libro sull’Heysel al quale il dvd liberamente si ispira. "Abbiamo accettato la proposta di produrre questo dvd – spiega il Presidente della Provincia Vincenzo Ceccarelli – con l’obiettivo di ricordare e di custodire la memoria di un evento che coinvolse molto da vicino Arezzo. In questi vent’anni, infatti, si è parlato pochissimo dell’Heysel per una sorta di ragion di stato, in questo caso sportiva e non politica. Noi vogliamo invece onorare la memoria di chi ha perso la vita in quella tragica serata e riaffermare che allo stadio si va per vivere e per gioire e non certo per morire". Alla presentazione del dvd interverranno, oltre a Vincenzo Ceccarelli, il presidente del Coni Giorgio Cerbai, Mario Tralci, membro del Comitato regionale della Figc, e Carlo Polci, presidente della sezione aretina dell’Aia. "Sono solo due le iniziative organizzate nel mondo nel ventennale dell’Heysel: una è questa e l’altra è l’inaugurazione di un monumento a Bruxelles nel luogo dove avvenne la tragedia - afferma Francesco Caremani. Nel documentario ci sono testimonianze importanti, quella di un ex hooligan e quella dell’avvocato dell’associazione dei familiari delle vittime Daniel Vedovatto che parla della condanna inflitta all’Uefa a seguito dei fatti dell’Heysel, una sentenza storica che ha fatto giurisprudenza". Grande soddisfazione la esprime anche il regista Mario Rebehy di Atlantide Audiovisivi: "il documentario è il modo migliore di interpretare la realtà ed è una grande opportunità per chi fa regia". Fonte: Provincia.arezzo.it © 26 maggio 2005 Video: Atlantide Audiovisivi © Francesco Caremani © Icona: It.pngtree.com ©

 

"HEYSEL Vent'anni dopo"

Nelle scuole della provincia. Questa la volontà del Presidente Vincenzo Ceccarelli alla "prima" del documentario dedicato alla strage di Bruxelles.

AREZZO - "Questo lavoro e quest’esperienza devono andare nelle scuole per formare i tifosi e gli sportivi di domani". Sono state queste le parole del Presidente della Provincia Vincenzo Ceccarelli che hanno significativamente concluso la "prima" del dvd "Heysel vent’anni dopo", prodotto proprio dall’Amministrazione provinciale, svoltasi all’Auditorium dell’Arbitro Club. Presenti, tra gli altri, il Questore Massimo Bontempi, il neo presidente aretino della Figc Gianfranco Petrucci, il presidente del Coni Giorgio Cerbai, il presidente Aia, padrone di casa, Carlo Polci, e il vice sindaco del Comune di Arezzo, grande amico della famiglia Lorentini, l’avvocato Paolo Enrico Ammirati. C’erano anche la famiglia Conti e la famiglia Lorentini, le due vittime aretine della tragedia dell’Heysel che proprio domenica 29 maggio compie venti anni. Dopo la visione del dvd, mezz’ora tirata, intensa e commossa, il dibattito appassionato che ne è seguito ha sottolineato la necessità della memoria per una tragedia che ha colpito duramente la città di Arezzo. Da sottolineare il personale ringraziamento di Otello Lorentini al presidente Vincenzo Ceccarelli per l’iniziativa più importante che sia mai stata fatta in provincia in memoria della strage dell’Heysel. Il dvd, realizzato da Atlandide audiovisivi con ideazione, redazione e sceneggiatura di Francesco Caremani, è stato dedicato a Giuseppina Conti, a Roberto Lorentini, medaglia d’argento al valore civile, e alle altre 37 vittime dell’Heysel. Fonte: Viaroma100.net © 26 maggio 2005 Fotografia: Francesco Caremani © Icona: It.pngtree.com ©

IL LIBRO dell' ASSOCIAZIONE

Scritto dal giornalista aretino Francesco Caremani (Tradotto anche in lingua inglese: "HEYSEL the truth" nel 2015) "è l'unico libro ufficialmente riconosciuto dall' Associazione fra i familiari delle Vittime dell'Heysel" quale testimone fedele delle verità storico-processuali della strage e dei suoi risvolti umani. Nella scrittura l'autore si è avvalso del sostegno morale, della collaborazione e dell'archivio personale di Otello Lorentini, padre di Roberto, morto all'Heysel e insignito della medaglia d'argento al valore civile per essere tornato indietro a soccorrere un bambino sugli spalti del settore Z, nonostante si fosse già messo in salvo, rimanendo travolto da una ennesima carica omicida degli hooligans inglesi.

Dalla prefazione di Walter Veltroni: "Questo libro è prezioso e bellissimo. Lo è perché ci ammonisce a non dimenticare, e perché narra puntualmente e con notizie verificate tutto ciò che è accaduto; ma lo è anche perché è un libro d’inchiesta che ha dentro la passione del diario, della pagina biografica. Caremani dichiara che questo è il libro che non avrebbe voluto mai scrivere, eppure ciò che è avvenuto ha trasformato queste pagine nel suo libro. Voglio bene a questo libro: è un grande atto d’amore verso trentanove innocenti, e un monito a non perdere la strada dell’umanità e della pietas".

L'autore, inoltre, si è classificato terzo agli Oscar del giornalismo sportivo mondiale che si sono svolti nel 2015 ad Abu Dhabi. La giuria, tra oltre 100 pezzi, ha premiato il suo articolo "Che cosa resta dell’Heysel, trent’anni dopo", scritto in occasione del trentennale del 29.05.2015. Fonte: Associazionefamiliarivittimeheysel.it  © Fotografia: Bradipolibri © Icona: It.pngtree.com © Grafica Logo: Gianni Valle (Studio Charivari grafica design) ©

Che cosa resta dell'Heysel, trent'anni dopo

di Francesco Caremani

Trent'anni fa la tragedia sugli spalti dello stadio belga prima della finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus. I silenzi, gli imbarazzi e la lotta dei sopravvissuti in questi anni.

Otello è morto l’anno scorso, di maggio come Roberto, il suo unico figlio deceduto nella strage dell’Heysel il 29 maggio 1985. Era un giovane e bravo medico di Arezzo, Roberto, tifoso della Juventus, era stato ad Atene nel 1983 (quando a sorpresa l’Amburgo vinse la coppa dalle grandi orecchie), a Basilea nel 1984 (quando contro il Porto i bianconeri conquistarono la Coppa delle Coppe) e a Bruxelles ci andò, come sempre, col padre e i due cugini, Andrea e Giovanni. Un viaggio che doveva essere una festa, la finale del secolo (come fu ribattezzata allora) contro il Liverpool che si trasformò nella tragedia del secolo e nella definitiva perdita dell’innocenza del calcio mondiale. Roberto era salvo, nonostante la calca e le cariche degli hooligan del Liverpool, ma si lanciò in mezzo all’inferno per tentare di salvare un connazionale (molto probabilmente Andrea Casula, 11 anni, la vittima più piccola) con la respirazione bocca a bocca, gesto che gli è stato fatale e che oggi una medaglia d’argento al valor civile appesa nel salotto di via Giordano Bruno 51 ricorda. A Bruxelles, nel fatiscente stadio Heysel, il 29 maggio 1985 morirono 39 persone, 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e un nordirlandese. Uccisi dagli hooligan inglesi, ubriachi all’inverosimile (tanto che avevano messo a ferro e fuoco la Grand Place poche ore prima) e armatisi in un cantiere adiacente l’impianto che era in ristrutturazione, con la responsabilità dell’Uefa e delle autorità sportive e politiche belghe, che non si curarono di scegliere uno stadio sicuro e che organizzarono cialtronescamente l’ordine pubblico.

Senza dimenticare che il settore Z sarebbe dovuto essere completamente appannaggio del tifo neutrale accanto alla marea inglese, invece molti di quei biglietti furono venduti dai bagarini in Italia a prezzi maggiorati e per 39 angeli si rivelarono di sola andata. Angeli delle famiglie e delle comitive che entrarono in quello spicchio di stadio dopo una fila di quasi tre ore passando da una porta larga 80 centimetri, l’unica via di fuga che diventerà di fatto inaccessibile. Angeli impreparati all’improvviso lancio di oggetti contundenti, ai pochi (circa sei) poliziotti che scappano, alla rete da giardino che li divideva e che viene giù in un secondo, alle cariche continue, impreparati a morire per una partita di calcio. Partita che si gioca lo stesso, decide l’Uefa insieme al Belgio. Non sanno più cosa fare e devono evitare altri morti. Si gioca per chiamare l’esercito (arriveranno i carri armati), si gioca per una questione di ordine pubblico e si assegnerà la Coppa dei Campioni perché così hanno voluto quelli del Liverpool. Non è un’amichevole, ma diventa una farsa perché si gioca mentre i 39 corpi sono ancora lì, in fila sotto la curva Z ridotta a un campo di battaglia, in cui gli hooligan hanno irriso i morti prima che li portassero via. Si gioca sapendo, come ha sempre confermato Stefano Tacconi, portiere di quella Juventus. Otello Lorentini non poteva accettare di avere perso l’unico figlio (assunto dall’ospedale di Arezzo con lettera datata 29 maggio 1985) per una partita di calcio, così, su consiglio di un avvocato, fondò l’Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles per portare davanti a un giudice i responsabili della strage che ha cambiato per sempre il football.

Un processo lungo, difficile, condotto in solitudine, quella solitudine che è durata decenni e che in parte dura ancora, perché ricordare l’Heysel dà fastidio a tanti, ricordare quello che è accaduto, le colpe, i comportamenti durante e dopo, soprattutto dopo, non è cool, in particolare oggi dove imperversano il gossip e il patinato, dove si scrive e si parla sempre meno di calcio. L’Heysel fa parte della nostra storia, anche sportiva, e ogni 29 maggio è lì a ricordarcelo, nonostante le amnesie, che vengono a galla quando nei nostri stadi o nelle adiacenze accade qualcosa di violento (inaspettato ?), allora tutti a sciacquarsi la bocca con la strage di Bruxelles, senza sapere, senza essersi documentati, tutti a citare la Thatcher e fare figure meschine, perché chi sa non confonde. Gli inglesi non hanno messo mano al loro football dopo l’Heysel bensì dopo Hillsborough e ancora oggi, sono passati 26 anni, non conoscono la verità e le cause che hanno determinato la morte di 96 tifosi del Liverpool; non sanno che la tragedia di Hillsborough è figlia dell’Heysel, perché gli inglesi hanno preferito polemizzare, inventare scuse, arrabbiarsi per la squalifica dei club dalle coppe europee, mettendo la testa sotto la sabbia. Mai risveglio è stato più drammatico. Se avessero imparato la lezione, quella che nessuno, soprattutto in Italia, pare aver imparato, forse Hillsborough sarebbe rimasto solamente il nome di uno stadio.

 

E la Juventus ? Una messa nel 2010 e una messa quest’anno, nel mezzo uno spazio dentro il Museum bianconero con targa e nomi, di più nemmeno Andrea Agnelli sembra capace di fare, il primo presidente che ha intrapreso, con difficoltà, un percorso verso la rinata Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, figlio di Roberto e nipote di Otello, vice presidente Emanuela Casula che all’Heysel ha perso il padre e il fratello, Giovanni e Andrea. Rinata anche per difendere la memoria dei propri cari, vituperati e ignominiosamente offesi negli stadi italiani da trent’anni, cori sanzionati per la prima volta nel 2014, la perdita di memoria genera mostri come il sonno della ragione. Non c’è, infatti, una memoria condivisa e in troppi preferiscono cullare il proprio Heysel dimenticandosi dei familiari delle vittime e di quei 39 morti, quasi fossero un ostacolo per ammirare una coppa. L’Heysel sarebbe dovuta diventare la Superga bianconera, con tutte le differenze che in troppi banalmente sottolineano: un momento di comune condivisione di un ricordo che non potrà mai essere cancellato, dalle nostre memorie e dalle nostre coscienze. Senza dimenticare che a Bruxelles sono morti tre interisti, come Mario Ronchi che andò con gli amici, forse quando l’amicizia era più importante del tifo. Per questo l’Heysel dovrebbe essere, come Superga, una tragedia italiana non solo juventina, ma Lega e Figc hanno brillato meno della Juventus in questi trent’anni e mai hanno tentato di ricordare e di commemorare i 39 angeli di Bruxelles.

Qualche settimana fa l’Associazione ha chiesto il ritiro (simbolico) della maglia azzurra numero 39, simbolico perché quel numero di maglia in Nazionale non esiste, gesto accolto con scetticismo e critiche dall’opinione pubblica, si sa i parenti delle vittime si preferiscono silenziosi e discreti, quando reclamano rispetto e memoria vengono attaccati e stigmatizzati, perché, come ha detto Paul Valéry, "quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore". E pare proprio una gara quella che in questi ultimi mesi ha tentato di sminuire l’autorevolezza dell’Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel e di chi li ha sostenuti e accompagnati in tutti questi anni. Ma allora cosa resta dell’Heysel ? C’è stata giustizia ? Come ha sempre detto Daniel Vedovatto, l’avvocato italo belga dei familiari italiani, in quelle condizioni e con il diritto che all’epoca vigeva in Belgio è stato ottenuto il massimo: condanna dell’Uefa, di un capitano di polizia, dei pochi hooligan rintracciati e risarcimenti, che nessuno ha mai chiesto. Forse qualcuno s’è perso, ma la condanna dell’Uefa, resa corresponsabile delle manifestazioni che organizzava e che organizza è storica, ha fatto giurisprudenza e ha cambiato per sempre il football europeo, soprattutto le coppe, esigendo severi requisiti di sicurezza per gli stadi delle finali e non solo. Se non ce ne siamo accorti è perché ce ne siamo dimenticati. Trent’anni sono una vita, un vuoto incolmabile e recuperare terreno è quasi impossibile. Resta la forza di Otello Lorentini che ha guidato i familiari delle vittime italiane contro i migliori avvocati d’Europa, la forza che l’ha spinto a citare direttamente l’Uefa nel processo, dopo che in primo grado erano stati tutti assolti, restano i volti, le immagini, i ricordi, i sogni, i sorrisi e il terrore di 39 persone che sono morte dentro uno stadio per vedere una partita di calcio. Li sentite ? Stanno sussurrando qualcosa: "La storia (dell’Heysel) siamo noi, nessuno si senta offeso". Fonte: Il Foglio.it © 27 Maggio 2015 Fotografie: Il Foglio © Salvatore Giglio © Francesco Caremani © Andrea Lorentini © Grafica Logo: Gianni Valle (Studio Charivari grafica design) ©

"La Memoria è una cosa seria,

la Memoria non è protagonismo,

la Memoria non è spettacolarizzazione,

la Memoria, in Italia, è spesso sporca, brutta e cattiva.

La Memoria è un gesto quotidiano, una battaglia senza fine.

La Memoria non ha né vinti né vincitori,

perché quando si deve difendere la dignità di 39 morti dagli idioti

siamo tutti sconfitti"

Francesco Caremani

Associazionefamiliarivittimeheysel.it Domenico Laudadio © Copyrights 2015 (All rights reserved)