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Lettera di Giovanna Bacci18.06.2022
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LETTERA di GIOVANNA BACCI (Tifosa della Fiorentina) 

Mi chiamo Giovanna, ormai ho 58 anni e anche quest’anno ho celebrato il mio, molto intimo, giorno della memoria. Avete ragione: la memoria è importante. Vi scrivo soltanto per farvi sapere che molte, moltissime persone, anche quelle improbabili come me, ricordano quella notte e ciò che è accaduto. Magari, così come ho fatto io, lo ricordano in silenzio, senza dirvelo perché pensano che sia insignificante. Ma ricordiamo. E vi ringraziamo perché continuate a ricordare. Andate avanti ! Il vostro lavoro, il vostro dolore, la vostra dedizione è importante per tutti. Vi lascio la mia testimonianza. Forse inutile, ma per me è solo un pensiero posato su quelle 39 tombe.

L’anniversario.

Mia sorella Daniela è morta a 26 anni il 29 Maggio del 1984.

Una morte improvvisa, assurdamente causata da una cisti che ha rotto l’arteria femorale. Una manciata di minuti e tutto era finito per sempre.

Esattamente un anno dopo, sulla mia bella Firenze cade lentamente un tramonto dolce che ha i colori dell’estate.

Ceniamo prestissimo, in silenzio.

Io ho vent’anni ma da quando è morta Daniela vivo la vita come attraverso un velo. La mia allegria, la mia energia, esistono a momenti, per il resto è una commedia tragica dove fingo emozioni che non riconosco.

Ho iniziato l’Università, ai nuovi amici non dico nulla perché sono imbarazzata dall’imbarazzo che provoca il dolore dell’Altro. Lo risparmio a tutti.

È difficile sopravvivere a chi amiamo. È duro chiedersi perché non io. È duro consolare e non chiedere consolazione. Capisci che ogni respiro di tuo padre, di tua madre, è solo perché tu sei ancora viva. Non puoi più sbagliare, non più.

Dopo cena, mia madre va a dormire. In realtà si chiude in camera per poter piangere da sola. La sento singhiozzare.

Non posso lasciare mio padre da solo… C’è Juve-Liverpool, per fortuna. La Coppa.

Io e lui siamo da sempre tifosi Viola, abbonati da quando ho memoria. Dacché son grande però, lui va in tribuna, io in curva Fiesole: tutte le volte che il tempo è brutto gli auguro per scherzo che piova "a vento", così un pochino si bagnano anche loro. Quell’anno sopporto anche la neve, perché il gioco del pallone è il più bello del mondo. Ci credo davvero, è una passione bellissima, quasi forte come l’Amore.

Quella sera mio padre è terreo. Come me, come la mamma, si fa forza schiantato da un dolore che sopportiamo a stento e che, "quella" sera, sembra più acuto. Ma c’è Juve-Liverpool, la speranza è che forse riusciamo a non pensare per un paio d’ore. Sono grata di questa opportunità; riesco persino a immaginare che sarà bello vedergliela perdere anche questa volta. Mio padre no, lui è davvero uno sportivo: se gioca una squadra italiana spera sempre che vinca. Se invece non vince va bene lo stesso, per lui avrà sempre vinto la Migliore.

Accendiamo la tv, lui sulla sua poltrona, io su quella "del popolo", cioè l’altra. La voce di Pizzul, rassicurante. Per fortuna ci sono cose che non cambiano mai.

Le prime immagini.

"Maremma quanta gente…".

"Sì, ma, boh, che stadio… Ci si lamenta del Franchi…".

All’inizio non capiamo. Ascoltiamo poco il commento, più che altro cerchiamo di parlare tra noi per non stare in silenzio.

Nel vedere quel caos, ce la prendiamo subito con gli italiani, le telecamere inquadrano solo loro, chissà che avranno combinato… Poi, ce la prendiamo con la polizia, soprattutto io, che ogni domenica, in curva, ho la sensazione di essere assediata e invece lì, a una finale di Coppa, vedo tre gatti in divisa. Poi, ce la prendiamo con tutti.

"Insomma, guarda che casino… "Ovvìa, su", per una partita ! Guarda come hanno ridotto lo stadio ! La gente che aspetta… Chissà che sete… Ci saranno bambini… E questi continuano a voler fare a botte… Mah, sempre la stessa storia. Eh, la mamma ha ragione a prenderci per grulli perché la domenica si va allo stadio !".

Lentamente tra noi cala il silenzio.

Ma lo stesso non vogliamo capire.

Un morto è una tragedia, una catastrofe, un morto è Daniela. Alcuni morti, 24 morti, 36 morti dentro uno stadio sono incomprensibili.

Iniziamo a chiederci sottovoce se sia il caso di giocare… "È successo qualcosa di grosso, questa volta hanno esagerato, bisogna dare un segnale !".

No, non si dovrebbe giocare. Concordiamo. Ma l’Ordine pubblico, la Sicurezza… Mio padre è sempre stato un uomo di buon senso.

Le immagini continuano a scorrerci davanti agli occhi. Il babbo ora è immobile, impietrito, ed io non oso nemmeno guardarlo. Siamo sprofondati dentro le nostre poltrone. Muti e attoniti.

Inizia la partita. Dobbiamo guardarla, siamo entrambi senza alcuna forza di reagire, non abbiamo il coraggio di dire all’altro che ne abbiamo abbastanza, perché è "quella" sera… Va bene, va bene tutto, pur di non parlare ancora di Daniela. Guardiamo, guardiamo.

Dopo un po’, invece, cediamo: le lacrime inondano prima il viso di mio padre, poi il mio.

Mi alzo, mi rannicchio nella sua poltrona, tra le sue braccia, e piangiamo insieme. Piangiamo per ognuno di quei morti perché abbiamo finalmente capito… Ed ognuno di loro si chiama Daniela, ha il suo viso, i suoi bellissimi capelli ricci e il suo profumo. Ognuno di quei morti diventa nostro, come lei. E tra i singhiozzi la chiamiamo e chiamiamo quelle povere madri, i padri, i fratelli, i figli di quelle persone che non conosciamo. In quei momenti ci sentiamo noi due, la loro famiglia. Sappiamo quanto soffriranno e mentre ci stringiamo l’uno all’altra, come naufraghi, stringiamo tutti loro.

Quando ci sembra di non aver più lacrime, spegniamo la tv e, in silenzio, andiamo a letto anche se non dormiremo.

Non abbiamo visto il goal, né sentito Pizzul chiedere il permesso di gioire. Non abbiamo visto la Juve alzare la coppa. Non abbiamo visto il giro della vittoria. Ci vorranno giorni per capire davvero, per appena intuire cosa è sommariamente successo. Ci vorranno mesi, anni, per sentire il sapore autentico del disgusto.

Mio padre ed io non abbiamo mai più parlato di quella sera. Troppo dolore e persino la vergogna di non aver aiutato l’uno il dolore dell’altra, di essere crollati, di non essere stati forti mentre l’altro cedeva.

Ma da allora ho sempre ricordato, insieme a mia sorella, i morti dell’Heysel. Ogni anno, giorno più, giorno meno. Giovanna Bacci © Fonte: Associazionefamiliarivittimeheysel.it © 18 giugno 2022 Fotografie: Giardinaggio.net © Posarellivillas.it © GETTY IMAGES (Not for Commercial Use) ©

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Epistolario   

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