Lorentini: "Ok
la piazza per l’Heysel, ma
la Juve può
ricordare di più i 39 morti"
di Valerio
Barretta
Se un pallone è rosso,
si può comunque giocare a calcio. Se è rosso
sangue, meglio di no. Il pallone della finale di
Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985 tra
Juventus e Liverpool di sangue ne era intriso.
Poco prima della partita i tifosi inglesi
caricarono il settore Z dello stadio Heysel di
Bruxelles. Quella fetta di cemento era destinata
ai bianconeri. Questi ultimi, impauriti, si
accalcarono verso un muricciolo che crollò sotto
il loro peso. I morti furono 39, 32 italiani.
Oggi 29 maggio, a 33 anni di distanza, il Comune
di Torino li ha voluti ricordare intitolando
loro una piazzetta compresa tra lungo Dora
Agrigento e strada del Fortino. La cerimonia si
è tenuta presso la biblioteca civica "Italo
Calvino". Oltre ai familiari delle vittime e ai
superstiti della tragedia, erano presenti anche
la sindaca Chiara Appendino e il presidente del
Consiglio comunale Fabio Versaci. C’era anche il
presidente della Associazione familiari vittime
Heysel, Andrea Lorentini. Andrea è figlio di
Roberto, un medico aretino che morì nello stadio
belga. Roberto era sopravvissuto alla prima
carica dei tifosi del Liverpool, ma tornò
indietro per soccorrere un ragazzo calpestato
dalla folla. Il secondo assalto
degli hooligans gli fu fatale.
Andrea,
l’intitolazione di una piazza torinese alle
vittime dell’Heysel arriva 33 anni dopo la
strage: secondo lei perché c’è voluto così tanto
tempo ?
Perché si è sempre
cercato di dimenticare l’Heysel. Questa è una
vicenda strumentalizzata ancora oggi e su cui
non si è mai fatto memoria nella maniera giusta.
Mi fa comunque piacere che il Comune sia
arrivato a questo passo. Questa piazza
rappresenterà un momento di riflessione per
tutti coloro che vi passeranno.
Che opinione ha
dell’atteggiamento della società Juventus a
riguardo ?
Prima della presidenza
di Andrea Agnelli il ricordo dell’Heysel è stato
zero. Da quando è arrivato (nel 2010, NdR), sono
state celebrate due messe: un po’ poco. Dopo 33
anni non c’è una memoria condivisa tra la
Juventus e i familiari delle vittime. Se la
Juventus vorrà impegnarsi a commemorarle, che lo
faccia in maniera sentita e spontanea. Infatti
non chiediamo niente alla società: lavoriamo per
conto nostro affinché quel dramma non venga
dimenticato.
Il ricordo
dell’Heysel è uno degli obiettivi della vostra
associazione.
Sì, noi familiari
cerchiamo di tenerlo vivo. A fatica, perché - lo
ripeto - si è sempre voluto mettere una pietra
sopra alla tragedia. La nostra associazione
parte dalla memoria della strage per poi
sviluppare una serie di progetti di cultura
civica e sportiva lavorando con le scuole e
cercando di promuovere un modo sano di vivere lo
sport, che è condivisione e non odio.
Già, l’odio. I
39 morti sono stati più volte oggetto di cori e
striscioni infamanti da parte delle tifoserie
anti-juventine. Secondo lei il dolore
dell’Heysel è partigiano ?
Purtroppo viene
percepito come tale, ma non dovrebbe esserlo.
Non si tratta di una tragedia juventina, bensì
italiana ed europea. È una tragedia di tutti:
questo è il messaggio che la nostra associazione
cerca di veicolare. Poi, è inconfutabile che
i tifosi della Juventus facciano molto per
ricordare le vittime: ma lo fanno anche in
risposta a certe curve che si lasciano andare a
comportamenti vergognosi.
Quando sente i
cori offensivi, è più arrabbiato o frustrato
perché non può evitarli ?
Direi entrambe le cose
sullo stesso piano. Da un lato c’è l’amarezza
nel rendersi conto che l’Italia è a un livello
imbarazzante di cultura sportiva. Dall’altro, ho
la conferma che l’attività della nostra
associazione sia importante: siamo una piccola
goccia in un mare, e la battaglia per promuovere
una visione più sana dello sport non dipende
certo da noi. Ma far riflettere negli incontri
un centinaio di ragazzi può essere importante.
Su di loro si può intervenire, sugli adulti
assolutamente no.
Che punizione
darebbe a chi oltraggia la memoria della
tragedia ?
Non mi viene in mente
nessuna sanzione specifica. Quello che serve è
la certezza della pena, e che siano condanne
severe. Servirebbe anche da parte delle società
una presa di distanza importante dalle
tifoserie, cosa che però non avviene mai, perché
le dirigenze preferiscono mantenere dei rapporti
buoni con le curve.
Non ha mai
conosciuto suo padre. Come vorrebbe che fosse
ricordato ?
Come un esempio, perché
è morto aiutando gli altri. Un esempio dal quale
ripartire, da prendere come punto di
riferimento. E sono certamente orgoglioso di
quello che mio padre ha fatto.
Fonte: Futura.news.it ©
29 maggio 2018
(Testo © Fotografia ©
Video)
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